“Creo quello che voglio lasciare al mondo”: le opere tessili di Carolyn Nelson
Traduzione a cura di Chiara Cordoni
Quando alcune settimane fa contattai Carolyn Nelson chiedendoLe una intervista per ArteMorbida, mi rispose con quell’ entusiasmo generoso e allo stesso tempo pacato, con quello slancio sereno ed aperto che ritrovo nei suoi lavori, i prati, il sole, l’aria che si respira guardandoli.A volte capita che anche con un semplice scambio di e-mail si crei una sintonia leggera e semplice che ti fa apparire vicino anche chi invece è assai distante.
Piuttosto che raccontare chi sia Carolyn, parlando delle numerose mostre cui ha partecipato, i riconoscimenti avuti, le opere esposte in gallerie e musei (tutte informazioni che potete trovare in modo completo sul suo sito web) lascio a lei la parola, perché nessuno meglio dell’artista stesso può spiegare la poetica che si cela dietro il personale gesto creativo.
“Fragment II: from a Love Story-detail”, 2009, 28”x26”, hand stitched, hand dyed silk collage, oil monoprint on silk, copyright Carolyn Nelson
“Pensieri Sparsi”: l’artista si racconta.

“Mi piace creare quello che voglio vedere e l’unico modo per vederlo è farlo. E creo quello che voglio lasciare al mondo. Quando lavoro, penso alla luce, allo spirito, all’energia. Colore. Riflesso. Penso all’aria, al vento e al movimento. Allo spazio aperto, a volare.
Non ho pazienza ma ho coraggio. Ci sono momenti in cui lavorare mi riempie di gioia e il lavoro scorre liberamente; in altri momenti è noioso e tutto una lotta. Scucio la metà dei punti, borbotto e ricomincio. Sforzarmi di lavorare può essere la cosa più difficile che faccio. Ma non mi arrendo. Dopo aver superato le difficoltà, l’entusiasmo torna sempre quando quello che avevo immaginato finalmente prende forma, sempre diversa, e si avvera”.
Di seguito il link al sito web dell’artista:
Carolyn, perché la tua scelta artistica si concentra proprio sui tessuti come mezzo di espressione? Ci puoi parlare del percorso che ti ha portato a diventare un’artista tessile?
Cucio ossessivamente e rincorro la luce. Sono cresciuta in una piccola città isolata circondata da campi pianeggianti. Le donne della mia famiglia, per necessità, erano abili sarte. Ago, filo e stoffa fra le mani mi davano conforto già in tenera età e sono diventatimotivo di crescita in età adulta. Da bambina, volevo diventare un’artista e ho dipinto per tutti gli anni della scuola. Li si scorgono le basi, sconnesse, del mio lavoro artistico. Da adulto, ho vagato intorno all’arte, sempre in bilico con altre professioni – ho insegnato arte nelle scuole e università pubbliche e ho lavorato come print designer. L’arte e il mio amore per i tessuti si sono sfiorati per anni senza tenersi per mano finché non ho frequentato un workshop in illustrazione e prodotti tessili. Ho iniziato a creare proprio come farebbe un pittore, prima immaginando i concetti e poi cercando di esprimerli. Ho assaporato la libertà di lasciare un segno personale con l’ago e il filo e ho amato la meditazione insita nella ripetitività sia fisica che visiva. Sperimentare era entusiasmante. Ero felice, stavo producendo opere originali, ma non avevo ancora trovato una “voce” o una visione coerente.
Poi un giorno, ero in piedi sul bordo di un campo di grano in Francia. Stavo immobile, non chiedevo nulla, non pensavo nulla. E’ accaduto in modo improvviso e inaspettato – una voce gioiosa che era al contempo forte e gentile, in un luogo sconosciuto ma che era profondamente familiare, un sentimento misterioso ma che capivo chiaramente. Era tutto e il contrario di tutto. Mi sono sentita librare in aria.Ho spiccato il volo. Ho sentito la mia voce. Ho visto una visione mia. Sono diventata un’artista.
Ancora dopo tanti anni, il mio lavoro continua ad includere aspetti di quel campo in Francia, attraverso schemi, ripetitività, dettaglio, apertura, luce ampia e libera.
Qual è per te il significato del “gesto del ricamo”, che riveste un ruolo essenziale nelle tue opere?
Con la semplificazione di materiali e composizioni, ho intensificato la densità e la ripetitività dei punti. Il punto è fondamentale per il mio lavoro, sia in termini di contenuto che di energia. I tratti cuciti sono frutto di gesti fisici della mano e i fili immancabilmente rispecchiano quei gesti, che siano sfrenati o misurati. Non miro al punto “perfetto”. Amo il movimento dell’ago attraverso il tessuto, il passaggio fluido del filo, la meditazione insita nella ripetitività e l’individualità collettiva dei punti multipli che mostrano o nascondono lo sfondo mentre cucio, un tipo di punto semplice per pezzo. Questo mi dà la libertà di creare il mio tratto personale piuttosto che punti di ricamo che per natura presentano una loro immagine. Un insieme di nodi francesi disordinati diventa una composizione di erbacce, uno specchio d’acqua o la scia delle stelle. Spirali incomplete di punti filza si incastrano e si sovrappongono per creare un velo o una foschia che unisce e dà consistenza ad una superficie sconnessa. In base alla loro densità, i punti indietro creano masse ondulate che nascondono o rivelano il tessuto sottostante. Il punto indietro è quello più naturale per me dal punto di vista fisico e il più gentile con le mie mani.
In un nuovo lavoro parti dal materiale e intorno ad esso sviluppi l’idea del soggetto, o parti dal soggetto per poi scegliere tecniche e materiali?
Mi avvicino ad ogni opera come se fosse un quadro, partendo dal concetto. Faccio milioni di foto e video dei movimenti, e raramente poi vi faccio riferimento. L’atto di scattare una foto solidifica ciò che voglio ricordare. Prima immagino, poi comincio a lavorare sul pezzo creando e manipolando materiali. Pianifico e modifico il colore, lo schema o la texture. Strappo, stratifico, elimino, riorganizzo. E poi cucio, scoprendo il mio percorso nell’arte. Mentre cucio lentamente a mano una delle mie opere, per ore e ore posso concentrarmi sul come approfondire i temi o alternare le tecniche della mia prossima opera. Prima di finire un’opera, ho già in mente una chiara idea della prossima. E’ così che comincio i lavori in serie
Puoi parlarci dei materiali con cui hai realizzato i tuoi collage tessili?
All’inizio, i “campi” erano astratti e materici, a volte creati da ripetizioni di frammenti di pezzi di natura o oggetti creati per opere specifiche. Mi costruivo quello di cui avevo bisogno. Le cuciture di solito venivano in secondo piano rispetto al tessuto lavorato. Poco a poco ho semplificato la scelta di materiali attestandomi su 3 tessuti che modifico tramite la tinta e le tecniche di manipolazione delle superfici e un unico tipo di filo, anch’esso tinto, che normalmente scivola bene attraverso gli strati di tessuto, che possono andare da quattro a sei, in ogni collage. La visione delle mie opere è semplice, la scelta di materiali semplici ben si sposa con ogni immagine. (E ovviamente, non dubito che questo un giorno cambierà).
La ripetizione di un segno, è l’elemento che caratterizza le tue opere, ad esempio Soliloquy I. Secondo te, cosa rende la ripetizione così interessante e attraente, quasi ipnotica?
Il motivo mi ha sempre affascinato. Visivamente, è il mio modo di insinuare una estensione che va oltre la cornice piuttosto che uno spazio ristretto o contenuto. Trovo sicurezza nella regolarità e nella ripetitività del motivo ma mi esalto quando si ribella, rompe le righe, si sposta all’esterno e si estende in qualcosa di nuovo e inaspettato. I motivi brillano in un modo diverso da tutte le altre forme.
Ho iniziato “Soliloquy I” (chiamato così perché mi sembrava di parlare con me stessa) pensando che sarebbe diventato un reticolo molto ampio con nodi molto piccoli in un motivo regolare e pensando che il fatto di essere in scala avrebbe stimolato l’interesse. Ci è voluto pochissimo per rendermi conto che era al contempo noiosissimo da guardare e ancora più noioso da fare. Variando i cappi, la densità, lo spazio e la direzione dei punti, è diventata un’avventura ma ha comunque mantenuto gli aspetti del motivo.
Le opere della serie “Stitching Light” trasmettono un forte senso di energia e leggerezza. AmmirandoHow the Light Gets In, sembra davvero di percepire il vento primaverile che scuote l’erba del campo. Puoi dirci qualcosa su come sono nate le opere di questa serie?
La serie Stitching Light è iniziata quattro anni fa con un’opera in cui era raffigurato un prato di erba rossa. Ho scoperto che cambiando la direzione dei punti sulla seta brillante, cambiava anche il riflesso della luce sui fili mentre camminavo li vicino. Sembrava che i prati luccicassero. Ho create 10 opere lavorando su quella luce riflessa.
“How the Light Gets In” (grazie Leonard Cohen per il nome) è l’opera più realistica che io abbia mai fatto e fra le mie preferite. Il suo rispecchiare un luogo particolare di grande conforto e di forte energia, mi nutre nella mia nuova casa in Colorado, terra secca e aspra. Vado in questo piccoloangolo di acquitrini, selvaggio con prati sospinti e celi uggiosi, quando provo nostalgia per la mia vecchia casa di pianura in North Carolina. L’arte, il luogo e il sentimento coincidono. Si tratta del mio spirito e dello spirito del luogo.
Al momento sto lavorando su un test per un’opera più grande sulla luce e sulla poesia che sta prendendo forma sul terreno abbandonato accanto a noi. Il terreno è ricoperto di erbacce e erba morta e disseminato di sassi, lattine e cartacce. Ma per circa un’ora al giorno, quando l’erba è retroilluminata dal basso sole pomeridiano, l’erba alta riluce di un bagliore oro e argento, riempiendo il terreno di luce e oscurando l’immondizia. Sto lavorando su strati monostampa di organza per rappresentare i rifiuti oscurati che saranno poi ricoperti di punti luminosi e luccicanti. Lo vedo. Quanto a realizzarlo…
Non so mai se l’opera su cui sto lavorando sarà l’ultima di una serie o la prima di un’altra.
Improvvisazione, casualità, sperimentazione, studio, regole, design. Quale di questi aspetti ha un ruolo essenziale o prevalente nel processo di creazione?
Non ho regole – ho più che altro abitudini, alcune intenzionali, altre acquisite per caso, che custodisco.
- Non utilizzo riferimenti tradizionali come il ricamo, il quilting o il thread painting. Sebbene il lavoro spesso incontri le definizioni tecniche di tali processi, le parole non arrivano a descrivere il modo in cui percepisco il mio lavoro.
- Evito di usare un punto centrale. Il mio focus è di creare uno spazio aperto che si intenda continuare al di là delle dimensioni della cornice. Un punto centrale cattura l’attenzione verso l’interno e blocca il movimento dell’occhio e dell’immaginazione – i motivi si formano, si muovono e si disintegrano senza distrazioni. I paesaggi sono privi di oggetti e riducono il cielo ad essere solo un frammento di riferimento.
- Tingo tutti i tessuti e i fili e uso tessuti commerciali solo come sfondo.
- Non taglio mai i tessuti che appaiono sul davanti delle mie opere. Lacero i tessuti perché il bordo sfilacciato è più morbido e si fonde con un altro colore o forma meglio di un bordo tagliato. I tessuti li piego…
- Uso solo tessuti in fibra naturale perché sono molto più ricettivi alle tecniche di rivestimento. E dato che maneggio i lavori fra le mani spesso per mesi, il contatto con il tessuto deve essere piacevole. Non voglio far diventare l’ago un’arma e dover combattere con la stoffa. E’ troppo duro per la psiche oltre che per le mani.
Tutte le mostre dell’artista sono elencate nella sezione About del sito web: https://www.carolynnelsonart.com