Interviste

INTERVISTA CON KARI STEIHAUG

English (Inglese)

*Foto in evidenza:“After The Market”, 2009, installation, unravelled knitted wool clothes / knitted image after the painting The Gleaners (1857) Jean-Francois Millet. Photo M.Tomaszewicz. Courtesy The National Museum of Art, Architecture and Design, Oslo, copyright Kari Steihaug

Traduzione a cura di Elena Redaelli

Kari Steihaug, artista originaria di Oslo, classe 1962, ha ricevuto il suo MA presso la Oslo National Academy of the Arts, attualmente vive nella sua città di origine e svolge la pratica artistica nel suo studio situato presso l’isola di Hovedøya, distante pochi minuti dalla capitale norvegese.

Le opere di Steihaug parlano di memoria, vulnerabilità, transitorietà e rinnovamento.
L’artista recupera vecchi materiali tessili di uso quotidiano, lavori a maglia dimenticati e abbandonati, lavori incompiuti e guardando oltre l’ oggetto e la sua semplice funzione, ne ascolta la storia, il messaggio,  per poi meticolosamente disfarlo e ricreare dal vecchio qualcosa di nuovo, dando vita a suggestive installazioni che mantengono un legame col valore del tempo, del lavoro e del ricordo ma che contemporaneamente dialogano col futuro in un processo ciclico in cui nulla viene realmente distrutto e tutto può ricominciare con nuova forma e contenuto.
L’opera è così legata al passato dei materiali di cui è fatta ma allo stesso tempo è separata, originale, evocatrice di una atmosfera malinconica e misteriosa.

http://www.karisteihaug.no/

Photo cr. Javier Chavez, NRK, copyright Kari Steihaug

Come ti sei avvicinata all’arte e qual è stato il percorso che ha contribuito alla tua formazione artistica? Come è nato il tuo interesse per le tecniche tessili e il lavoro a maglia?

Per alcuni anni ho lavorato con la grafica e il disegno, ci è voluto un po’ di tempo perché io potessi realmente comprendere il potenziale artistico di quelle tecniche e materiali che mi erano stati vicini ed erano stati fortemente presenti fin dalla mia infanzia negli anni ’60: lavoro a maglia, tessitura, uncinetto, ecc.

Scoprire questo materiale morbido è stato come aver trovato un punto fermo che ha risuonato in me a un livello profondo, aveva la flessibilità che cercavo. Inoltre ho scoperto che il filo ha effettivamente il carattere di una linea, come in un disegno. Ho iniziato a decostruire vestiti e capi di maglieria, e ad utilizzare le etichette con l’idea di far emergere in un nuovo contesto le tracce e i ricordi che essi contenevano. Ho iniziato a creare partendo da queste basi attraverso ripetizione e ricostruzione fino a raggiungere la dimensione allargata delle mie installazioni spaziali.

In un abito fatto a mano sono racchiuse una conoscenza e un’esperienza silenziose, che riguardano l’uso e l’usura, la vulnerabilità, il tempo e la transitorietà. Così il filato recuperato da capi in lana lavorati a mano e disfatti è diventato il mio punto di partenza. Considero il disfare come un processo inverso, che dà l’opportunità di voltarsi e guardare indietro nel passato. Mi piace la trasformazione quando un maglione, per esempio, si dissolve e diventa filo. Parallelamente, mi sono interessata all’Arte Povera trovando un’estensione naturale di queste idee.

“Labels of remembrance”, 1997-2014, installation, 2000 labels, butterflies needles. Photo Roar Øhlander. Courtesy Lillehammer Artmuseum, copyright Kari Steihaug
“Labels of remembrance”, 1997-2014, installation, 2000 labels, butterflies needles. Photo Roar Øhlander. Courtesy Lillehammer Artmuseum, copyright Kari Steihaug
“Labels of remembrance”, 1997-2014, installation, 2000 labels, butterflies needles. Photo Espen Tollefsen. Courtesy Lillehammer Artmuseum, copyright Kari Steihaug
“Labels of remembrance”, 1997-2014, installation, 2000 labels, butterflies needles. Photo Roar Øhlander. Courtesy Lillehammer Artmuseum, copyright Kari Steihaug

Una caratteristica del tuo lavoro è l’uso di materiali tessili di scarto, oggetti abbandonati, non finiti, imperfetti e dall’aspetto decadente. Le tue opere permettono a questi oggetti di essere salvati e riscattati, esaltando il loro ruolo di portatori di un significato legato alla memoria e alle emozioni. Puoi parlarci di questo aspetto della tua ricerca artistica?

Sì, mi piace usare ciò che già esiste, che è già intorno a me e che è stato buttato via da altri. Mi piace la sensazione di continuare seguendo i fili di chi mi ha preceduto, come in un ciclo dove qualcosa inizia e qualcosa finisce. I vestiti sono carichi di ricordi e intimità, i vestiti usati sono personali quanto generici. Penso che quando i vestiti vengono gettati via l’uomo è assente, ma la presenza umana rimane comunque.  I pezzi di lavori a maglia incompiuti che ho collezionato in Archive: The unfinished ones, incorporano storie di ciò che si è rivelato diverso dal previsto. Un lavoro a maglia non finito non è qualcosa che si vuole esporre; spesso viene messo in una borsa in fondo all’armadio. Allo stesso tempo, però, presenta un coinvolgimento personale, è spesso conservato di generazione in generazione, e riempito di tempo e pensieri, dolori e gioie, speranze e sogni.  Dall’altra parte, i materiali usurati e riparati raccontano la vita vissuta.

“Ruin”, 2007, installation, 700 x125 cm. Unraveling knitted wool clothes, threads, steel. Photo Thor Westrebø. Courtesy KODE Artmuseum, Bergen, copyright Kari Steihaug

Le storie sono radicate nei materiali e nei fili. Per me, usare tessuti già esistenti, principalmente capi di maglieria lavorati a mano, significa presentarli in un nuovo contesto, rendendoli visibili così da far emergere altri aspetti della vita.  Lavoro con “readymade”, per lo più realizzati da mani sconosciute, da altre persone, e mi collego a una tradizione di artigianato femminile: riuso, cura e frugalità. Sono cresciuta così e ora la situazione è più precaria che mai in un mondo di abbondanza dove l’industria tessile crea enormi danni alle persone, all’ambiente e al clima. Tramite il mio lavoro, cerco di evidenziare gli aspetti politici e poetici del tessile, dal passato al presente. Questo è anche legato al mio interesse per l’Arte Povera.

“Ruin”, 2007, installation, 700 x125 cm. Unraveling knitted wool clothes, threads, steel. Photo Thor Westrebø. Courtesy KODE Artmuseum, Bergen, copyright Kari Steihaug

“After the Market”, un’installazione del 2009, interpreta “Des glaneuses” (Le spigolatrici) di Millet in chiave tessile. Come è nata l’idea di questo lavoro e qual è il legame concettuale tra gli abiti sul pavimento e le figure femminili delle spigolatrici riprodotte nel quadro lavorato a maglia?

La prima volta che ho visto “Les glaneuses” (Le spigolatrici 1857) di Jean-François Millet è stato mentre studiavo arte tessile a Manchester nel 1997. L’avevo visto per la prima volta sfogliando un libro, e mi aveva colpito moltissimo. Mi sono riconosciuta nelle donne che camminano nel campo raccogliendo i piccoli grani rimasti dopo il raccolto. Pensavo, stiamo facendo tutte la stessa cosa, le tre donne ed io, cerchiamo di prenderci cura di qualcosa che è stato lasciato indietro, qualcosa di abbandonato, un avanzo. Questo atteggiamento è importante per me. Loro raccolgono il grano, io recupero vecchi vestiti e scarti di artigianato appartenuti ad altre persone dai centri di riciclaggio e dai mercatini delle pulci. I grani di Millet sono diventati per me una metafora: i miei grani sono i materiali tessili. Il dipinto riassume quello che faccio. Il titolo che ho dato, “After the market”, indica i resti lasciati dopo un mercatino dell’usato ma rimanda anche al mercato economico e alle spigolatrici del nostro tempo. Una conversazione fra passato, presente e futuro. La connessione tra gli indumenti sul pavimento e le figure femminili è sia concreta che metaforica. Gli indumenti lavorati a maglia, in vari gradi di disfacimento, creano il terreno nell’installazione. I fili, da ogni singolo pezzo sul pavimento, si estendono e conducono all’immagine delle spigolatrici lavorata a maglia. Ho riproposto il quadro di Millet dimezzandone le dimensioni rispetto all’originale. La mia idea è stata quella di farne una copia usando fili di indumenti logori, scartati e in disfacimento. Inoltre il lavoro a maglia è una tecnica lenta che richiede tempo e questo aspetto si rispecchia nel pezzo finale.

“After The Market”, 2009, installation, unravelled knitted wool clothes / knitted image after the painting The Gleaners (1857) Jean-Francois Millet. Photo M.Tomaszewicz. Courtesy The National Museum of Art, Architecture and Design, Oslo, copyright Kari Steihaug

C’è un progetto a cui sei particolarmente legato o che ha avuto un ruolo importante nel tuo sviluppo artistico e professionale?

Nel 1997 ho avuto la possibilità di soggiornare, per uno scambio, alla Manchester Metropolitan University in UK, quest’esperienza è stata molto importante per me. L’industria tessile a Manchester era in declino, e anche se altre attività stavano diventando preponderanti, le fabbriche tessili caratterizzavano ancora il paesaggio urbano. I cambiamenti erano comunque visibili ovunque. Ero affascinata dalle fabbriche tessili abbandonate e di notte entravo in questi edifici vuoti illegalmente, era molto stimolante per me. C’erano enormi sale buie, con tracce lasciare dal lavoro, resti di materiali, pattern e attrezzature. Come rovine di tempo passato, di un’industria e della conoscenza che vi si trovava.

Ho anche visitato Wastesaver ovvero delle grandi aree di riciclaggio di vestiti. Lì ho visto indumenti smistati e impilati secondo colori e tipologia. Alcuni di questi pronti per essere spediti in altre parti del mondo, venduti, riciclati in nuovo filato per fare nuovi vestiti.

“After The Market”, 2009, installation, unravelled knitted wool clothes / knitted image after the painting The Gleaners (1857) Jean-Francois Millet. Photo M.Tomaszewicz. Courtesy The National Museum of Art, Architecture and Design, Oslo, copyright Kari Steihaug

Puoi parlarci di Legacies?

Legacies è un’installazione composta da settanta pezzi di indumenti lavorati a maglia. Questi capi sono stati disfatti e il filo ottenuto riavvolto su vecchie bobine. Infine, da ognuno dei diversi fili ho realizzato un nuovo maglione. Penso che gli indumenti a maglia consumati si possano considerare come una stratificazione del tempo, il tempo che ci vuole per farli, usarli, ripararli e usarli di nuovo. La mia aspirazione è di dare forma visiva concreta alla relazione tra distruzione e nuova creazione tramite il passaggio da una forma all’altra. “Legacies” apparirà sempre incompiuto perché cambia ogni volta che lo installo e traccio nuovi disegni sul pavimento coi fili e le bobine

“Legacies”, 2006, installation, variable sizes, unravelled knitted wool clothes, threads, spools of yarn, knitted sweater. Photo: Tone Iren Eggen Tømte/Lillehammer kunstmuseum. Courtesy Lillehammer Art Museum, copyright Kari Steihaug
“Legacies”, 2006, installation courtesy of the Contemporary Arts Center, Cincinnati, Ohio 2016, variable sizes, unravelled knitted wool clothes, threads, spools of yarn, knitted sweater, Photo Contemporary Arts Center ©Tony Walsh Photography. Courtesy Lillehammer Art Museum, copyright Kari Steihaug
“Legacies”, 2006, installation Salts Mill, UK, 2013. variable sizes, unravelled knitted wool clothes, threads, spools of yarn, knitted sweater. Photo: Kari Steihaug. Courtesy Lillehammer Art Museum, copyright Kari Steihaug
“Legacies”, 2006, installation, variable sizes, unravelled knitted wool clothes, threads, spools of yarn, knitted sweater. Photo: Roar Øhlander. Courtesy Lillehammer Art Museum, copyright Kari Steihaug

Cosa significa essere un’artista tessile oggi? Secondo te, sono ancora presenti quei preconcetti che vogliono riportare la fiber art nell’ambito delle arti applicate o, peggio, nell’ambito dell’artigianato di matrice specificamente femminile?

L’arte tessile ha una posizione forte nel campo dell’arte, come molta altra arte che si basa sui materiali. Credo che il campo dell’arte sia più aperto e inclusivo di prima, lo stesso lavoro può essere letto in diversi contesti.  Per me il mezzo tessile è un fondamento irrinunciabile, il luogo dove ho deciso di stare, con metodi e modi di lavorare che posso trasferire ad altri ambiti. Quando mi sono confrontata con progetti di arte pubblica, per una biblioteca, una casa per anziani o per le scuole ho usato altri materiali e tecniche come il vetro, il metallo e la fotografia. Come artista, voglio essere in grado di muovermi liberamente tra diversi progetti, nuove sfide portano anche nuove conoscenze.

Per quanto riguarda il futuro dell’arte tessile e dell’artigianato tessile domestico, non sono affatto pessimista: sembra esserci una nuova tendenza tra i giovani scandinavi nell’ avvicinarsi alle vecchie tecniche artigianali. I miei laboratori di rammendo sono frequentati da ragazze e ragazzi, donne e uomini. Giovani uomini vengono ad imparare come riparare e prendersi cura del loro maglione preferito, che hanno magari ereditato o comprato in un negozio di seconda mano. Anche i “Repair cafes” sono diventati un fenomeno mondiale. Tutto questo crea un nuovo interesse per il tessile come materiale, anche nell’ambito dell’arte.

“Archive: The unfinished ones”, 1998-2018, 195 A4 photo / text. Photo Espen Tollefsen. Courtesy The National Museum of Art, Architecture and Design, Norway, copyright Kari Steihaug

Come ha influito la pandemia sul tuo modo di lavorare?

Personalmente la pandemia non ha cambiato molto, né nel mio lavoro né nella mia vita; ho continuato a prendere il traghetto ogni giorno per andare sull’isola dove si trova il mio studio fuori dal centro di Oslo. Alcune mostre, conferenze e workshop sono stati cancellati, ma questo in realtà mi ha donato più tempo, pace e spazio per la concentrazione. E mi è diventato più chiaro cosa sia veramente importante, come tutto è collegato e quanto sia fragile l’esistenza. Ora, però quando ci sono nuove ondate di restrizioni e ridimensionamenti, sono preoccupata per i più vulnerabili. Sul lungo termine spero che tutto questo possa indicarci nuove strade per il futuro.

Photo cr. Thomas Tveter, copyright Kari Steihaug

A cosa stai lavorando al momento?

Sto lavorando a un libro sul mio lavoro artistico e a delle nuove opere tessili per una mostra personale a Trondheim nell’autunno del 2022.

Ultimamente mi sto concentrando su arazzi murali taftati (tecnica spesso usata per fare tappeti per uso domestico) nei quali riutilizzo i fili di lana dei vestiti che ho disfatto nelle mie installazioni precedenti. Una nuova installazione è in cantiere e il tempo ci dirà dove andrà a finire.

Maria Rosaria Roseo

English version Dopo una laurea in giurisprudenza e un’esperienza come coautrice di testi giuridici, ho scelto di dedicarmi all’attività di famiglia, che mi ha permesso di conciliare gli impegni lavorativi con quelli familiari di mamma. Nel 2013, per caso, ho conosciuto il quilting frequentando un corso. La passione per l’arte, soprattutto l’arte contemporanea, mi ha avvicinato sempre di più al settore dell’arte tessile che negli anni è diventata una vera e propria passione. Oggi dedico con entusiasmo parte del mio tempo al progetto di Emanuela D’Amico: ArteMorbida, grazie al quale, posso unire il piacere della scrittura al desiderio di contribuire, insieme a preziose collaborazioni, alla diffusione della conoscenza delle arti tessili e di raccontarne passato e presente attraverso gli occhi di alcuni dei più noti artisti tessili del panorama italiano e internazionale.