Coperte di marmo, bozzoli di filo e ombre nere. Tre opere di Carla Crosio
*Foto in evidenza: Carla Crosio, Ho freddo, dettaglio
Carla Crosio ha battezzato una sua opera Genesi. Un titolo impegnativo, fortemente evocativo, che nel suo caso è però da intendere non nell’accezione biblica di “origine”, piuttosto in quella eliotiana di una “fine” che è preludio a un nuovo inizio: “Ciò che diciamo principio spesso è la fine, e finire è cominciare”, ha scritto il poeta. Questo lavoro di Carla è nato dal dolore (personale e collettivo) e il dolore, si sa, rovescia la vita, cambia prospettive e obiettivi, toglie luce e speranza. Ma quando non annienta regala saggezza, consapevolezza e nuova energia: “nascere non basta. È per rinascere che siamo nati. Ogni giorno” avrebbe potuto commentare laconicamente Neruda. La genesi è tutta in quei “semi”, e sono centinaia, che giacciono a terra in un ordine casuale, sparsi lungo il perimetro di una sala del castello di Lenta (la mostra si è conclusa il 25 settembre): alcuni sono in marmo policromo, altri sono in grès o in metallo e altri ancora sono orditi con la lana e hanno il colore dell’humus, dell’autunno, della terra. Potenzialmente fecondi, questi bozzoli rigonfi promettono vita, aspettano di schiudersi, sono pronti a rinascere. Soffici, avviluppati in piccole matasse, i fusi di filo stridono vicino ai fratelli neri in raku, decisamente più aggressivi, pronti a proliferare in maniera endemica, virulenti e minacciosi. Chi avrà la meglio?
Poco più in là, adagiata sullo scheletro arrugginito di un letto, una “coperta” realizzata con pezzi di marmo di carrara, cuciti uno all’altro con un filo di lana bianca a formare un insolito tessuto mosaicato. Se nella forma rimandano a un avvolgente plaid, nella sostanza trasmettono tutto il peso e il gelo della dura materia marmorea. Ho freddo dichiara in maniera esplicita il titolo. E per capirne il motivo è sufficiente leggere le parole di Carla: “Ci sono giorni in cui mi è difficile capire. Non comprendo la vita che mi circonda, metto in discussione la mia. Oggi mi costruisco una coperta. Una coperta così grande da seppellire le mie ansie, che copra i miei timori. […] Ho bisogno di rintanarmi in un nido che mi comprenda, che avvolga i miei pensieri. […] Troppi ormai gli accadimenti che non condivido, troppa la forza che ci vuole per combatterli tutti. Affido al mio lavoro il mio dissenso. Tutti i miei no”. Intanto, nugoli di mosconi (perfette riproduzioni in silicone di quelli veri) colonizzano gli anfratti e, come avviene in natura, solo a vederli esalano un odore di morte.
Oltre la porta, nell’antico cortile che trasuda di storia, una gigantesca Ombra nera (300 metri quadrati di plastica intrecciata) si riversa nello spazio rigurgitata dalle antiche grate in ferro. Una marea nera foriera di sinistri presagi: “È il demone di massacri religiosi in nome di un dio qualsiasi – scrive Carla -. In nome del potere che si giustifica con infinite oscure sfumature. Pare un’ombra atomica, porta in se un fungo formato da pesante fumo bianco. Miracolo che, di divino, non ha proprio nulla. Si tratta piuttosto di una stregoneria in nome di un progresso tecnologico generata da menti umane perverse. Coprimi, ho freddo! È una notte senza stelle. Vedo in un bidone, archivio di dati contemporanei, vedo nella nostra tomba collettiva, un sacco di plastica nera, utero di un corpicino appena nato. Spazzatura con un cuore cui non è stato permesso di battere. Su quanti e quali altari dovremo appoggiare le nostre colpe per salvarci l’anima? E la mia anima ora è fasciata da un grande freddo. […] Stasera ho bisogno di silenzio. Da sempre il silenzio parla ai miei pensieri, mi guida verso il trasparente. È nel mio silenzio che ritrovo la strada”.
Sono opere che affondano nelle verità della vita, che scavano nelle zone più sensibili dell’essere, che non promettono buonismi o rosee visioni, ma non tacciono neppure la speranza di un rifugio, la possibilità di un riscatto, la confortante gioia di una purificazione.