Alighiero Boetti – Thinking about Afghanistan
Alighiero Boetti, Tutto, 1988-89, embroidery on cloth, 97 x 134,5 cm
19 Ottobre – 22 Dicembre 2021
TORNABUONI ART PARIS
16 avenue Matignon 75008 Paris
Dopo il successo della mostra “Salman” di Alighiero Boetti alla Tornabuoni Art a Milano nel Settembre 2021, che ha reso omaggio alla figura di Salman Ali, l’assistente storico di Boetti, la galleria è lieta di annunciare la mostra “Alighiero Boetti – Pensant à l’Afghanistan” (Pensando all’ Afghanistan) che aprirà a Parigi il 18 Ottobre 2021 e presenta il lavoro di Alighiero Boetti (1940 – 1994) visto attraverso la lente del suo rapporto con l’Afghanistan e i suoi abitanti.
Nella primavera del 1971, alla ricerca di ‘qualcosa di distante’, Alighiero Boetti scoprì l’Afghanistan. Questo fu l’inizio di una relazione che unì l’uomo e il suo lavoro con gli afgani per 23 anni, fino alla sua morte nel 1994. Boetti mantenne questi legami anche durante il periodo di esilio a seguito dell’invasione Sovietica del 1979, addirittura accogliendo alcuni dei suoi assistenti nella sua famiglia in Italia.
In Afghanistan Alighiero Boetti produce molti dei suoi lavori più conosciuti incluse le Mappe (1971-1994), realizzate da ricamatrici afgane.
Le sue intenzioni artistiche, la sua esperienza del paese e la sua curiosità intellettuale danno origine a opere che fungono da sismografi culturali e geopolitici.
Il suo lavoro è una testimonianza delle trasformazioni sociali e politiche che hanno interessato il Medio Oriente negli anni ’70 e ’80, assistendo, ad esempio alla fuga delle ricamatrici verso Peshawar in Pakistan, dove vennero poi prodotti alcuni degli ultimi ricami.
“Pensando all’ Afghanistan” di Alighiero Boetti, presenta una selezione di lavori caratteristici di questo periodo i “lavori postali”, composti da iconici ricami, e una serie di lavori su carta concepiti nel suo studio di Roma durante il tempo in cui non gli era possibile raggiungere l’Afghanistan. Questi includono: “Primo lavoro dell’anno pensando all’Afghanistan”, del 1990, dal quale la mostra prende il nome. Ad accompagnarlo, è una ricca selezione di fotografie e documenti presi in prestito dall’ archivio della famiglia, che ci permettono di dare uno sguardo nel contesto in cui Boetti lavorava.
La distanza che l’artista ha cercato di percorrere recandosi in Afghanistan è presumibilmente un desiderio di allontanarsi dalla ‘guerriglia’ dell’Arte Povera, movimento teorizzato tre anni prima da Germano Celant, dalla cui impostazione il profondamente sovversivo Alighiero Boetti ha cercato di liberarsi.
La fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta furono segnati anche dall’inizio degli anni di piombo, che videro l’Italia teatro di scontri tra militanti di estrema sinistra e di destra. Alighiero Boetti ammette: “Ho considerato il viaggio da un punto di vista puramente personale ed edonistico. Ero affascinato dal deserto… la nudità, la civiltà del deserto”.
Nel 1971, governato dal riformista Shah Mohammed Zahar, l’Afghanistan era un paese aperto, crocevia di incontro tra le rotte degli hippie occidentali spesso diretti a Kathmandu. Era anche un luogo di commercio e scambio dove si potevano incontrare mercanti Indiani, Pakistani, Iraniani e espatriati europei.
Uno dei primi lavori che Alighiero Boetti creò a Kabul fu “Lavoro Postale”. Insaziabile viaggiatore, Boetti trascorse lunghi periodi in diversi continenti. I suoi soggiorni in paesi come Etiopia, Guatemala e Giappone ispirarono la creazione di queste opere, basate sulla permutazione matematica dei francobolli. I servizi postali, ignari dell’unicità formale di ogni busta che essi stessi determinano mediante l’apposizione di un francobollo, col suo colore e grafica, sono gli anonimi fautori dell’opera d’arte che una lettera diventa una volta giunta a destinazione.
Alighiero Boetti, Lavoro postale (permutazione), 1972 (détail)
In Kabul, Alighiero Boetti incontrò Dastaghir, un giovane impiegato dell’hotel dove alloggiava, che lo aiutò a ottenere una grande quantità di francobolli necessari per realizzare “Lavori Postali”. Nell’autunno del 1971, a Kabul, Boetti aprì con Dastaghir l’ormai famoso One Hotel.
Boetti vi tornava due volte l’anno, spesso con la sua famiglia. Aveva una stanza che, al suo arrivo, veniva trasformata in uno studio, base per i suoi progetti afghani. Dastaghir è stato anche il tramite tra Alighiero Boetti e le ricamatrici afgane che hanno assistito l’artista nell’esecuzione della sua serie di ricami su tessuto, in particolare l’iconica “Mappe”.
One Hotel, Kabul, early 1970s
Ognuna di queste mappe, ricamate con una tecnica ancestrale afgana, è una radiografia del suo tempo, un ricordo della caducità dei concetti nazionalisti e una variazione infinita della stessa regola. Assistiamo al mutamento delle bandiere secondo le fluttuazioni geopolitiche del mondo, ma anche i mari, che sono a volte verdi, viola o blu, gli unici spazi di innovazione cromatica lasciati alla volontà delle ricamatrici afgane che spesso potevano solo immaginare l’oceano da questo territorio senza sbocco sul mare che è l’Afghanistan.
Alighiero Boetti, Mappa, 1983
Un’altra serie dei ricami di Boetti realizzati in Kabul e Peshawar è “Ricami”.
Queste opere costituiscono un ponte tra Oriente e Occidente, tra contenuto e forma, dove l’artista determina il significato della parola e lascia al caso la scelta dei colori. Sono composti da griglie di lettere simili a mosaici combinate in parole e frasi che lo spettatore deve decifrare secondo una direzione di lettura che varia da un’opera all’altra. Le frasi selezionate sono tratte da proverbi, citazioni o poesie sufi. Sono presenti anche le frasi chiave di Boetti (Ordine/Disordine, Segno/ Disegno). Un’opera monocroma di questa serie, importante per le sue rare dimensioni (172 x 178 cm), è esposta in questa mostra.
Alighiero Boetti, Titoli, 1978
All’interno di Alighiero Boetti “Pensando all’Afghanistan”, Tornabuoni Art presenta anche due esempi di “Tutto”, includendo una rara copia a due colori che rappresenta una costellazione fatta di mappe nere dell’Afghanistan su sfondo bianco. Le opere “Tutto”, che Boetti definì come l’apice della teoria e del concettualismo, obbediscono a una regola che combina diversi simboli e forme culturali riconoscibili; posizionati uno accanto all’altro, questi fondono le proprie identità in un “Tutto”.
L’opera d’arte si definisce, i confini di una forma portano ad un’altra. Una molteplicità di significati si apre allo spettatore. Lo sguardo vagare liberamente sui ricami scoprendo una chitarra, un gesto di saluto, una pipa, uno squalo, una pistola, un pennello, una lettera, … Alcune forme sono lasciate all’interpretazione dello spettatore: una forma circolare può essere un sole, una sfera o un occhio. È un gioco infinito di enigmi colorati. I concetti di armonia, perdita di identità e i confini sfocati tra astrazione e figurazione sono al centro di questo lavoro, che è considerato l’apice dell’arte ricamata di Alighiero Boetti e una somma di tutti i suoi lavori precedenti.
Alighiero Boetti, Tutto, 1988-89 (détail)
Le opere ricamate di Alighiero Boetti rivelano la sua filosofia: come artista definisce le regole del gioco invitando gli spettatori a giocare. Boetti pone noi – e sé stesso – in uno stato di tensione tra controllo e casualità, tra l’aspetto concettuale di un’opera e la sua manifestazione fisica.
Le opere su carta conosciute come “Tra sé e sé” sono uniche nel loro processo di realizzazione. Mentre in precedenza Boetti doveva aspettare che i suoi progetti fossero realizzati da altri, in questa serie il tempo tra la concettualizzazione e la realizzazione è notevolmente ridotto.
Nel 1980 l’Afghanistan diventò un territorio inaccessibile, come risultato della criticità del contesto politico e dell’invasione sovietica.
Quasi a compensare questo stato di esilio forzato, e dopo aver subito la perdita della madre, Alighiero Boetti si isolò nel suo studio a Roma e diede vita a un nuovo corpus di opere che rappresenta ed esprime la sua profonda disillusione nei confronti dell’umanità, dei tumulti politici e delle divisioni del mondo.
Boetti aveva originariamente concepito questa serie negli anni ’70, ispirandosi a un gioco che era solito fare con sua figlia Agata. Tuttavia, nel decennio successivo introdusse nuovi lavori, tra cui “Senza titolo” (Primo lavoro dell’anno pensando all’Afghanistan) presentato a Tornabuoni Art Paris.
Su alcune opere, l’artista ha incollato ritagli e foto scontornate, come se stesse catturando su carta le sue preoccupazioni e i suoi pensieri. Alcuni di questi disegni, come suggerisce il titolo, sono stati realizzati da due vedute aeree, mostrando un processo compiuto da un “doppio” di Boetti che spesso usava sia la mano destra che sinistra – in linea con l’esperimento di dividere il suo nome, minando il concetto di unicità dell’individuo, che lo ha portato a firmare le sue opere ‘Alighiero e Boetti’ dal 1972.
Alighiero Boetti, Senza titolo (Primo lavoro dell’anno pensando all’Afghanistan), 1990
“A volte facevamo dei ritagli di carta delle nostre mani e li mettevamo sul pavimento, un paio su ogni lato della stanza. Poi collegavamo i ritagli con una lunga fila di lettere e oggetti di varie forme e dimensioni, partendo solitamente dai pezzi più piccoli, prima di aggiungerne di più grandi. Quando questa lunga fila di “tutto” era pronta, Alighiero metteva le mani ad una estremità e io facevo lo stesso dall’altra, bloccando così gli oggetti interposti tra di noi e completando il circuito. Abbiamo chiamato questo gioco “Tra me e te” e abbiamo finito per realizzare una serie di opere ispirate ad esso. Lui ha chiamato la serie “Tra sé e sé”.
Agata Boetti, Il Gioco dell’Arte, Mondadori Electa, Milan 2016