ALICJA KOZLOWSKA
*Foto in evidenza: “PAPRIKA CHIPS” closeup- ph: Alicja Kozlowska
Nella sua pratica artistica Alicja Kozlowska coniuga la sua passione per l’arte e per le fibre con la riflessione sulla produzione di massa e il consumismo esasperato.
Nata a Varsavia, in Polonia, si è diplomata in Graphic Design e attualmente studia Domestic Design. Da sempre affascinata dalla Pop Art, Kozlowska crea sculture tridimensionali in feltro ricamate ispirate dagli oggetti di uso (e di consumo) quotidiano della realtà che ci circonda che trasforma talvolta in elementi per performance ed interventi in luoghi pubblici.
Le sue opere sono esposte in gallerie e musei in Europa e negli Stati Uniti, come ad esempio The LAM Museum, Danubiana Meulensteen Art Museum, Pesti Vigadó Gallery.
Nel 2021 le sue opere hanno meritato il prestigioso “Hand & Lock Prize for Embroidery”. Ha numerose pubblicazioni su riviste specializzate come Designboom, Inspirations Magazine, Elle Decoration. Nel 2020 ha partecipato al progetto internazionale #iClapFor. Attualmente sta lavorando a “i.d. project”, uno studio di diversi disegnatori che interpretano diverse personalità.
Alicja è stato di recente selezionata per partecipare alla Fiberart International 2022 che si terrà dal 3 Giugno al 20 Agosto presso la Brew House Association e presso la Contemporary Craft in Pittsburgh, Pennsylvania.
E tra un’opera e una mostra ha trovato un po’ di tempo per regalarci questa intervista.
La prima riflessione che mi suscitano le tue opere è che, a causa dell’evoluzione esasperata di un modello di sviluppo consumistico e di una sovrapproduzione compulsiva oggi acquistiamo non ‘prodotti’ ma una somma di packaging e strategie di comunicazione mentre il contenuto è diventato quasi secondario. Nel caso del junk food, ad esempio, compriamo cibo di dubbia qualità nutritiva ma ‘vestito’ e raccontato meravigliosamente. Nel sollecitare l’attenzione verso gli oggetti della nostra vita quotidiana trasformandoli in opere uniche rientra anche la volontà di indagare la nostra consapevolezza delle cose di cui nutriamo – corpo, mente, spirito – la nostra esistenza?
Nelle mie opere, molto spesso manifesto il mio scarso consenso al consumismo convulso che ci inghiotte. Cerco di costringere lo spettatore a abbandonare la sua zona di comfort per trasformarsi da osservatore passivo ad attivista, attivo per un domani migliore. Ho deciso di rendere visivamente questi aspetti senza deviare dalla direzione che ho scelto, servendomi delle mie tecniche di lavorazione che coinvolgono il tessuto. Grazie a vaste campagne mediatiche, la consapevolezza pubblica del disastro ecologico inesorabilmente imminente sta crescendo. Questo non significa, tuttavia, che avremo successo. Troppo spesso, giustifichiamo a noi stessi un comportamento irresponsabile con la necessità di soddisfare i nostri bisogni quotidiani. Abbiamo un senso interiore di responsabilità sociale, ma quotidianamente ci lasciamo trasportare dalla fretta, dalla mancanza di tempo e dal perseguimento dello sviluppo tecnologico, che apparentemente rende la nostra vita più facile e piacevole.
Attraverso la lente della vita quotidiana mi interessa mostrare lo stato di confusione. Parliamo spesso del problema delle tonnellate di plastica negli oceani o dello scioglimento dei ghiacciai, ma qualcuno presta ancora attenzione alla realtà? Con lo sviluppo della civiltà, il mondo è diventato molto piccolo. Calpestiamo i resti della natura non sviluppata per avere un contatto con essa, creiamo parchi nazionali per proteggere l’ambiente e poi vi trasferiamo tonnellate di rifiuti per poter vedere nuovamente ciò che stiamo perdendo. Il mondo sta cambiando, ma credo fortemente che ognuno di noi abbia un impatto sulla direzione di questi cambiamenti. Vorrei che il mio lavoro potesse agire da stimolo per disturbare la comodità dell’indifferenza e dell’anonimato. La mia idea trainante è quella della sostenibilità, ma questo apre solo uno spiraglio verso un lungo percorso di cambiamento, alla necessità di liberarsi dai legami dell’indifferenza.
Attingi dalla realtà restituendone la rappresentazione…morbida. L’utilizzo del medium tessile ha un valore concettuale in questa ‘trasformazione’?
Prima di tutto, gli artisti moderni, da Pablo Picasso e Marcel Duchamp in poi, hanno stabilito che l’arte può essere realizzata con qualsiasi materiale. I media dell’arte moderna, in questo senso, spaziano da oggetti trovati o appropriati a materiali di tutti i tipi, alle escrezioni corporee dell’artista stesso, al corpo. Seguendo questo percorso, combinando il mio amore per il tessuto con il mio obiettivo, cerco di rafforzare ulteriormente il messaggio ammorbidendo lo strato visivo. Dando morbidezza alle mie opere, cerco di influenzare lo spettatore manipolando i suoi sensi. Tuttavia, posso assicurarvi che i miei oggetti sono tutt’altro che un giocattolo coccoloso.
Osservi il mondo già con gli occhi dell’artista, ovvero come un’infinita fonte di ispirazione, oppure l’idea dell’opera nasce da una riflessione che poi cerca nel quotidiano la forma che meglio può rappresentarla attraverso la pratica artistica?
Sono ispirata dalla vita quotidiana, dagli oggetti di tutti i giorni, dalla cultura di massa, dalle cose a cui non prestiamo particolare attenzione, ma che sono parte indispensabile della nostra vita quotidiana. Tutto questo si intreccia con la Pop Art. È una specie di contagio in senso positivo.
Sono sempre stata ispirata da Andy Warhol e dalla Pop Art. Ciò che nelle opere di Warhol mi ha affascinato di più è l’assoluta eleganza, semplicità e immediatezza dei suoi dipinti – la sua capacità di distillare un mondo di informazioni in un quadro attraverso un intervento minimo ma brillante. La sua opera rivela una profonda complessità sociale e tecnica. Si occupa delle emozioni umane più profonde: desiderio, paura, voyeurismo; come l’individuo si interseca con la cultura. Dipingere cucendo per me è il mezzo per affrontare un’indifferenza culturalmente costruita e profondamente negativa. Andy Warhol ha proposto un modo arguto di elaborare l’eredità di Marcel Duchamp. Sia da Duchamp che da Warhol ho appreso la relazione tra artigianato e produzione di massa, tra opere d’arte e beni di consumo quotidiani. Mentre i tempi cambiavano e si muovevano verso una cultura senza genere e senza confini, Warhol ha incarnato con successo lo spirito dell’epoca. Ora è il momento per me. La sfida è enorme perché il presente è cosmicamente più complicato.
La tua è una pratica artistica lenta e certosina che richiede una manualità allenata, che affonda però le radici in una realtà veloce, immediata, persino effimera e sempre più virtuale. In questa sintesi degli opposti c’è anche una volontà di recupero del valore del tempo e del saper fare con le mani?
Ottima osservazione. È un po’ come l’arte culinaria, il contrasto tra un fast-food e un ristorante squisito dove nutriamo non solo il corpo ma anche l’anima. Il nostro tempo non ha prezzo e purtroppo ce ne ricordiamo troppo raramente. Per me, tutto ciò che è fatto da mani umane ha anche un grande valore. Indipendentemente dal fatto che siano ornamenti murali, dipinti o sculture. Provo a infrangere le tendenze attuali e a perfezionare le mie tecniche.
Nelle tue ‘performance’ la reazione del pubblico colto di sorpresa a scoprire l’anomalia in una situazione o in un ambiente che diamo per scontato, diventa parte integrante dell’opera. Mi racconti come nascono queste performance e qual è il riscontro da parte dei fruitori?
È una parte molto interessante della mia attività artistica. Per i miei progetti, spesso uso lo spazio di negozi dalle grandi dimensioni. Lo faccio in diverse parti del mondo, dall’Estremo Oriente, all’Europa, al Medio Oriente e alle due Americhe. Potete spesso incontrarmi negli spazi pubblici delle grandi città. Capita che mi aggiri in ambienti poco illuminati se il tema del mio lavoro è, per esempio, la degenerazione.
Le reazioni del pubblico sono molto diverse, spesso dipendono dalla cultura di un dato luogo, dalla civiltà o dallo sviluppo culturale. Gli abitanti dei paesi altamente sviluppati reagiscono più spontaneamente, ma ciò non significa che possano leggere correttamente il mio messaggio. Ho anche notato che suscito il maggior interesse tra persone relativamente giovani o nella generazione più anziana. I primi sono interessati all’idea e al significato del messaggio, mentre i secondi si concentrano maggiormente sulla tecnica di esecuzione e sui dettagli di mappatura.
Il tessile ha sempre una caratteristica legata in un modo o nell’altro alla memoria. Ritrovi nella tua scelta di questo medium un legame con una memoria – infantile, famigliare, ancestrale?
Da bambina, mia nonna mi ha insegnato a cucire e a lavorare all’uncinetto. È da lei che ho imparato le tecniche di base più conosciute. Ho viaggiato molto e ho avuto l’opportunità di ammirare il lavoro dei maestri di quest’arte in tutto il mondo. Con il tempo, acquisendo sempre più pratica ho sviluppato il mio stile.
C’è anche una componente ironica nei tuoi lavori?
Inizierò con una citazione di Eric Fischl: “Non c’è niente di insincero nell’ironia”.
Se le mie opere dovessero essere sganciate dall’idea che le ha generate, potrebbero essere considerate tutte ironiche. L’intera corrente della Pop-art potrebbe essere considerata ironica. Secondo me, tutto dipende dalla percezione e dalla comprensione dell’arte. A volte rendo ironici i miei progetti aggiungendo elementi che rompono il messaggio contenuto in essi.
I tuoi sono piccoli lavori che tradiscono una grande padronanza del medium. Quante tecniche e materiali utilizzi nella tua pratica? E quanto impegno ha richiesto questa formazione?
Ho iniziato il mio percorso artistico in maniera tipica attraverso esperienze con la grafica, la scultura e la pittura. Allo stesso tempo, era come se involontariamente mi avvicinassi sempre di più ai tessuti: cucivo, ricamavo e lavoravo all’uncinetto. Ero costantemente stimolata dalla realtà che mi circondava, soprattutto dai problemi politici e ambientali legati alla produzione di massa. Dipingere cucendo per me è il mezzo per affrontare un’indifferenza profondamente negativa e culturalmente costruita. Creo sculture in feltro ricamate in 3D di oggetti quotidiani per fornire un’opportunità di ripensare gli oggetti che diamo per scontati. Creo l’estetica della Pop Art. Nelle mie opere uso un ago come un pennello. Combino vari materiali, etichette, giornali, pellicole, feltro e tessuto.
Per i pochi che ancora considerano le opere tessili solo nell’ambito dell’artigianato e dell’hobbistica e ad appannaggio soprattutto femminile, cosa diresti?
Secondo me il genere non ha importanza. Non c’è bisogno di dimostrare che sono un artista. L’arte è un concetto molto ampio. Non sono favorevole a classificare e definire i processi creativi. Credo che chiunque voglia creare, dovrebbe cercare e sperimentare il più possibile, non limitarsi a una sola tecnica. Se vi manca l’ispirazione e avete l’impressione di ripetere, fate un passo indietro, dimenticatevi delle mode e iniziate a creare. Come diceva Andy Warhol: “Faccio arte solo perché sono brutto e non c’è altro da fare per me”.