Interviste

DEBBIE OSHRAT

English (Inglese)

*Foto in evidenza: “Ophelia” Collage, Mixed, 107cm × 107cm, 2020. Photo credit Adi Cohen
Traduzione a cura di Elena Redaelli

Debbie Oshrat (Haifa,1954) vive e lavora a Ramat Hasharon in Israele. Ha studiato Interior Design e Arredamento presso la NB Haifa School of Design e dopo una lunga carriera in questo ambito, mentre approfondiva la sua conoscenza in materie spirituali come il Reiki o la filosofia dei nativi americani, ha intrapreso un nuovo percorso dedicandosi all’arte. Negli ultimi anni, ha scelto le bustine da tè usate per raccontare storie, combinando diverse tecniche tra cui il ricamo e la pittura. Attraverso un linguaggio che attinge ad archetipi e codici arcaici, Oshrat dà voce ad elementi superati, desueti, vecchi, scartati trasformandoli in un medium di narrazione con e della contemporaneità.

Due opere di Debbie Oshrat sono nella collezione del Museo Yad Vashem. I suoi lavori sono stati esposti in gallerie e sedi istituzionali in numerose mostre in Israele.

“Kiss of the Spider Women” Collage, Mixed, 80 cm × 107cm, 2020. Photo credit Adi Cohen

Quando hai capito che l’arte era il tuo percorso?

Ho studiato Interior Design e Arredamento e ho lavorato in quel settore per molti anni. Circa 10 anni fa ho deciso di dedicarmi alla pittura. Sapevo che sarebbe stato ora o mai più…

From “Shadows” Series, Mixed, 26cm × 35cm, 2017. Photo credit Adi Cohen
From “Shadows” Series, Mixed, 26cm × 35cm, 2017. Photo credit Yuval Hai

Le bustine usate del te sono il materiale base dei tuoi lavori. Perché questa scelta?

Come figlia di sopravvissuti all’Olocausto, il mio lavoro con le bustine di tè è nato dal numero tatuato sulla mano di mia madre, sopravvissuta ad Auschwitz. L’aspetto della pelle del suo braccio invecchiato mi ha spinto a cercare una superficie con una consistenza e un colore che si avvicinasse il più possibile a quello della sua pelle invecchiata, così ho trovato nelle bustine di tè usate la somiglianza più vicina. Inoltre, questo processo mi permesso di approcciare e rivelare la “Congiura del Silenzio”, prevalente tra i sopravvissuti all’Olocausto.

From “Written on the Skin” Series, Mixed, 26cm × 35cm, 2017. Photo credit Yuval Hai
From “Written on the Skin” Series, Mixed, 26cm × 35cm, 2017. Photo credit Adi Cohen

Le tue opere sono il risultato di un paziente lavoro di smantellamento, riassemblamento, cucitura. C’è in questo processo una memoria ancestrale, una sorta di ritualità femminile che affonda le radici nella notte dei tempi e che qui si trasforma in gesto artistico, in linguaggio contemporaneo? Utilizzare il cucito per realizzare opere d’arte è anche una scelta assertiva che emancipa questa pratica dalle tradizionali classificazioni di attività femminile domestica?

La pazienza richiesta dall’atto del cucire, come la maggior parte dei mestieri femminili, è una caratteristica della donna. Per generazioni, le donne erano quelle che si occupavano della tessitura, del ricamo e del cucito, ma il lavoro femminile quotidiano è sempre stato sottovalutato nelle culture patriarcali. Nelle mie opere faccio rivivere vecchi materiali, comunico col mondo dei mestieri antichi usando il linguaggio della “Donna Selvaggia” e convertendoli, così, nel mondo contemporaneo – attuale, vivo e pulsante.

From “Noga in my Heart” Series, Mixed, 26cm × 35cm, 2019. Photo credit Adi Cohen
From “Noga in my Heart” Series, Mixed, 26cm × 35cm, 2019. Photo credit Adi Cohen
From “Noga in my Heart” Series, Mixed, 26cm × 35cm, 2019. Photo credit Adi Cohen

Cos’è la memoria e quanto la tua ricerca artistica è ispirata dalla necessità di rielaborarla per consegnarla al futuro?

La “memoria” è la capacità di un organismo di conservare le informazioni provenienti dall’ambiente esterno e percepite attraverso i sensi. La parola “memoria” si riferisce sia alla capacità di immagazzinare informazioni che alle informazioni stesse. Quasi ogni opera d’arte è associata a un tipo di memoria: ricordi puri di esperienze passate e presenti o ricordi e immagini di precedenti incarnazioni.

Le bustine di tè usate riflettono, da una parte, la comunicazione con le persone che le hanno usate, e dall’altra la morbidezza, il calore e i morbidi strati, che simulano una coperta materna che protegge, abbraccia e conforta dalla vulnerabilità. . .

From “Your Mother’s Cunt” Series, Mixed, 26cm × 35cm, 2021. Photo credit Own
From “Your Mother’s Cunt” Series, Mixed, 20cm × 20cm, 2021. Photo credit Own

L’arte è più catarsi o più cura, o cos’altro, secondo te?

L’arte e la creazione per me sono sia catarsi che guarigione. Un principio fondamentale nelle mie opere è l’uso del cucito e del ricamo come processo di cura del pensiero. Il rammendo non nasconde le ferite dell’anima ma le contiene, le rispetta e le ripara il più possibile.

Cucire le bustine di tè usate l’una all’altra è un rituale. Questo rituale è un atto anti-fobico e anti-ansioso, che aiuta ad affrontare le difficoltà e anche a guarire. Il rituale del cucito è un atto correttivo e di connessione a ciò che è destinato a cadere a pezzi e a sgretolarsi.

From “Reborn” Series, Mixed, 26cm × 35cm, 2021. Photo credit Own
From “Reborn” Series, Mixed, 20cm × 20cm, 2021. Photo credit Own

Le tue opere affrontano con grande sensibilità molte tematiche femminili. Alcune – penso ad esempio il corpo di lavori NOGA INTO THE HEART – indagano e affrontano temi molto intimi e personali. Quanto è autobiografico il tuo lavoro? Quanto coincidono per te l’arte e la vita?

La mia osservazione del mondo interno ed esterno avviene attraverso lo sguardo e le energie femminili. Questo è il modo in cui lo attualizzo nelle mie opere, utilizzando tecniche femminili. . . tecniche tradizionali del passato . . . l’essenza della donna selvaggia e reale. Lavoro molto sui contrasti e gli opposti, affrontando questioni personali difficili e dolorose, trasformandole in un lavoro estetico, femminile, delicato e bello. Espongo lavori molto intimi e li rendo collettivi, di dominio pubblico.

From “In a Red Dress” Series, Mixed, 15cm × 21cm, 2021. Photo credit Own
From “In a Red Dress” Series, Mixed, 31cm × 43cm, 2021. Photo credit Own

Come nascono e si sviluppano le tue opere?

Sono molto legata al mondo spirituale, di solito le mie idee emergono attraverso il sogno e la meditazione.

C’è un’opera che è così profondamente parte di te da non volertene separare?

All’inizio del mio percorso artistico, custodivo il mio lavoro come un segreto che apparteneva solo a me. Sono passata attraverso un lento processo di condivisione del mio lavoro prima con le persone a me più vicine, poi mi sono allargata fino a diffonderlo in un ambiente più ampio, per poi aprirmi al mondo intero attraverso le mostre. Molto lentamente, e con molte difficoltà, ho anche accettato di vendere alcune delle mie opere.

Le opere che non ho accettato di vendere, che ho donato allo “Yad Vashem” (un museo della memoria dell’Olocausto a Gerusalemme), sono quelle che contengo il numero tatuato della mano di mia madre.

A cosa stai lavorando in questo momento?

Attualmente sono in procinto di consolidare il mio prossimo argomento d’indagine e sto esplorando una serie di opzioni.

From “Flowing Arteries” Series, 26cm × 35cm, 2022. Photo credit Own
From “Flowing Arteries” Series, 26cm × 35cm, 2022. Photo credit Own

Barbara Pavan

English version Sono nata a Monza nel 1969 ma cresciuta in provincia di Biella, terra di filati e tessuti. Mi sono occupata lungamente di arte contemporanea, dopo aver trasformato una passione in una professione. Ho curato mostre, progetti espositivi, manifestazioni culturali, cataloghi e blog tematici, collaborando con associazioni, gallerie, istituzioni pubbliche e private. Da qualche anno la mia attenzione è rivolta prevalentemente verso l’arte tessile e la fiber art, linguaggi contemporanei che assecondano un antico e mai sopito interesse per i tappeti ed i tessuti antichi. Su ARTEMORBIDA voglio raccontare la fiber art italiana, con interviste alle artiste ed agli artisti e recensioni degli eventi e delle mostre legate all’arte tessile sul territorio nazionale.