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A Spoleto i linguaggi della Fiber Art nella seconda edizione della Biennale

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Abbiamo visitato la seconda edizione della Biennale di Fiber Art in corso a Spoleto. La mostra diffusa (quattro le sedi ospitanti) propone un numero cospicuo di opere il cui comune denominatore è il linguaggio che trova nelle fibre e nelle tecniche ad esse correlate il suo medium espressivo. Per volontà degli organizzatori e promotori, la Biennale vuole essere un luogo dove parlare d’arte, un’opportunità per promuovere il lavoro di giovani artisti e per dare visibilità alla ricerca che viene svolta nell’ambito delle Accademie di Belle Arti italiane nonché una finestra aperta sul tessile – materiali e tecnologie – nell’arte contemporanea anche grazie alla partecipazione di artisti e artiste affermati e che perseguono questa ricerca da tempo.

Il percorso espositivo è senza soluzione di continuità di sede in sede non essendoci una suddivisione in categorie (ad esempio tra docenti e studenti), una scelta che pone sullo stesso piano di lettura ogni singola opera.

L’obiettivo di questa edizione è dichiaratamente una riflessione sull’Arte attraverso opere eterogenee per forma e contenuti che indagano istanze urgenti della contemporaneità – dal riciclo all’isolamento dovuto al lockdown – ma anche temi sociali ed esistenziali senza tempo. Ne abbiamo scelte alcune per raccontarvi la diversità di ciò che vedrete raccomandandovi se possibile di visitarla di persona.

Biennale di Spoleto. Panoramica, a sinistra le opere di Anna Moro Lin in omaggio alla carriera. Ph.credit Emanuela Duranti

L’omaggio alla carriera di quest’anno è dedicato ad un’artista recentemente scomparsa, Anna Moro Lin (Rapallo, 1929 – Venezia 2021), attraverso due lavori del ciclo Spazi allusivi presentato nel 1987 alla Galleria Bevilacqua La Masa di Venezia; due collage di carta autoprodotta su garza che procede dalla lacerazione alla successiva ricomposizione casuale dei frammenti restituendo un nuovo e diverso ‘ordine’ compositivo alla forma iniziale.

Biennale di Spoleto. Silvia Beccaria. Ph.credit Emanuela Duranti:
Posidonia, 2014 |
Tessitura a mano (poliuretano, nylon, viscosa) | cm.49×45
Lanternarie, 2016 |Tessitura a mano (poliuretano, nylon, plastica, viscosa, seta shantung) | cm.54×155
Plumas de mar, 2016 | Tessitura a mano ( pliuterano, nylon, viscosa, seta shantung) | cm.58×162

Tra le molte artiste affermate partecipanti c’è Silvia Beccaria (Torino, 1965): la sua installazione multipla Posidonia, Lanternarie e Plumas de mar, parte del progetto di ricerca Luci in fondo al mare ispirata alle creature che vivono nei fondali marini e che grazie al fenomeno della bioluminescenza appaiono differenti tra buio e luce, riflette sulla doppiezza della natura umana tra interiorità ed esteriorità, l’ambiguità tra ciò che mostriamo e ciò che nascondiamo, ma è anche rappresentazione del visibile e dell’invisibile del nostro essere.

Biennale di Spoleto. Opere di Silvia Beccaria e di Elham M Aghili. Ph.credit Emanuela Duranti

E Ilaria Margutti (Modena, 1971) con il trittico Le cose mute, parte della serie Esercizi di vastità, tele interamente eseguite a ricamo a mano sulle quali l’artista ha applicato un merletto realizzato a macchina su disegno libero che conducono la riflessione alla pratica lenta del ricamo e a quanto questa amplifichi la percezione di noi stessi, avvicinandoci al tempo lento della natura, al silenzio e al battito della vita scandito dal ritmico passaggio del filo.

Biennale di Spoleto. Le cose mute, 2017 | Ilaria Margutti | ricamo a mano su tela e merletto a macchina | trittico, cm 120×70 l’uno | ph.credit B.Pavan

Altrettanto interessanti i due progetti corali dell’artista australiana Virginia Ryan, classe 1956: il primo,  Terremotus Femminile (secondo tra gli interventi in Italia del progetto Intransitu iniziato nel 2007), è stato realizzato in collaborazione con il sound designer Steve Feld e con un gruppo di donne dei Quartieri Spagnoli a Napoli nell’ambito della ricerca dell’artista che riguarda memoria, identità e territorio e che hanno dato qui forma alla propria percezione del terremoto del 1980.  Il risultato è un lavoro composto da 10 pezzi cuciti e ricamati portati a termine nell’arco di 6 mesi e presentati nella ricorrenza della data del terremoto. Il secondo, Nascita project, è un’installazione concepita successivamente con un gruppo di ricamatrici di Foligno che per mesi, ogni venerdì, si sono incontrate per ricamare una striscia di tessuto lunga 7 metri e alta 40 centimetri come il panno che fino agli anni ‘50 avvolgeva i neonati, simbolo di cura per la nuova vita e di ataviche occupazioni femminili; un’opera che riflette sul senso della parola nascita e sul significato che ognuna di loro attribuiva ad essa in quel momento.

Biennale di Spoleto. Terremotus femminile, 2008 | Virginia Ryan | ricamo su cotone | cm 100×100 | ph.credit B.Pavan

Biennale di Spoleto. Nascita project, 2009 | Virginia Ryan | ricamo a mano | cm.40×700 | ph.credit B.Pavan

Profondamente evocativa l’installazione di Bahar Hamzehpour (Teheran, 1980) Le donne e la guerra, 12 elementi di oltre un metro realizzati con carta Hanji, fragile e resistente come una pelle, su garza attraverso i quali dà voce alle donne del suo paese testimoni silenziose degli otto anni di guerra tra Iran e Iraq, che ha cercato e di cui ha ascoltato le storie.

Biennale di Spoleto. Le donne e la guerra, 2019 | Bahar Wino Hamzehpour |carta hanji su garza | 12 elementi cm.100×120 ognuno | Ph.credit B.Pavan

Biennale di Spoleto. Le donne e la guerra, 2019 | Bahar Wino Hamzehpour |carta hanji su garza | 12 elementi cm.100×120 ognuno | Ph.credit B.Pavan

Biennale di Spoleto. Le donne e la guerra, 2019 | Bahar Wino Hamzehpour |carta hanji su garza | 12 elementi cm.100×120 ognuno | Ph.credit B.Pavan

Sono arazzi che diventano sculture conquistando una tridimensionalità totemica quelli di Cristina Mariani (Monza 1982): Body of work è un’installazione concepita durante il primo lockdown 2020 che indaga la condizione dei nostri corpi disgregati e digitalizzati, estromessi da ogni relazione con l’altro e relegati alla dimensione digitale per poterli proteggere. Ogni arazzo è un frammento di un corpo il cui pattern rimanda ai circuiti elettronici e alle forme degli insetti.

Biennale di Spoleto. Body of work, 2020 | Cristina Mariani | Tessitura ad arazzo (filati vari in cotone, lana, seta, viscosa, armatura in filo d’acciaio e cartoncino) | cm.300×250 | ph.credit B.Pavan

Biennale di Spoleto. Body of work, 2020 | Cristina Mariani | Tessitura ad arazzo (filati vari in cotone, lana, seta, viscosa, armatura in filo d’acciaio e cartoncino) | cm.300×250 | ph.credit B.Pavan

Al corpo è ispirato anche il lavoro in seta shantung ed organza di seta di Manuela Toselli (Torino, 1971), Pelle sottile, metafora di quell’epidermide che ricrescendo sulle lacerazioni ne protegge la parte esposta. Ogni ferita è un evento traumatico che porta con sé un cambiamento di cui il corpo conserva le tracce, una mappa della nostra evoluzione fisica e spirituale.

Was war è invece l’installazione di Esther Weber (Svizzera 1972) che si interroga su ciò che rimane dentro di noi del nostro vissuto – esperienze, emozioni, sentimenti – con il trascorrere del tempo e che forma abbiano questi frammenti di vita. L’opera è una raccolta di lavori realizzati negli ultimi anni che l’artista ha addensato e compresso dentro a piccole ciotole in legno, ciascuna delle quali è limite e punto, e contiene uno specifico momento del suo percorso artistico collegato con gli altri in un più ampio spazio-percorso sempre in fieri.

Biennale di Spoleto. Was war (Ciò che è stato), 2013-2019 | Esther Weber | Feltro artistico ad acqua, lana, seta, lana d’acciaio, lino, filo sintetico, legno, viti colore, colla | cm.310x40x10 | ph.credit B.Pavan

Biennale di Spoleto. Was war (Ciò che è stato), 2013-2019 | Esther Weber | Feltro artistico ad acqua, lana, seta, lana d’acciaio, lino, filo sintetico, legno, viti colore, colla | cm.310x40x10 | ph.credit B.Pavan

Tra i progetti riconducibili alle Accademie particolarmente interessanti le opere degli allievi (ed ex allievi) indicati da Vanna Romualdi, docente di Decorazione al Biennio specialistico in Decorazione per l’Architettura dell’Accademia di Belle Arti di Bologna. Tra queste, Hybrids, l’installazione di Elham M.Aghili (Sassuolo, 1989) con l’intervento sonoro di Khorshid Pouyan ispirata all’antico Orto dei Semplici di Ulisse Aldrovandi dove nuovi ibridi vegetali realizzati in filo di lana mutuano le forme da quell’antico patrimonio floreale rimescolandosi in combinazioni visionarie quanto dettagliatamente verosimili e unite a sonorità immersive riprese dall’attuale Orto botanico di Bologna. Una riflessione tra selvatico e addomesticato che l’artista propone anche in un secondo intervento, Thi(sea)se di(sea)se, il cui fulcro è un fondale marino abitato da creature tessili dalla medesima ambiguità. Avere in mano di Songy Du evoca il desiderio della relazione con l’altro da sé: una vicinanza fisica difficile da realizzare quanto il ricamo sulle molte mani in gesso che emergono dal bianco della parete. Il senso di estraneità e di smarrimento è il tema anche di The theory of youth di Nikola Filipovic metafora del confinamento che costringe ad un rapporto forzato con sé stessi reclusi tra le mura domestiche.

Numerosi ed interessanti i lavori di docenti e allievi di Accademie italiane che hanno aderito al progetto Ritagli d’autore utilizzando scarti tessili di aziende del territorio per realizzare le proprie opere.

Come, ad esempio, l’opera di Mattia Barone (Cantù 1994), Accademia di Belle Arti di Carrara, simile ad uno Xoanon – gli idoli rituali primitivi che venivano ricoperti di pezzi di stoffa, unguenti e cenere – che sembra emergere da uno scavo archeologico. Un idolo con le gambe che lo ancorano al mondo reale ed un corpo di strati di tessuti e cemento, versione contemporanea di un rito antico per sempre cristallizzato in un gesto artistico ormai privo del significato originale. Oppure l’installazione asfittica di Flavia Spasari (Chiaravalle Centrale 2000) dell’Accademia di Carrara, Asphyxia, in cui il tessuto intrappolato nel cemento non riesce ad entrare in contatto con la terra: un’impossibilità di respirare che si presta a molteplici interpretazioni. E ancora il lavoro di Flaminia Cicerchia (Roma 1995) dell’Accademia di Belle Arti di Roma, che attribuisce qualità termiche del cashmere in quanto materiale che trattiene il calore, la capacità di custodire la memoria. L’artista ha utilizzato il frammento tessile per assorbirne uno di fotografia trovato vicino ad un cassonetto insieme ad altri oggetti personali di un uomo numero di matricola 015146 e modellando un elemento della stessa fotografia nell’argilla attribuendogli uno spazio fisico, l’angolo, luogo marginale eppure carico di tensione in quanto punto di contatto tra due pareti. Un’opera che è appropriazione di una memoria altrui che diventa frammento di esperienza umana riplasmabile, traccia in cui si condensa un’esistenza che è stata e che si è dissolta. Sempre dell’Accademia di Belle Arti di Roma, Andrea Guerra (Urbino 1993) ha realizzato una tela ricamata che riflette sul concetto di ponte in quanto passaggio, collegamento, attraversamento, qui rappresentato in una sintesi geometrica riflesso sulla superficie dell’acqua con riferimento ai ponti del diavolo tanto perfetti da suggerire un intervento non diabolico. Il riflesso della struttura nell’ipotetico specchio d’acqua crea un cerchio che è invece simbolo divino ma anche soglia, punto di incontro tra la realtà tangibile e l’immateriale.

Anche Ornella Rovera (Torino, 1961) docente dell’Accademia di Belle Arti di Torino, con Sinapsi, ricerca punti di connessione capaci di stabilizzare le tensioni e le differenze.

La trasformazione è invece il fulcro di Pensum opera di Lucia Bonomo (Marostica 1989), Accademia di Belle Arti di Brera, in cui dal caos informe del materiale grezzo attraverso un processo di filatura si ottiene una struttura determinata dalla volontà.

Sinapsi, 2016 | Ornella Rovera | Ferro e filo di ferro, dimensioni variabili | ph.credit B.Pavan

Questi sono solo alcuni dei lavori che concorrono a fare di questa edizione della Biennale Fiber Art di Spoleto una panoramica dell’evoluzione di questo linguaggio dell’arte contemporanea in un arco temporale che abbraccia gli ultimi decenni e che guarda al futuro attraverso la sperimentazione delle nuove generazioni.

Barbara Pavan

English version Sono nata a Monza nel 1969 ma cresciuta in provincia di Biella, terra di filati e tessuti. Mi sono occupata lungamente di arte contemporanea, dopo aver trasformato una passione in una professione. Ho curato mostre, progetti espositivi, manifestazioni culturali, cataloghi e blog tematici, collaborando con associazioni, gallerie, istituzioni pubbliche e private. Da qualche anno la mia attenzione è rivolta prevalentemente verso l’arte tessile e la fiber art, linguaggi contemporanei che assecondano un antico e mai sopito interesse per i tappeti ed i tessuti antichi. Su ARTEMORBIDA voglio raccontare la fiber art italiana, con interviste alle artiste ed agli artisti e recensioni degli eventi e delle mostre legate all’arte tessile sul territorio nazionale.