Interviste

ADELINE CONTRERAS

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Adeline Contreras esplora nelle sue opere una memoria collettiva di cui evoca la radice arcaica, ancestrale. Al centro della sua poetica vi è il ‘rifugio’ primordiale, la ricerca di una condizione protetta che attraversa le epoche dell’uomo fin dalla preistoria e che quest’ultimo condivide con gli tutti animali. Bozzolo, nido, tana, casa: le forme scultoree di Contreras rimandano ad una evoluzione sempre in fieri, alludono a quello spazio uterino di transizione tra vita – trasformazione – morte in opere materiche che restituiscono la concretezza tangibile, visibile, vera di questa perpetua metamorfosi. Ibridi, poliformi, diversi per dimensioni, forme, materiali, i ‘rifugi’ sottintendono le infinite possibilità di abitare questo mondo in movimento per trovare il proprio posto.

Adeline Contreras vive e lavora in Francia ed espone regolarmente in musei, centri d’arte contemporanea, fondazioni anche in ambito internazionale.

Copyright Adeline Contreras

La memoria è uno dei temi che affronti nella tua ricerca artistica. Ma cosa significa memoria per te? E quale memoria – personale, collettiva, arcaica – nutre il tuo lavoro?

Il tema della memoria è costante nella scelta dei materiali che raccolgo, che mi vengono portati in laboratorio, che recupero da destra a sinistra. Mi piacciono i materiali che hanno già una storia, che si collocano in una continuità e che restituiscono una nuova prospettiva. La memoria è anche il modo in cui ogni persona ricorda attraverso i suoi sensi la propria storia intrecciata con la Storia collettiva. Il nostro senso arcaico comune a tutti: la pancia. L’habitat originario si riunisce con me nell’involucro originale.

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Come scegli i materiali che utilizzi per le tue opere? Che significato ha il materiale nell’ambito della tua pratica artistica?

Preferisco raccogliere, scovare, materiali che hanno una storia per me. Sono abbastanza fortunata da trovare tessuti provenienti da soffitte, donazioni, cotoni, lini, sete che sono stati usati, patinati dal tempo e dalle persone che li hanno usati. È importante per me inserire i miei pezzi in un’altra continuità. Raccolgo le piante lungo i sentieri, preferisco quelle che sono state calpestate dagli animali, dagli escursionisti. I pezzi di metallo arrugginiti sono raccolti nei campi, ai bordi dell’oceano, è incredibile il tesoro che si trova alla deviazione di un sentiero. Nella ceramica, la terra che uso è quella che ho trovato la prima volta che ho messo le mani nella terra, l’arenaria di Saint-Amand, mi piace il suo colore, la sua consistenza. Una “compagna”, conosco come reagisce.

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Quanto e in che modo la sperimentazione dei materiali è parte della tua ricerca artistica?

Quando mescolo i materiali nel mio lavoro, li sperimento sempre. Questo mi permette di sapere prima di realizzare un pezzo che materia scegliere, quale texture, quale tonalità in base a ciò che voglio raccontare.

Oltre ai materiali, utilizzi molte tecniche dell’ambito tessile: quando e perché ti sei orientata verso il medium tessile come linguaggio espressivo?

Innanzitutto, ho imparato a cucire con mia nonna, che era una sarta; ricordo i momenti condivisi con lei, la vedo ancora alla sua vecchia macchina da cucire, con l’ago che le pende dalle labbra. Per me il tessuto è un materiale molto interessante, prende corpo una volta modellato. Un filo è un filo da srotolare, un tessuto una superficie piatta che aspetta di essere avvolta.

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Come nascono le tue opere? Quali sono le fonti di ispirazione? Come procedi nella realizzazione?

Gli habitat naturali mi ispirano: i nidi, i bozzoli, le mie crisalidi, i semi, le membrane, tutte le strutture che accolgono la vita in evoluzione.

Lavoro sempre a partire da schizzi, riempio i quaderni e poi scelgo il bozzetto che diventerà una scultura. In quel momento sono già a conoscenza dei soggetti e delle tecniche che mi serviranno per realizzarlo. Quindi arriva il momento della costruzione di ogni elemento, tessile e ceramico: questi due universi hanno ciascuno la propria temporalità e i propri requisiti per essere plasmati. Tutto ciò può durare mesi.

Quando tutti gli elementi sono pronti, passo alla fase di assemblaggio, tutti gli elementi si tengono per il tramite del filo, fanno corpo insieme. Sono sempre fedele al mio schizzo originale.

Se la scultura non corrisponde, la rifaccio. Prendermi il tempo per osservare, guardare, fare in modo che ogni materiale si integri con gli altri e trovi il suo posto è molto importante per me.

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Tridimensionali e modulari, alcune tue opere/installazioni dialogano in maniera importante con lo spazio. Come influisce lo spazio – lo studio in cui lavori, l’ambiente in cui vivi e non ultimo lo spazio espositivo in cui si collocano le opere – sul tuo lavoro e sulle opere stesse?

La scultura è soprattutto una proposta di ambientazione della materia nello spazio. Ha un legame importante con il fisico di chi la guarda, è la principale condizione di progettazione di una scultura. Che impatto avrà a livello fisico.  Le mie sculture sono fatte per abitare un luogo, per entrare in comunione con uno spazio, una messa in scena quando si tratta di un’installazione. Queste considerazioni sono per me indiscutibili.

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Un ciclo di tuoi lavori è costituito da libri d’artista. Mi racconti come la dimensione del libro ti ha ispirata e qual è la poetica di queste opere?

Il libro è per me un compagno quotidiano, leggo molto, soprattutto poesia, alimenta la mia vita quotidiana. Il libro-scultura è venuto naturale, volevo raccontare storie proprio con la delicatezza del medium. Storie che parlano di silenzio, che ci chiedono di attingere ai nostri sentimenti, ai nostri ricordi per raccontarci qualcosa.

I libri sono spesso progettati contemporaneamente a una scultura. Ho sempre diversi pezzi in lavorazione nel laboratorio. In alcuni dei miei libri integro dei testi.

Collaboro anche con poeti, illustro i loro testi, rinnovando così i miei primi amori: la pittura e l’incisione.

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Come si è evoluta e come sta evolvendo la tua arte?

Ho iniziato con la pittura e l’incisione, poi il tessuto ha preso il suo posto contemporaneamente alla mia formazione in ceramica. Ho scambiato i pennelli con gli aghi! E naturalmente anche la ceramica ha preso il suo posto. Mi rendo conto che sto realizzando sculture sempre più grandi, ricerche sul volume, la sensazione è eccitante!

Cosa significa essere un’artista per te? E qual è secondo te il senso dell’arte nella società contemporanea?

Essere un artista è un impegno, una scelta di vita, uno sguardo sul mondo. Mostrare il “sensibile”, il “delicato” di ciò che ci circonda.

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Qual è il tuo progetto più recente? E quale nel prossimo futuro?

Recentemente ho esposto al Centre d’art contemporain di Limoges, in Francia. Al momento, mi concedo un po’ di tempo per selezionare i progetti di mostre che mi vengono proposti, da realizzare in laboratorio. Ho progetti di pubblicazioni con due poeti, sono in gestazione, progetti molto interessanti. Gli eventi sono molto importanti per me, una mostra, un progetto artistico, sono costruttivi.

Barbara Pavan

English version Sono nata a Monza nel 1969 ma cresciuta in provincia di Biella, terra di filati e tessuti. Mi sono occupata lungamente di arte contemporanea, dopo aver trasformato una passione in una professione. Ho curato mostre, progetti espositivi, manifestazioni culturali, cataloghi e blog tematici, collaborando con associazioni, gallerie, istituzioni pubbliche e private. Da qualche anno la mia attenzione è rivolta prevalentemente verso l’arte tessile e la fiber art, linguaggi contemporanei che assecondano un antico e mai sopito interesse per i tappeti ed i tessuti antichi. Su ARTEMORBIDA voglio raccontare la fiber art italiana, con interviste alle artiste ed agli artisti e recensioni degli eventi e delle mostre legate all’arte tessile sul territorio nazionale.