ALEXANDER HERNANDEZ
*Foto in evidenza: Seven Minutes in Heaven, 2021. Scampoli di tessuto, vernice spray, filo da ricamo, sacco a pelo di recupero, per gentile concessione dell’artista.
Traduzione a cura di Chiara Cordoni
Alexander Hernandez, artista tessile originario di Oxaca (Messico), classe 1986, si è laureato presso il Rocky Mountain College of Art and Design di Lakewood, (CO) e ha conseguito il Master in Fine Art nel 2012 al California College of the Arts di San Francisco (CA).
I collage tessili, le trapunte e le installazioni di Hernandez, dall’aspetto morbido e giocoso, raccontano e danno visibilità in modo ironico e vivace, attraverso l’intreccio e la sovrapposizione di tecniche e stili diversi, a temi complessi come le questioni di genere e la sopravvivenza all’HIV+. Le sue opere scardinano luoghi comuni e destigmatizzano l’esperienza di essere HIV positivi, ma parlano anche di immigrazione, di identità che nascono dall’ incontro tra culture diverse e dei processi di acculturazione che non sono mai neutrali.
I lavori di Hernandez sono stati esposti in numerose mostre negli Stati Uniti, Canada e Australia, ricevendo riconoscimenti e borse di studio. Molteplici le esperienze che l’artista ha maturato in rinomate residenze d’arte tra cui MASS MoCA a North Adams, MA; Museum of Quilts and Textiles. San Jose, CA; Root Division a San Francisco, CA; Elsewhere Museum, Greensboro, NC; Mark Rothko Art Center in Lettonia e il Vermont Studio Center a Johnson, VT tra gli altri.
Durante il giorno dividi il tuo tempo tra la professione di assistente sociale e quella di artista. Quanto sono interdipendenti questi due aspetti della tua vita? Quanto si nutrono e si ispirano l’un l’altro?
Ho iniziato a lavorare con i giovani HIV positivi nel 2014, in un quartiere malfamato di San Francisco. La gentrificazione e i problemi di droga avevano costretto molte persone senzatetto a dormire per strada. Per andare al lavoro ero costretto a camminare fra le persone che dormivano e scavalcare braccia e gambe che uscivano fuori dalle coperte o dai sacchi a pelo. Inoltre, uno dei miei lavori per strada era proprio di controllare i giovani. Spesso vederli dormire e osservando i corpi vulnerabili delle persone addormentate per strada ha ispirato la creazione di sculture morbide. Ho iniziato a realizzare piccole figurine informate dalla mia passione per le opere di Louis Bourgeois e dalla mia esperienza di vita e lavorativa.
Nel 2016 ho cominciato a realizzare versioni a grandezza naturale e allo stesso tempo hanno trovato posto, nei miei lavori di patchwork e quilting, arti e parti del corpo. A volte è l’attività lavorativa a informare la pratica artistica, e si può anche trasportare l’arte nella vita di tutti i giorni.
Perché il medium tessile?
Inizialmente ho cominciato a dipingere alle superiori e per me era un modo di esprimere i conflitti interiori dovuti al coming out come persona omosessuale. Da matricola ho frequentato una classe di fiber e mi sono innamorato dei tessuti. Ho iniziato ad aggiungere i tessuti ai miei dipinti fino a diventare in tutto e per tutto un artista fiber. Inoltre, quando mi sono trasferito a San Francisco vivevo con un gruppo di performer Drag e ho imparato da solo come impreziosire un outfit grazie all’uso di paillettes, lamé, perline etc. Il cucito è diventato per me un modo migliore per esprimere la mia identità nell’arte usando i tessuti e i materiali presi da ognuna delle mie identità. Posso cucire un ricamo messicano su un quilt americano impreziosendolo con un’estetica queer. Essendo un immigrato di prima generazione, non ho mai sentito una forte appartenenza agli Stati Uniti. E neanche tornando in Messico in vacanza mi sentivo del tutto a casa. Ovunque andassi mi sentivo un outsider. Il patchwork è stato un modo per tessere diversi aspetti delle mie identità al fine di creare un mondo a cui sentivo di poter appartenere.
Il tuo lavoro è fortemente autobiografico. Quali sono i temi più importanti che affronti e che ti stanno a cuore? Come è cambiato il modo di rappresentarli nel tempo, dai tuoi primi lavori a quelli più recenti?
Il patchwork è diventato un modo per cucire insieme tutti questi aspetti diversi della mia educazione e delle diverse influenze per creare degli oggetti d’arte che colpiscano mettendo in mostra la mia realtà. Nel mio lavoro si possono scorgere frammenti della cultura pop, nostalgica; eventi della vita reale possono anche aiutare a dare forma all’identità di qualcuno, se uniti all’eredità culturale e all’educazione. Il mio lavoro è frutto dell’esperienza di un immigrato queer Latinx (Latin*) e del processo di acculturazione che alcuni di noi sperimentano. Spero che altri immigrati e persone che si sono sentite escluse possano ritrovarsi nelle mie opere. I miei primi lavori spaziavano dalla pittura al tessile e alla scultura, ma più recentemente ho cominciato a reintrodurre elementi pittorici. Ho iniziato a usare vernici spray e acrilici per le mie opere, ricordandomi che le cose diventano cicliche nella pratica artistica. Inoltre, siamo sempre nel processo di reinventare noi stessi, sia con nuove esperienze che con vecchie esperienze che reintroduciamo nella nostra vita.
Stayin’ Positive, una mostra importante, densa di lavori e contenuti e che hai dovuto posticipare a causa della pandemia. Ce la puoi raccontare?
Staying Positive è cominciata come una serie di ritratti tessili che investigavano le identità di persone di colore affette da HIV. Ho utilizzato tessuti, disegni, motivi, colori e immagini che mettevano in mostra il background sociale e culturale di ognuno per dimostrare come convivessero con la propria identità di sieropositivo come un modo di sopravvivere fra le varie comunità. La mostra mirava a smantellare gli stigma sociali dell’essere sieropositivi e metteva in luce come chi fa parte di questa comunità sia da considerarsi un sopravvissuto e non una vittima. Doveva aprire il 29 maggio 2020, insieme al Queer Cultural Festival ma è stata spostata a data da definirsi a causa della pandemia. In tutto ciò ho iniziato a modificare i miei lavori per riflettere l’impegno della comunità POZ (sieropositiva) a mantenersi in salute. Aggiungendo arti di animali magici e altre parti del corpo, ho trasformato i miei soggetti in chimere. Si sono evoluti in creature fantastiche che si sono adattate al cambiamento e al caos. Sono poi riuscito ad esporre questi pezzi in una mostra personale presso la FLXT contemporary a Chicago nella primavera del 2021.
In che modo utilizzi icone, personaggi, linguaggi della cultura pop nel tuo lavoro?
Mi sono detto: riesci a cucire insieme diversi tessuti e modelli, perché non introdurre anche elementi digital e pop? Ho inoltre cominciato a stampare la stoffa utilizzando foto dalle app di appuntamenti, o snapshot da meme. Tutte queste cose hanno contribuito a dare forma alla mia identità e a catturare attimi di vita fino ad ora. Ho anche cominciato a incorporare oggetti di recupero come giocattoli, calzini, scarpe e altri elementi che mi sembravano adatti per quello che stavo creando in quel momento.
C’è un progetto a cui sei particolarmente legato e che rappresentato un momento importante per il tuo percorso professionale?
Durante una residenza all’Elsewhere Museum in Greensboro, North Carolina ho creato delle opere che non potevo portare via con me. È in quel momento che ho cominciato a documentare il mio lavoro con foto delle mie sculture e opere che erano installate e che utilizzavano la location come elemento del mio lavoro. Ho fatto foto durante la maggior parte delle mie residenze e dei miei viaggi. Non sono ancora sicuro di cosa ne farò di tutte queste foto, ma sento che in futuro saranno importanti. Ogni foto cattura la mia crescita come artista e questo cattura in qualche modo il mio percorso fino a qui.
Nelle tue sculture, nei collage tessili, emerge una vena umoristica, giocosa, pur parlando di temi importanti, o forse proprio per questo. In che modo l’umorismo ti aiuta a veicolare questi messaggi?
Storicamente le persone LGBTQ hanno usato l’umorismo per far esplodere contrasti fisici e violenti nelle scuole elementari o nei luoghi pubblici. L’umorismo è anche un modo in cui i Latinx affrontano il trauma. È naturale per me usare l’umorismo in questo modo per catturare lo spettatore. Una volta che lo spettatore si è appassionato alle mie opere d’arte, inizia lentamente a scoprire i temi più oscuri e a digerirli a modo suo, come si fa in terapia.
A cosa stai lavorando in questo periodo?
Attualmente sto svolgendo una residenza artistica presso il New Museum Los Gatos, nella Silicon Valley. Mi è stato permesso di esaminare la loro collezione di oggetti storici e sono rimasto affascinato dai quilt e da altri oggetti tessili. Un forte senso di nostalgia avvolgeva la collezione, così ho iniziato ad ascoltare le canzoni spagnole che mia madre metteva su mentre puliva la casa. Queste canzoni non avevano senso da bambino, ma ora da adulto riesco a immedesimarmi, avendo vissuto esperienze simili a quelle che mia madre ha vissuto quando aveva la mia età. La mostra si intitola Retazos, che in spagnolo significa “scarti”, ed è aperta dal 3 giugno al 9 ottobre 2022, con l’inaugurazione il 4 giugno.