Interviste

BARBARA D’ANTUONO

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*Foto in evidenza: Pensées chaotiques Fond Noir-2019-BarbaradAntuono


È l’essere umano al centro della ricerca di Barbara D’Antuono (Varese, 1961) o meglio il suo rapporto con il sacro, la magia, la violenza, la morte, l’aldilà. Una pratica artistica che si nutre di una stratificazione multiculturale maturata tra la Francia e i Caraibi ma, soprattutto, dall’incontro con l’art brut, l’arte popolare e il vodoo ad Haiti dove vive a lungo e dove nasce la sua personalissima cifra espressiva ispirata dalle sue credenze e superstizioni, dalla ricchezza di rappresentazioni simboliche e iconografiche, di riti e tradizioni.

Da circa dieci anni il tessile è il suo medium d’elezione in un’identificazione del cucito con una forma di autoterapia in grado di ‘suturare’ le ferite dell’esistenza. Attraverso un processo creativo che trova la sua forma espressiva nel gesto quasi ipnotico dell’ago affrancato dal limite di un disegno o un progetto ‘prestabilito, D’Antuono esplora le profondità del proprio io in un lavoro meticoloso e dettagliato, denso di riferimenti mitologici e religiosi non senza accenti talvolta umoristici.

Tra le mostre recenti in cui ha esposto, “Créatures des terres minées” Galerie Claire Corcia, Parigi; “Esprits Vagabonds” retrospettiva per l’uscita del libro  “L’œil de la femme à barbe accueilli” , Galerie Claire Corcia, Parigi; Biennale Internationale d’Arts Textiles, Haacht BE, “Empreintes textiles”, Centre Culturel André Malraux, Agen; “Les démons au bout du fil”, Galerie des Art Ménagés, Parigi e, ancora alla Galerie 3F e alla Galerie Monod di Parigi e al Festival d’Art Singulier a Saint Aubin Les Elbeuf.

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Come sei approdata all’arte?

Sono nata a Varese. Mio padre era pugliese mia madre trentina.

Siamo emigrati in Corsica nel 1968 proprio nel momento in cui in Francia era in atto un grande sconvolgimento sociale. È quindi in Corsica che sono cresciuta e che ho fatto i miei studi primari e secondari

Da bambina ero creativa e dotata di un abbondante immaginazione. Ho mostrato attitudine per tutto ciò che era manuale e molto presto mi sono interessata all’arte in generale. Del tutto naturalmente, i miei genitori mi hanno incoraraggiata in questa direzione immaginando per me un lavoro legato alle arti plastiche.

Ma il vento di rivolta e di libertà che soffiò dopo 1968, l’emancipazione della donna che aveva appena fatto un balzo in avanti e la mia certezza che il processo di creazione doveva liberarsi da ogni considerazione accademica mi hanno fatto prendere un’altra strada. Non potevo più pensare agli studi e così dopo il diploma di maturità ho deciso di scoprire il mondo.

La voglia d’avventura e di essere «on the road» era nell’aria, in quel periodo. E così sono partita per una sorta di viaggio iniziatico che mi ha portata ai Caraibi e ad Haiti. Eravamo nel 1982. Quella che doveva essere solo una tappa del mio viaggio si è trasformata in un soggiorno che durerà cinque anni.

Questo piccolo paese di straordinaria ricchezza culturale mi ha dato una scossa elettrica.

L’incontro con l’opera dei pittori del movimento St Soleil, la prima comunità artistica rurale, e la loro libertà di espressione pittorica e stata decisiva per me. Tutto e diventato possibile. Creare è divenuto un bisogno, una necessità.

Erzuli Freda-2016-81x86-BarbaraDAntuono

Perché hai scelto il medium tessile come linguaggio espressivo?

Non è sempre stato così.  Arrivata ad Haiti le mie prime creazioni si ispiravano più all’art brut popolare. Montaggio, collage, creazioni di feticci, scoperta della pittura.

Al mio ritorno in Francia nel 1986 mi sono dedicata quasi esclusivamente alla pittura. Tuttavia ho iniziato a lavorare con tessuti facendo bambole ispirate al voodoo. È stato nel 1999 che ho iniziato il mio primo bassorilievo tessile, alla morte di mio padre, pur continuando a dipingere ed in seguito, nel 2013 quando è morta mia madre, mi sono definitivamente dedicata totalmente ad esso

Quando cucio, riparo, ricamo le mie preoccupazioni e suturo le ferite dell’anima. Ricostruire per ricostruirsi. C’è qualcosa di ipnotico nel gesto ripetuto dell’ago che attraversa il tessuto, assembla, sovrappone. Riporto in vita i miei defunti (come nella serie Chroniques funebres), esorcizzo i miei demoni. Racconto storie di vita e di morte facendole esistere sulla tela, come un mantra che recito. Non penso più, conta solo il gesto. La pacificazione è totale, istantanea non appena comincio a cucire.

Uso il tessuto come una tavolozza di colori. La trama, le stampe, i motivi decorativi, la diversità e illimitata, la materia prima inesauribile. La nostra società di consumi produce senza contare, compriamo, buttiamo via, ricompriamo…colleziono vestiti vecchi qua e là, non mancano, fa bene a me, fa bene al pianeta.

D’altra parte, per una come me che viaggia spesso è molto pratico cucire: pochissimo materiale da portare, non c’è bisogno di avere un atelier, posso essere nomade e questo mi dà una grande sensazione di libertà.

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Quali sono le fonti di ispirazione del tuo lavoro? E quali fattori hanno maggiormente influenzato la tua arte?

Sono stata subito affascinata dalla storia di Haiti, la prima repubblica nera al mondo (1804). Mi sono interessata al culto vodoo e ai suoi spiriti, al suo simbolismo. Il personaggio del Barone Samedi, spirito dei cimiteri, o Erzuli rappresentazione della Vergine, personaggi che ritrovi spesso nei miei quadri.

Il sincretismo, una fusione di immagini giudaico-cristiane, e il vodoo, è stata la mia prima fonte di ispirazione, poi, il mio lavoro s’è arricchito di incontri: arte africana, arte grezza (art brut) in tutte le sue forme, arte popolari in generale, senza dimenticare i miei primi amori – il Rinascimento italiano, Hyeronimus Bosch, Gauguin, e molti altri.

Il viaggio è anche una grande fonte di ispirazione. Faccio regolarmente trekking sui vulcani attivi. Quando guardi il fondo di un cratere è il cuore della terra che vedi battere, è un’emozione immensa.

Senza dimenticare la musica che ha sempre fatto parte della mia vita.

Faiseur De Pluie-64x58-2021-BarbaraDAntuono

Cosa racconti nelle tue opere? Quali significati veicolano?

Nel 1986 ho assistito al colpo di stato che ha preceduto la partenza del dittatore Jean Claude Duvalier, figlio del famoso e sanguinario Papadoc. Lo stato di emergenza, il coprifuoco, gli abusi, gli omicidi a cui ho assistito mi hanno scossa nel profondo.

Naturalmente, mi sono interrogata sulla violenza, sul nostro rapporto con la morte, con il sacro, il posto occupato dalla magia e dalle superstizioni molto presenti ad Haiti, la nostra spiritualità di fronte alla nostra condizione umana.

Tornata in Francia dopo questi tragici eventi, mi sono ammalata. Ero molto grave. Non avrei dovuto sopravvivere. Il destino ha deciso diversamente. La morte è quindi sempre presente nel mio lavoro.

Cerco di addomesticarla, di comporre con lei. Immagino la mia mitologia che arricchisco in ogni nuova composizione. Non c’è nessun inferno, nessun paradiso, ma un regno dei morti dove nulla è fisso dotato di una propria esistenza, una sorta di “inframundo” come troviamo nella mitologia Maya, un mondo sotterraneo dove i morti si ritrovano tra di loro.

Tuttavia, non penso che il mio lavoro sia oscuro o morboso. I colori sono sempre presenti. C’è anche una cifra ironica, umoristica. Racconto storie universali, tengo un diario. Esorcizzo i miei demoni dando loro sostanza sulla tela. Trascrivo anche i miei sogni.

Non ho un piano prestabilito quando inizio sulla tela. Lascio che le immagini vengano da me, non pongo nessuna barriera, nessuna censura. Prendo ciò che viene. A volte scrivo parole, a volte frasi, la mia penna è un ago, l’inchiostro è il filo.

Le nostre preoccupazioni, le nostre paure, le nostre convinzioni ma anche la maternità, la trasmissione, la natura, la casa, ecco di cosa parlo.

Sono felice durante le mie mostre quando le persone mi dicono che la mia arte li fa stare bene, che si ritrovano nelle mie storie, che vi echeggiano le loro stesse esperienze.

Qui A Dit La Mort - 2020 - 98x92 - Barbara Antuono

 Come è cambiata la tua arte nel corso del tempo?

Il primo grande cambiamento è stato il passaggio dalla pittura ai tessuti.

Sulla forma, mi ci è voluto del tempo per perfezionare la mia tecnica per realizzare bassorilievi che richiedevano la fabbricazione di strumenti adeguati. Oggi, padroneggio totalmente questo aspetto del mio lavoro e di conseguenza ho guadagnato in velocità. Per i pezzi piu grandi, invece, mi occorrono sempre da due a quattro mesi di intenso lavoro.

In fondo, penso che mi rivelo sempre di più, mi espongo di più. Parlo del mio intimo.

Mi piace esplorare la mia psiche, più è complessa, più materiale ho per le mie creazioni. Sono in un certo senso sdraiata sul lettino dello psicanalista e racconto tutto quello che mi passa per la testa. Le mie mani fanno il resto.

Quello che è cambiato è anche il desiderio di lavorare in coppia con un altro artista, da qualche tempo collaboro con un compositore The Talk of Creatures Del label le Horla music prod che compone musiche originali e colonne sonore per le mostre, i video, e i teaser. Il suono si unisce all’immagine. Ritrovo cosi il mio primo amore di gioventù. La musica molto particolare di questo compositore è in totale simbiosi con le mie opere e contribuisce a creare un’atmosfera misteriosa e ipnotica durante le mie mostre.

Una conduce all’altra. È di grande ispirazione. La nostra collaborazione durerà nel tempo.

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Cosa significa per te essere un’artista?

Avere uno sguardo singolare su ciò che ci circonda, sentire le emozioni con forza e avere l’urgenza di trascriverle, senza concessioni, riuscire a cogliere il bello nell’ordinario e nel brutto, e soprattutto avere l’assoluta necessità di creare.

Ma ovviamente, tutto questo è mio, immagino che ognuno abbia la propria definizione di cosa significa essere artista.

Barbara Pavan

English version Sono nata a Monza nel 1969 ma cresciuta in provincia di Biella, terra di filati e tessuti. Mi sono occupata lungamente di arte contemporanea, dopo aver trasformato una passione in una professione. Ho curato mostre, progetti espositivi, manifestazioni culturali, cataloghi e blog tematici, collaborando con associazioni, gallerie, istituzioni pubbliche e private. Da qualche anno la mia attenzione è rivolta prevalentemente verso l’arte tessile e la fiber art, linguaggi contemporanei che assecondano un antico e mai sopito interesse per i tappeti ed i tessuti antichi. Su ARTEMORBIDA voglio raccontare la fiber art italiana, con interviste alle artiste ed agli artisti e recensioni degli eventi e delle mostre legate all’arte tessile sul territorio nazionale.