Interviste

DONATELLA GIAGNACOVO

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*Foto in evidenza: Una ogni 11 minuti. Inspiration Museo Janina Monkute-Marks Lituania 2023


Donatella Giagnacovo, artista visiva polimaterica, ha conseguito il diploma presso l’Accademia di Belle Arti dell’Aquila e specializzazioni e abilitazioni per l’insegnamento di materie artistiche. Ha partecipato a numerose mostre personali e collettive tra cui: Luco (Galleria Italia, L’Aquila), Il peso del vuoto (SCD Textile Art Studio, Perugia)

Come è nato il tuo legame con l’arte contemporanea e quando hai capito che avresti intrapreso questo percorso artistico?

Mi sono avvicinata al mondo dell’arte mentre frequentavo il Liceo Scientifico. Ho avuto la grande opportunità di incontrare un professore di Disegno e Storia dell’Arte illuminato. Dilatava orizzonti, sovvertiva le nostre adolescenziali certezze. Riusciva a filtrare gli eventi e i timori di un’attualità ideologicamente vivace, attraverso la lettura storica e critica di testimonianze artistiche solo cronologicamente lontane. Ci spingeva all’analisi, agli approfondimenti, a non planare sulle situazioni ma a penetrarle profondamente. Ricordo ancora il suo timbro di voce, le sue pause che davano tempo ai nostri ragionamenti, le sue mani sul mio foglio da disegno. Tutto questo mi ha portato a fare una scelta, non di professione ma di interesse e passione. Mi sono iscritta all’Accademia di Belle Arti e non sapendo nulla di tecniche e linguaggi specifici, ho anche frequentato da privatista l’Istituto Statale d’Arte. La frequentazione dei laboratori, l’organizzazione di un lavoro a supporto di un pensiero creativo, l’acquisizione del lessico visivo strumentale e dialettico sono stati elementi costanti di una esercitazione estesa che ha accolto la ricerca, la sperimentazione, l’assoluta necessità di provare e di intraprendere un dialogo di scambio e di disponibilità verso una linguistica espressiva inconsueta, spesso opaca e disorientante, forse per questo stimolante. Non ho mai scelto razionalmente ma ho sempre cercato di ascoltarmi senza soffocare le necessità più interiori. Ho svolto per moltissimi anni la professione di docente di materie artistiche, questo mi ha consentito di rinforzare ed approfondire costantemente conoscenze strutturali al mio lavoro di ricerca. Inoltre la comunicazione dialettica, quotidianamente presente non solo nel trasferimento di apprendimenti funzionali ad un sapere artistico, ma soprattutto indirizzata all’acquisizione di una consapevolezza critica verso il potenziale espressivo dell’Arte tutta, ha sicuramente contribuito alla mia visione del fare arte. Non credo alle facili generalizzazioni di categorie, credo che la modalità d’essere di ogni individuo sia il frutto di specifiche esperienze, formazione, incontri, peculiarità soggettive. Io non avrei potuto né desiderato fare altro.

Involucro Trasparenze. Sguardi oltre. La via Lattea Torino

Sei un’artista tessile che predilige le opere a carattere installativo. Come scegli i materiali con cui rapportarti e l’oggetto a cui dare forma?

Sono anche un’artista tessile, lavoro spesso con altri materiali. Li attraverso affidandomi alle loro peculiarità per esprimere quanto desiderato. Non sono parti di un qualcosa, sono essi stessi concetto e messaggio. Ne consegue che lo spazio ricercato può essere bi-dimensionale o tri-dimensionale o installativo. Non c’è una scelta a priori. Il lavoro nasce dal materiale che è già espressione, nella sua stessa specificità: superficie o volume che rinforza o nega nello spazio, quanto da me veicolato. Il tessile e le fibre in generale, come anche le carte ma anche le plastiche riciclate, mi trasmettono la loro modalità intrinseca che accolgo rendendola veicolo o metafora espressiva. I materiali hanno una forma, una storia, una concretezza che cerco di sostenere anche solo come testimonianza emozionale, un tentativo forse di assegnare, se pur provvisoriamente, una pausa disorientante rispetto alla velocità del disfarsi per acquisire che sembra essere ormai pratica quotidiana.

All’interno della tua ricerca artistica troviamo il discorso della violenza di genere. Secondo te da artista e da donna, l’arte può essere utile a sensibilizzare nei confronti di questa tematica?

 Istintivamente mi verrebbe da rispondere “purché se ne parli…” Ma sarebbe ovviamente una risposta sbrigativa. Le soluzioni sbrigative sono slogan che lasciano il tempo che trovano. Il problema è forse altro. L’arte contemporanea quanto è espressione del suo tempo. E se in parte lo è, quanto viene ascoltata? Il corto circuito evidente è tra un sistema dell’arte economico palesemente sconnesso con un sistema dell’arte professato. Nel mezzo c’è una società distratta, disorientata o semplicemente interessata ad altro. Il potenziale comunicativo dell’arte non è messo in discussione ma ritengo che più di una riflessione dovrebbe nascere su quanto la comunicazione dell’arte, nel nostro paese, sia supportata e facilitata. Frequentare una Istituzione museale, partecipare ad un evento, visitare una mostra in molti territori è ancora un’utopia e lo è per molte categorie di persone. Personalmente credo che gli eventi per gli addetti ai lavori, la messaggistica sui social per gli adepti del settore… siano espressioni di un apparente e soddisfacente dialogo solo perché oggi l’era virtuale ha dilatato i confini, ma gli ambiti sono sempre settoriali. Ne consegue che chi pratica arte vive in un sistema comunicativo chiuso e si parla addosso. La società riversa su se stessa è una società che non ascolta e non è ascoltata e se pur sono presenti in diverse realtà museali e non, opportunità di vivere l’arte come confronto e spazio di conoscenza e condivisione aperte alle categorie imprescindibili di un sistema sociale fattivo: famiglie, giovani, bambini… e se pur esistono in molti territori avamposti di confronto stimolati da pratiche di arte relazionale, tutto è sempre frutto di poche menti visionarie e di tanto volontariato. Credo nel valore educativo e formativo dell’arte visiva e sono convinta che molti tra artiste ed artisti siano oggi portatori di percorsi alti, lungimiranti e visionari. Ma sarebbe auspicabile un sistema artistico economico che investa, con maggiore capillarità sull’arte visiva come metodica anche educativa e partecipata. Nel frattempo è assolutamente necessario che l’arte che affronta e si confronta con tematiche “sociali” come la violenza di genere, abbia l’opportunità di trovare spazi ampi di dialogo concreto per un processo comunicativo di senso, all’interno di un percorso culturale volto a non lasciare in ombra i vuoti sociali.

Installazione- azione Dolor et Spes, Basilica di Santa Maria Paganica. L’Aquila 2010-Foto di Fabrizio Colagrande

Nel tuo lavoro l’utilizzo del colore appare nullo o minimale, le opere spesso sono monocrome e vedono il nero e il bianco come protagonisti. Che significato dai a queste due tinte?

 Al di là della spiegazione, prettamente fisica, relativa alla negazione e/o alla somma di tutti colori, le due tipologie di non colore generatrici di massima luminosità o al contrario di profonda oscurità, nell’essere così apparentemente definitive e dichiarate sono ingannevoli. La stessa metafora si concilia perfettamente sovrapponendosi ai miei lavori che giocano volutamente su delicate ed impalpabili strutture o, al contrario, su forme nette e predominanti che ti costringono ad una lettura più in profondità. Il bianco tranquillizzante e soporifero, il nero torbido e inquietante sono due apici di una metodica visiva solo apparentemente anestetizzante ma che al contrario ti costringere ad aprire gli occhi, ad estendere lo sguardo. Non secondario è l’utilizzo di una simbologia di riferimento comunemente assimilata. In “ Dolor et Spes”, (  Installazione- azione condivisa con  Fabrizio Colagrande, Paolo Di Pietro, Sergio Maritato, fotografi e Daniela Colagrande e Luca Cococcetta Video-makers e riscontri curatoriali di Gianluigi Simone, Umberto Palestini, Sabrina Vedovotto, Teramo- Roma 2010),  installazione per L’ Aquila post sisma, due conocchie lignee, madonne mezzo busto, con le loro vesti prolungate per tutto il pavimento della navata della Basilica di San Bernardino, ancora oggi non ricostruita, sono state ricollocate per riaffermare un’urgenza collettiva. La necessità di vivere un lutto comunitario fino in fondo e l’esigenza, oltre i clamori, di trovare una speranza alla fine del tunnel. Bianco e Nero, Nero e Bianco, il tutto e poi il niente da dove ripartire.

Nel percorso “Il Peso del Vuoto” dal ciclo “Di Bianche Spine” (a cura di Barbara Pavan, SCD Textile & Art studio, Perugia 2023) il fruitore viene accolto da forme, involucri e oggetti di una quotidianità femminile che se apparentemente delicati, leggiadri e rassicuranti, mostrano in crudezza la falsità e l’inganno di cui si nutrono stereotipi ancora diffusi che inevitabilmente pesano sulla vita delle donne.

InstallazioneMuta Preghiera- LUCO Galleria Italia L'Aquila 2023

Nella serie “Una ogni 11 minuti” (installazione già selezionata per il Syart Festival Sorrento di Arte Contemporanea 2022 e attualmente in mostra al Janina Monkute-Marks Museum, Kèdainiai – Lituania in occasione dell’evento internazionale “Inspiration”) il bianco testimonia, attraverso una narrazione visiva che indaga alcune tipologie di soprusi certificati di cui sono ancora oggi vittime le donne, l’urgenza di far luce sulla oscurità del male.

Nell’evento LUCO (mostra internazionale diffusa di Arte Contemporanea che indaga il senso del sacro nell’attualità, a cura di Barbara Pavan. L’Aquila 2023) l’installazione “Muta preghiera” trasmette, attraverso il bianco di tre elementi ascetici, il bisogno di una purificazione totale per ricongiungersi alla parte più interiore di noi stessi premessa per una meditazione risanante.

L’evanescenza dei materiali conduce ad una riflessione oltre il visibile, così come nella collettiva Trasparenze, sguardi oltre (a cura di Margaret Sgarra Settembre-ottobre 2023, La via Lattea Torino) il fine è quello di superare il velo che riveste superficialmente realtà ovattate a cui riassegnare una corretta saturazione visiva attraverso un’esposizione senza filtri.

Jupon da sposa, Il peso del vuoto, SCD Perugia 2023

A proposito di tinte, Cuore nero è il titolo della mostra personale a cura di Barbara Pavan che si è inaugurata il 30 settembre presso La Dama di Capestrano. Puoi raccontarci il focus di questo progetto?

Cuore Nero è un lavoro del 2008 che a distanza di tutti questi anni resta tristemente e limpidamente attuale.  Un Cuore Nero è in ognuno dei trenta elementi che compongono questa installazione, ne mantiene il ritmo modulare, l’equilibrio visivo, ma è dotato di soggettività. Il percorso è una anagrafica dei tradimenti delle nostre aspettative è, come scrive la curatrice Barbara Pavan, un archivio delle male erbe, è mettere a nudo la parte oscura di noi stessi fino a sprofondarci dentro. Il nero totale così come la forma iconica, sono livelli di percezione immediata ed epidermica ma per individuarne la diversità è necessario fermarsi e in questa pausa non è difficile ritrovare una parte di noi che volutamente teniamo nascosta. Nello scorrere in sequenza le strutture visive, avvertiamo il paradosso di una affermata negazione sorretta da un’ambiguità dilagante. Il corto circuito, solo apparentemente semantico, può essere forse interrotto dalla presenza di un altro cuore di pane. Dirompente nella sua essenzialità.

Cuore nero Galleria La Dama di Capestrano -Aq- 2023

Margaret Sgarra

Read it in English Curatrice di arte contemporanea e Storica dell’arte, ha conseguito il Diploma di I livello in Didattica dell’Arte (Accademia Albertina di Belle Arti di Torino), successivamente ha perfezionato i suoi studi con una Laurea Magistrale in Storia dell’arte (Università degli Studi di Torino) e, infine, ha ottenuto una seconda Laurea Magistrale in Arti visive (Università di Bologna). Tra le sue principali tematiche di ricerca in ambito curatoriale troviamo: tutela dell’ambiente, identità e sfera emotiva. Ha collaborato con Paratissima ed è attualmente coinvolta, in qualità di curatrice, nella realizzazione di diversi progetti artistici.