Biennale di Firenze – Arte e medium tessile
Ho visitato la XIII Florence Biennale che, come annunciato dal titolo di questa edizione, Eternal Feminine | Eternal Change, aveva nelle molteplici sfaccettature della femminilità il suo tema centrale, indagato attraverso i diversi linguaggi dell’arte e muovendo lungo due direttrici, l’Eterno Femminino e il cambiamento che, continuamente, ridefinisce i contorni e i contenuti del concetto di femminile.
Due padiglioni, 450 espositori, appuntamenti quotidiani tra incontri, conferenze, proiezioni, premiazioni. E una presenza interessante dei linguaggi della Fiber Art e del medium tessile impiegato nell’ambito delle arti contemporanee e del design. E, naturalmente, della moda. A partire dal Premio Leonardo Da Vinci alla carriera per il design conferito a Vivienne Westwood in un’area teatro della Fiera affollatissima e che ha accolto la stilista e attivista britannica con una standing ovation. Nel Padiglione Spadolini un allestimento tra manichini, video e foto ripercorreva le tappe di una carriera spesa tra moda, design e campagne in difesa dei diritti umani e dell’ambiente.
È indubbiamente nel padiglione Cavagnilia del progetto SPECIAL CONCEPT curato da Fortunato D’Amico che ho trovato gli interventi più interessanti per me.
L’opera della guest artist Sara Conforti (Torino, 1973) innanzitutto. Diplomata all’Istituto Statale d’arte “Aldo Passoni” per il disegno della moda e del costume (Torino), ha studiato Storia dell’Arte Moderna e Letteratura Artistica al DAMS a Torino con un Master in Comunicazione Ambientale allo IED. Dal 2003 al 2011 è stata assistente creativa dell’artista Michelangelo Pistoletto e Cultural Manager per Cittadellarte – Fondazione Pistoletto. Dal 2013 collabora nell’ideazione di progetti artistici e performativi con Campagna Abiti Puliti – Clean Clothes Campaign la più grande alleanza del settore abbigliamento di sindacati e di organizzazioni non governative per il miglioramento delle condizioni lavorative. Per FAIR e Campagna Abiti Puliti è ideatrice e supervisore artistico del docufilm “The wings are not for sale” (2021).
Dal 2014 collabora con Associazione tessile e Salute nella redazione di progetti artistici per la divulgazione degli impatti in materia di eco-tossicologia nei settori tessile e moda. Un’artista e attivista che esplora la complessità del tessuto sociale e di genere: nella sua ricerca l’abito da oggetto-simbolo di una società iper-consumistica diventa il perno di riflessioni che conducono dall’identità individuale a quella collettiva attraverso la riattivazione di processi condivisi e pratiche manuali che dalla dimensione biografica confluiscono in opere corali. Una visione dell’arte la sua che si fa impegno morale e politico, che informa una pratica che si radica e coinvolge la comunità, il luogo ed il momento in cui questa si riconosce e costruisce relazioni, nell’intento di superare una dilagante cultura che teme la durata nel tempo di cui il consumo di indumenti né è specchio fedele.
Centosettantaperottanta | What comes first è un’installazione site e context specific, un progetto nato dalla collaborazione con Moleskine Foundation e ispirato dal tema del progetto educativo AtWork 2022.
L’installazione è realizzata grazie alla donazione di pregiati scarti di produzione di aziende che adottano processi industriali eco-sostenibili e certificati. I tessuti in 100% Poliestere sono stati prodotti con filati derivati dal recupero di bottiglie di plastica post consumo. Le stampe sono state realizzate con processi water free and energy saving.
Centosettantaperottanta è un contenitore esperienziale tra talk, archivio e performance che l’artista impiega da dieci anni per condurre la sua indagine nella cultura e società contemporanea attraverso il rapporto tra abito e habitus. “I workshop rappresentano uno spazio di esplorazione dedicato all’universo femminile dove il valore pubblico e privato della vestizione incontra la possibilità di svelarsi. Incentrati su una prassi tassonomica i laboratori declinano e moltiplicano i diversi capitoli di una ricerca che scava nei guardaroba per cercare e condividere risposte sul rapporto con la contemporaneità. Gli indumenti d’affezione – in particolare – diventano protagonisti di autopsie “affettive” e fulcro di un viaggio del sé per la nascita di nuove narrazioni che ispirano il cambiamento.” (S.C.)
Poco più in là, l’installazione dell’artista e performer Loredana Galante di cui abbiamo già scritto qualche giorno fa.
Nello stesso padiglione anche il progetto in collaborazione di tre artisti internazionali provenienti da diverse discipline artistiche: Ercole Pignatelli (1935) il cui percorso artistico include due partecipazioni alla Biennale di Venezia (1978 e 2011) e innumerevoli riconoscimenti con opere esposte in collezioni pubbliche e private di tutto il mondo e mostre in ambito europeo, da Milano, passando per il Parlamento Europeo a Bruxelles fino agli Stati Uniti – New York, San Francisco, Washington, Philadelphia; Laura Zeni (1962) artista e designer le cui creazioni spaziano dalla pittura alla scultura, al design ed ai gioielli, con all’attivo – tra le altre – partecipazioni al Fuori Salone di Milano, alla Biennale Italia-Cina di Torino, all’Archivio di Stato di Roma ed una personale alla Triennale di Milano nonché opere in collezioni permanenti come quella del Museo del Parco Internazionale di Scultura di Portofino; e Giuliano Sangiorgi (1979) cantautore e musicista, fondatore dei Negramaro (2000) di cui è superfluo indicare i molti successi, e con all’attivo collaborazioni a progetti di ampio respiro come Rezophonic (2006) e La Notte della Taranta (2007) e con artisti del calibro di Dolores O’Riordan con cui ha duettato nel 2007, e ancora Jovanotti, Elisa, Claudio Baglioni, Patty Pravo, Adriano Celentano, Franco Battiato e molti altri.
Anime, il grande tappeto disegnato da Laura Zeni, è lo spazio definito che accoglie le sagome dell’artista e le teche di Ercole Pignatelli, un universo femminile raccontato attraverso una galleria di oggetti/dipinto complementare alla narrazione anima/corpo e che la poesia inedita di Giuliano Sangiorgi, “Nudi”, sigilla in un microcosmo che consegna al visitatore una dimensione intima e raccolta, quasi una relazione esclusiva e personale, con il femminino.
L’opera di Barbara Uccelli, Baby bride è parte di un più ampio progetto che indaga il fenomeno delle spose bambine, un cancro ancora troppo diffuso in molte culture.
L’artista ha fortemente voluto imparare dalla nonna la tecnica del frivolè, un pizzo antico e prezioso, per secoli nel patrimonio del corredo e nel velo delle spose, per mantenere la memoria di generazioni di certosino lavoro femminile. Questa conservazione di competenze e abilità tradizionali consente all’artista di conferire alle sue opere la profondità del tempo.
Questi pizzi assumono nelle sue mani la tridimensionalità della scultura, trovando una relazione inaspettata con lo spazio in installazioni che raggiungono talvolta dimensioni ragguardevoli e che traghettano un sapere antico in un linguaggio della contemporaneità.
L’opera in mostra è una sposa invisibile, così come lo sono le bambine che vengono date in moglie senza alcuna consapevolezza. Un abito, una piccola sagoma di pizzo che evoca un corpo che non c’è.
Dopo la laurea in Scienze della Comunicazione, Barbara Uccelli ha iniziato un percorso di formazione artistica specializzandosi nelle regia teatrale e nella coreografia. Il suo approccio all’arte è figlio di studi personali orientati alla contaminazione tra diverse forme di espressività.
E ancora, le installazioni di Patrizia Benedetta Fratus, lavori che lei stessa dice realizzati d’istinto per un desiderio di dare forma e corpo ad un’altra storia. Sono creature che mi nascono dalla ricerca delle radici della violenza sulle donne. (P.B.F.)
Donne che l’artista strappa dall’oblìo raffigurandole nelle ‘pagine’ di un libro/paravento o quelle di “Radici”, cinque figure installate in un cerchio che allude a riti ancestrali. Forme che evocano le migliaia di dee ritrovate da Marija Gimbutas e realizzate con scarti di lavorazione delle calze. Materiale sottratto all’inceneritore, lo stesso che l’artista usa per i suoi progetti nelle case rifugio: metafora perfetta, interi sacchi di materia senza futuro che, attraverso l’arte, diventa veicolo di nuove possibilità, di una nuova vita. Upcycle – dice – riqualificazione materiale e umana. Perché il filo è un tramite, l’opera siamo noi. Raccontando storie, raccontiamo mondi.
Patrizia Benedetta Fratus nasce a Palosco nel 1960 da contadini urbanizzati e, dopo le scuole dell’obbligo, inizia a lavorare. A 23 anni torna a studiare e dopo alcune esperienze nell’alta moda, si diploma nel 1999 all’Istituto Marangoni di Milano. Lavora nella sartoria del Teatro alla Scala e nel 2004 debutta come artista a Parigi nella galleria Edgar le Machand d’Art. Seguono mostre in gallerie a Brescia, Milano, Londra e Parigi. Vince il premio Nocivelli e ArteCairo nel 2009. Sollecitata dalla cronaca di continui femminicidi, realizza la prima bambola “Cometumivuoi” e dal 2012 lavora a progetti di arte relazionale e ambientale collaborando anche con case di accoglienza e scuole in una visione dell’arte come strumento di sperimentazione intellettuale ed empirica di consapevolezza, autosufficienza e autodeterminazione, indispensabili per l’emancipazione umana.
Ultima ma non ultima, l’opera di Maria Francesca Rodi (1986) e collettivo artistico “Il nodo LaChicca&LeSciure”. Rodi ha studiato arte e moda formandosi poi attraverso diverse collaborazioni con brand italiani ed internazionali. Assistente di un’artista pop fino al 2014, anno in cui si trasferisce in Australia dove lavora come illustratrice per marchi di moda impegnandosi al contempo in una ricerca artistica tra materiali ed espressione dell’essere. Al rientro in Italia intraprende diverse collaborazioni tra cui Fondazione Pistoletto dove nel 2016 viene premiata nell’ambito del contest Abito Terzo Paradiso. Nel 2017 ha fondato il collettivo “Il nodo LaChicca&LeSciure” con le signore in pensione dei quartieri popolari delle periferie sud di Milano con lo scopo di portare speranza e rigenerazione attraverso l’arte e relazioni virtuose. I progetti di Maria Francesca Rodi soddisfano le direttive e gli obiettivi globali dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
Albero siamo tutti è una scultura tessile realizzata con tessuti riciclati. Una preghiera a Madre Natura perché, come dice l’artista “abbiamo bisogno di riannodare le memorie di quelli che hanno vissuto in armonia con la natura per trasmetterne i valori alle nuove generazioni, abbiamo bisogno di riannodare la solidarietà e l’essenza che non ha genere, poiché alla fine siamo tutti rami dello stesso albero.”
Il tessile è anche il medium di alcuni artisti esposti al Padiglione Spadolini. Riitta Nelimarkka, artista finlandese capace di usare i colori con straordinaria libertà, espone “My very determinated grandma” un grande arazzo che fa parte della nuova serie dedicata al potere dell’ironia femminile. Le sue opere sono spazi popolati da creature fantastiche, dove la realtà si intreccia con la gioia, il gioco, la fantasia, l’illusione. L’artista ha studiato Pittura a Parigi, Animazione a Stoccolma, Storia dell’arte e Teoria della Musica all’Università di Helsinki. Nelimarkka ha pubblicato oltre 20 libri, esposto in Musei e sedi istituzionali in molti paesi ed ha ricevuto premi e riconoscimenti internazionali.
Colorata e divertente è anche l’opera di Milena Zdravkova, laureata alla National Academy of Fine Arts di Sofia, da sempre innamorata del tessile in quanto eredità universale trasversale a tutte le culture, pratica artistica e artigianale. L’artista ha approfondito tecniche diverse dalla tessitura dell’arazzo contemporaneo fino al design. Ha esposto in diversi paesi Europei e negli Stati Uniti. Per le sue opere utilizza prevalentemente materiali riciclati e tessuti e filati tinti a mano. Una delle sue tecniche preferite è il collage tessile. Vive a Londra da qualche anno.
Jules Vissers è invece un’artista italo-olandese che ha conseguito un Master in Arte Tessile all’Accademia di Belle Arti di Firenze. Sperimenta tecniche e materiali diversi per realizzare opere tessili dai suoi disegni digitali e dagli acquerelli. “Tre Grazie”, il lavoro in Biennale, mentre allude all’eterno femminino evocato dalla bellezza classica e divina delle omonime botticelliane le consegna alla contemporaneità attribuendo loro identità, fisicità e personalità e libertà.
Concludo questo percorso con l’elegante opera di Ase Froyshov, espressione della grande tradizione norvegese dell’arazzo.