ASHLEY V.BLALOCK
*Foto in evidenza: Keeping Up Appearances (part of Pop Up: The 29th Edition of Miniartextile, Como, Italy) Installazione site-specific 15’ alta x 10’ larga, filo di cotone lavorato all’uncinetto, 2019 [Immagine concessa da Giulia Pini]
Ashley V. Blalock è nata e cresciuta a San Diego, in California. Ha conseguito un MFA in Scultura presso il San Francisco Art Institute e ha frequentato la Skowhegan School of Painting and Sculpture.
Blalock applica tecniche tessili tradizionali e domestiche a grandi installazioni contemporanee che invadono e ridefiniscono lo spazio e in cui ogni elemento – materiale, tecnica, colori e contenuto – confluisce in una narrazione che coinvolge l’osservatore rendendolo partecipe dell’opera stessa.
Selezionata come artista in residenza per il Wassaic Project, Vermont Studio Center, è stata insegnante in visita presso la Arrowmont School of Arts and Crafts.
Le sue installazioni sono state allestite al Hunter Museum of American Art, al Franconia Sculpture Park, al Montgomery Museum of Fine Art, al Paris Gibson Square Museum of Art, al Nevada Museum of Art e al Lux Art Institute.
Il suo lavoro è stato esposto in mostre collettive tra le quali ESXLA, Miniartextil a Como, Craft in America Center, Mingei International Museum e Whatcom Museum.
Sue installazioni site-responsive sono state collocate dentro e intorno a case storiche come quella di Edith Wharton (The Mount), Highfield Hall e l’Heritage Museum and Gardens.
Ecco cosa ha raccontato ad ArteMorbida sul suo percorso artistico e sulla sua ricerca

In un mondo sempre più massificato tu recuperi un elemento che appartiene alla memoria delle nonne e anche di una cultura di cura dell’ambiente domestico fatta di piccole cose uniche e preziose, realizzate con amore e pazienza. Con questo elemento esasperato nelle dimensioni crei grandi installazioni d’arte contemporanea. In questa dicotomia c’è la riflessione su una società votata alla produzione di prodotti di massa vuoti di contenuto, al consumo compulsivo, allo spreco, all’usa e getta degli oggetti come dei sentimenti e delle emozioni?
Sì, in molti modi il mio lavoro è una risposta all’uso eccessivo della tecnologia nelle nostre vite e al nostro allontanamento dal mondo reale. Ho avuto la fortuna di essere stata bambina e adolescente nel periodo in cui la tecnologia era in crescita ma non era ancora una parte fondamentale della vita quotidiana delle persone. Non sono poi così vecchia, ma ricordo che le cose erano fatte meglio ed erano più durevoli, questo valeva anche per gli oggetti insignificanti. Sono scioccata dall’abbondanza di cose usa e getta presenti nella nostra quotidianità e dalla durata brevissima che queste hanno prima di rompersi. Non è solo il fatto che le cose si rompono, ma anche la loro obsolescenza pianificata. Come un tablet che, sebbene ancora funzionante, non si può usare perché l’azienda produttrice non ne supporta più la tecnologia. Cosa si fa in questi casi? Siamo costretti a comprare altra tecnologia o a scegliere di non usare più cose del genere. Se si sceglie di non usare tutta questa tecnologia, allora c’è un giudizio da parte di coloro che la usano. Siamo arrivati a un punto in cui le persone giudicano gli altri in base al loro impegno con la tecnologia.

Quando hai iniziato a sperimentare il crochet e come sei arrivata alle macro opere?
Fin da bambina, ho sempre lavorato all’uncinetto. Ho iniziato ad usare questa tecnica per creare opere d’arte quando avevo 20 anni, dopo essermi laureata al college. Al college ero una pittrice perché tutti sembravano esserlo. C’era un programma di fiber arts al mio college ma non ho mai seguito quei corsi. Sono arrivata ad usare l’uncinetto per creare arte un paio di anni dopo. Ho iniziato a fare opere più grandi molto più tardi, quando frequentavo la scuola di specializzazione. Per me, realizzare qualcosa di grande utilizzando questa tecnica, che era sempre stata usata per cose piccole, è stato un passo coraggioso.

Perché il filo rosso?
Sono molto interessata al significato del colore e alla sua percezione. Tutte le mie scelte di colore recano un significato più grande. Il rosso simboleggia per me sia l’amore che le turbolenze presenti nell’ambiente domestico. Mi piace come un colore possa significare due cose così diverse allo stesso tempo.
Le tue grandi installazioni realizzate a crochet intervengono nello spazio cambiandone la percezione. È un invito a cambiare il nostro punto di vista sul mondo che ci circonda che non è sempre come appare o come ce lo aspettiamo?
Sì, mi piace cambiare la percezione che lo spettatore ha di uno spazio, anche di uno spazio in cui è già stato molte volte. La nostra percezione di uno spazio domestico può cambiare semplicemente con l’aggiunta di mobili o modificandone la disposizione. Il mio lavoro, attraverso la disposizione dei miei centrini rossi, opera nello stesso modo: a volte fanno sembrare lo spazio più grande, a volte più piccolo. A volte aggiungo dei soffitti per dare l’impressione che lo spazio si chiuda. Quando realizzo strutture a tunnel, lo spettatore può sperimentare la costrizione e l’espansione dello spazio mentre vi cammina dentro, attraverso e fuori. Frank Lloyd Wright ha fatto la stessa cosa con i luoghi nella sua architettura e spesso penso a come restringeva lo spazio per aprirlo alle persone che camminavano nelle sue case.

Impiegare una tecnica così lenta e metodica per realizzare opere così grandi rende necessario coltivare la pazienza e acquisire un ritmo diverso che appartiene ad un altro tempo. È in parte anche un esercizio per riappropriarsi dell’istante, persino una pratica meditativa?
Non sorprende che io sia una persona molto paziente e metodica e che il mio lavoro sia meditativo, ma nella mia vita quotidiana vivo praticamente in una diversa “dimensione temporale “. Lo faccio di proposito, forse per nostalgia o per un senso di perdita di quel tempo in cui sono cresciuta. A parte insegnare arte online, con tutta la tecnologia necessaria, l’uso di una macchina per il taglio laser e una stampante 3D per alcuni lavori; generalmente non uso troppa tecnologia nella mia vita.
Non ho gli ultimi gadget e non uso molto i social media. Di proposito ho limitato il mio uso della tecnologia e ho ridotto le possibili modalità di interazione con e-mail e notizie online. Non sono disponibili sul mio telefono, così non possono intromettersi nella mia vita in ogni momento della giornata. Devo sedermi al computer per accedere a questo tipo di cose. La mia casa è un modesto mid-century degli anni ’50 e gli oggetti che la riempiono appartengono a quel periodo o alla mia infanzia. Ho dei telefoni rotativi funzionanti e un paio di lettori VHS che uso ancora per guardare i film. Ho ancora le diapositive 35mm che usavo venti anni fa per insegnare e ho messo un visualizzatore automatico su una mensola nel mio soggiorno in modo da poter guardare alcune delle mie vecchie diapositive. Mi piacciono le cose vecchie, ma non quelle speciali. Mi piacciono le cose vecchie e banali. Le cose che la gente usava quotidianamente.

Memoria e legami: come declini questi due concetti nelle tue opere?
I ricercatori dicono che il cervello è una “macchina che fa previsioni” che determina come comportarsi nelle situazioni future in base a ciò che è successo nelle situazioni passate. La memoria è ciò che è passato, ma non è sempre affidabile. Il modo in cui ricordiamo le cose dipende dalla situazione e due persone possono ricordare la stessa situazione in modo molto diverso. Trovo questo estremamente interessante. Quando le persone incontrano il mio lavoro, lo sperimentano in base a ciò che sono. Per esempio, se una parte chiusa dell’installazione è percepita come confortevole o opprimente dipende dalla persona, dalle sue esperienze e dai suoi ricordi di quelle esperienze. Nelle mie installazioni creo una situazione da sperimentare, ma l’esperienza effettiva dipende dallo spettatore e dal suo passato. Legami è una parola complicata. Oggi si parla molto di connessioni, ma le connessioni che sperimentiamo attraverso la tecnologia non sono la stessa cosa dei legami. Sembrano essere connessioni più fugaci senza la connessione più profonda implicita nei legami. Penso che solo il mondo reale, l’interazione faccia a faccia possa produrre legami. Sono più interessata a quel tipo di esperienza e ai ricordi che ne derivano.

Cosa significa per te essere un’artista?
Essere un artista è avere una visione e condividerla con gli altri. Se riesco a trasmettere un po’ di quello che sento allo spettatore, allora sto realizzando quello che voglio.