Interviste

ANTHONY STEVENS

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Il lavoro di Anthony Stevens, britannico, classe 1978, è fortemente influenzato dalla pratica del Buddismo di Nichiren e, in particolare, dal concetto che “niente è sprecato”. Una filosofia che lo ha condotto ad osservare il mondo attraverso una lente creativa, scoprendo il potenziale custodito in ogni cosa, anche la più apparentemente inutile, ma anche ad affrontare con consapevolezza ogni singola esperienza della vita, seppur faticosa o frustrante, come parte di un processo in fieri sempre prezioso. La sua ultima mostra personale alla Candida Stevens Gallery di Londra si è appena conclusa concedendogli un po’ di tempo per raccontarmi di sé e della sua arte in questa intervista.

Anthony Stevens. 2022. Photo Credit. Anthony Stevens.

Innanzitutto sono curiosa di sapere come sei approdato ad utilizzare il ricamo e il medium tessile come linguaggio espressivo?

Il ricamo è profondamente legato alla mia infanzia. Mia madre era una sarta autodidatta molto abile e cuciva vestiti per mia sorella. Mentre lei cuciva, io frugavo nella sua scatola da lavoro; per impedirmi di farlo, mi dava un pezzo di tessuto sopra il quale disegnava con un ago da rammendo e della lana, dicendomi di riempire di colore il disegno e mostrandomi come farlo. Questo è quello che faccio ancora adesso. Non ho mai avuto la pretesa di essere o diventare un’artista. Non è stato che alla fine del 2010/2011, quando ho attraversato un periodo emotivamente molto difficile, che ho ripreso questo filo (scusate il gioco di parole). In quel periodo, ho vissuto un’esperienza molto intensa, legata al Buddismo che praticavo da ormai 15 anni, che mi ha cambiato la vita, anche se in quel momento non me ne rendevo conto. Avevo perso il lavoro e mi sentivo molto precario, per molte ragioni e in molti modi. Cercando una maniera per radicarmi, ho avuto l’idea di comprare un sacco di tessuti usati, e poi ho passato molto tempo ad esaminarli e selezionarli. Cercavo di trovare un valore e potenzialità in ogni scarto, mi chiedevo, ‘come posso usarlo al meglio?’. Mi sono accorto che questo processo rifletteva ciò che stava accadendo dentro di me. Il ricordo di quando mi sedevo con mia madre e “coloravo” con l’ago e la lana mi tornava in mente. In quel periodo, usavo gli scarti tessili per realizzare dei collage che poi esponevo a livello locale. Tuttavia, non vennero ben accolti e così smisi di creare per un po’. Successivamente, il nuovo ruolo in cui mi trovai a lavorare mi aiutò a cambiare il mio atteggiamento. Mi ero rimesso in gioco studiando per diventare “mental health Peer Support Specialist”, per sostenere le persone che vivono esperienze di salute mentale difficili e impegnative. Una gran parte del lavoro consisteva nello scoprire cosa potesse dare significato e scopo alla vita. Mi sono reso conto allora che l’arte aveva questo ruolo per me. Mi stavo trattenendo solo a causa della paura di essere criticato, così mi misi in gioco attuando in prima persona quello che chiedevo agli altri di fare. Da quel momento ho iniziato a seguire il mio percorso, e il resto è storia.

The Universe is full of prayer. 2020. 110cm x 83cm. Photo Credit. Dan Stevens

Nella scelta di materiali di scarto e tecniche antiche che richiedono un tempo lento in contrasto con la velocità della contemporaneità, è insita una critica ad una società che si nutre di shopping online, serie televisive e social network?

Sento che in passato, sì, sono stato molto critico nei confronti di queste cose e questo è emerso nel mio lavoro. Tuttavia, se usati bene, questi mezzi possono migliorare la qualità della nostra vita; questo credo sia stato dimostrato durante la pandemia e i lockdowns.  Credo comunque che sia importante interrogarsi su come usiamo gli oggetti e considerare l’impatto che questi possono avere sul modo in cui percepiamo la nostra vita. Non credo che questa sia una cosa particolarmente facile da attuare, ma personalmente mi sento meglio quando ho tempo di rallentare e concentrarmi su me stesso, percependo la vita com’è, anche solo per un attimo. Il lavoro del ricamo è perfetto in questo senso. Fornisce il giusto equilibrio tra rilassamento e concentrazione e se una di queste cose viene a mancare, lo capisci perché ti trovi un ago nel dito! Lol. Pratiche come questa forniscono uno spazio per permetterci di comprendere.

The sky tells a story. 2021. 69cm x 46.5cm. Phot credit. Anthony Stevens

Sfogliando la galleria fotografica dei tuoi lavori mi è venuta in mente l’immagine di un enorme diario quotidiano redatto attraverso ago e filo al posto della penna, come se la tua arte fosse il taccuino sempre aperto su cui annoti riflessioni, pensieri, emozioni, eventi e fenomeni che attraversano la tua vita. Cos’è la pratica artistica per Anthony Stevens? E c’è soluzione di continuità tra la tua arte e la tua vita?

La mia pratica artistica è profondamente legata a tutti gli aspetti della mia vita. Rappresenta il modo in cui trovo e attribuisco significato e valore alle mie esperienze. In un certo senso è un’estensione della mia pratica buddista, senza di essa, non avrei avuto la saggezza o il coraggio di iniziare né continuare a creare. Ad un livello molto concreto e pratico, il mio lavoro spesso inizia con un’immagine o una frase che emerge mentre recito. Di questa immagine posso fermare uno schizzo veloce o magari scriverla per rielaborarla successivamente; se la sento come un’urgenza creativa, comincio a trasportarla direttamente sul tessuto.

Durante il lento processo di cucitura e ricamo, l’immagine comincia a rivelarmi il suo significato profondo e mi rendo conto che, sì, questa è l’espressione della mia esperienza personale ma, in fondo, queste cose sono anche un’esperienza umana condivisa, quasi archetipica. Questo mi collega al mondo, al passato, al presente e al futuro. Recentemente ho iniziato a fare collage da vecchi disegni, ritagli di carta, ecc. Questi sono la base per il lavoro che sto facendo al momento, dato che il tempo per pensare è diventato limitato a causa di altri impegni.  È un modo diverso di lavorare, ma mi piace molto.

The Patience of Job. 2022. 69cm x 46.5cm. Photo credit. Anthony Stevens

Nei tuoi lavori utilizzi un linguaggio formale che rimanda talvolta all’Art Brut, talaltra all’arte primitiva e non ultimo all’espressività tipica dell’infanzia per indagare e affrontare temi personali quanto universali complessi e profondi. Questa scelta è dettata dall’immediatezza con cui riesci in questo modo a trasformare il pensiero in opera d’arte oppure dalla necessità di veicolarlo attraverso immagini che arrivino con la stessa immediatezza all’osservatore?

Beh, questa è una domanda complicata, quindi risponderò come meglio posso. Sono un artista autodidatta, e come tale, non sono così consapevole delle regole formali dell’arte, del suo linguaggio e dei suoi canoni come qualcuno che si è formato a livello accademico. Queste nozioni non sono profondamente impresse nella mia psiche. Perciò, forse, non devo farci riferimento o pensarci quando creo. Faccio semplicemente ciò che sento essere importante per me e ciò che mi sembra bello da guardare. Forse c’è una pressione minore nel creare in questo modo? Per quanto riguarda l’uso di un linguaggio convenzionale, all’essere umano piace categorizzare, etichettare e definire le cose e io non sono diverso; questo ci aiuta a capire il mondo, il nostro posto in esso e la nostra esperienza.

Night Bloom group. 2021. Photo Credit. Dan Stevens
Night Bloom (Sleep) 2021. 27.5cm x 22cm. Photo Credit. Anthony Stevens
Night Bloom (Shine). 2021. 27.5cm x 22cm. Photo Credit. Anthony Stevens.
Night Bloom (Repeat). 2021. 27.5cm x 22.cm. Photo Credit. Anthony Stevens
Night Bloom (Decline). 2021 27.5cm x 22cm. Photo credit Anthony Stevens

Tra le opere incluse nella tua recente mostra personale alla Candida Stevens Gallery di Londra, c’è NIGHT BLOOMS, un’opera modulare in cui il buio è il tema di sottofondo. Mi racconti questo lavoro e il significato di questa ‘notte’ che ne è il filo conduttore?

Sono molto interessato al ruolo che l’oscurità assume nel processo e nel ciclo di crescita. L’oscurità è essenziale alla vita. Tutti iniziamo il nostro percorso terreno crescendo nel ventre delle nostre madri per nove mesi. Uscirne prima può mettere in pericolo la nostra esistenza. È lo stesso per i fiori e la fauna, prima di sbocciare nella luce i semi devono essere piantati e germogliare nell’oscurità della terra. Dobbiamo dormire nel buio della notte per poter ricaricare i nostri corpi e le nostre menti. Nel corso della nostra vita, tutti noi sperimenteremo periodi di tristezza, depressione e altri momenti bui, sia personalmente che collettivamente. Queste esperienze sono, forse, dei periodi di gestazione per dare alla luce nuove idee o scoprire aspetti di noi stessi e vedere la vita in modo diverso, più pieno?  Tutta la vita è un ciclo di ‘splendore, declino, sonno, ripetizione’.

Nam no1. 2020. 54x68cm. Phot Credit. Dan Stevens

Buste e bandiere sono spesso la base di tuoi lavori: hai scritto delle prime che provi una grande soddisfazione nel ricamarle e delle seconde che sono strane entità. Sono sempre ossessivamente curiosa di scoprire l’origine delle nostre scelte e dunque non posso sottrarmi dal chiederti se questi due elementi hanno per te anche un valore concettuale oltre alla funzione necessaria per la costruzione della tua opera d’arte…

Beh, partendo dalle buste; quelle che ho ricamato, nello specifico, erano tutte imbottite. Ce n’erano di usate sparse in giro e altre che usavo per spedire i pacchi. Quando le maneggiavo, erano così piacevoli da tenere in mano, muovere e stropicciare. Mi sono reso conto che sarebbero stati degli oggetti incredibilmente tattili da ricamare, ed è stato così. Mi è piaciuta molto la sensazione di “croccantezza” dell’ago che perfora la carta prima di incontrare la resistenza dell’interno imbottito. È un’esperienza molto diversa dal ricamare tessuti. Lo consiglio vivamente per alleviare lo stress. Analizzando questo lavoro, mi accorgo che si possono rintracciare elementi legati al riciclo e alla trasformazione di un oggetto banale in qualcos’altro; questi elementi, però, non sono mai stati preponderanti nella mia mente; tutto si basava sul semplice piacere sensoriale.

Per quanto riguarda le bandiere, penso che siano, per loro natura, un’entità incredibilmente concettuale.  Di base, sono solo semplici combinazioni di tessuto colorato, a volte con simboli come delle stelle, a volte no. Eppure, hanno l’immenso potere di unire o dividere gli esseri umani. Sono intrisi della storia, delle lotte e delle speranze delle persone che rappresentano.

Rafforzano l’identità delle persone e possono definirci, ma fisicamente sono solo tessuti colorati cuciti insieme. Per quanto riguarda il mio lavoro con le bandiere, mi interessano le esperienze e i bisogni universali che ci uniscono: il crepacuore, la tristezza, la gioia, la cura per l’altro, tutte le cose buone e i bisogni che come esseri umani cerchiamo nella vita. Sento che questi desideri sono profondamente espressi nelle bandiere di preghiera tibetane. Come avviene nelle bandiere, le qualità che possono portare alla connessione e a cose positive, devono essere delicatamente dispiegate in noi.  È una linea sottile, poiché le nostre esperienze possono avere la capacità sia di unire che di dividere e isolare. Tutti noi, prima o poi, saremo dalla parte di chi dà o di chi riceve queste esperienze. Il cuore può essere reso più duro o più morbido.

Memento Mori No1. 2021. 50cm x 62cm. Phot Credit. Anthony Stevens
Memento Mori no2. 2021. 50cm x 58cm. Photo Credit Anthony Stevens

Come si è evoluta la tua ricerca artistica nel corso del tempo? E, guardando avanti, come si sta orientando?

Penso che col passare del tempo la mia pratica si sia rivolta meno verso l’interno e più verso l’esterno. Per quanto riguarda la ricerca, ci sono moltissime cose che attirano la mia attenzione, sarebbe difficile definire in che direzione sto andando. I lavori a cui mi sto dedicando sono tutti basati su collages che ho fatto l’anno scorso. Attualmente sono molto occupato con il mio ruolo di coordinatore di progetti artistici per un piccolo ente di beneficenza che si occupa di salute mentale. Avere queste opere a cui fare riferimento e su cui lavorare è meraviglioso.

I have still to decline western civilization. 2019. 96.5cm x 76cm. Photo Credit. Anthony Stevens

C’è un’opera a cui sei così profondamente legato da non potertene mai separare – e perché?

Ci sono molte opere che non vorrei vendere o esporre. Il loro scopo era solo quello di essere realizzate e di ricordarmi dove sono stato e dove spero di poter andare.

Barbara Pavan

English version Sono nata a Monza nel 1969 ma cresciuta in provincia di Biella, terra di filati e tessuti. Mi sono occupata lungamente di arte contemporanea, dopo aver trasformato una passione in una professione. Ho curato mostre, progetti espositivi, manifestazioni culturali, cataloghi e blog tematici, collaborando con associazioni, gallerie, istituzioni pubbliche e private. Da qualche anno la mia attenzione è rivolta prevalentemente verso l’arte tessile e la fiber art, linguaggi contemporanei che assecondano un antico e mai sopito interesse per i tappeti ed i tessuti antichi. Su ARTEMORBIDA voglio raccontare la fiber art italiana, con interviste alle artiste ed agli artisti e recensioni degli eventi e delle mostre legate all’arte tessile sul territorio nazionale.