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Hiva ALIZADEH

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@ The Flat – Massimo Carasi
via Paolo Frisi, 3 (MM Porta Venezia) – Milano 20129 – ITALY
+39 (0)2 58313809  –  theflat-carasi@libero.it  – www.carasi.it

Conosciamo l’artista iraniano Hiva Alizadeh attraverso le due mostre che si sono svolte presso la galleria The Flat – Massimo Carasi. La prima “Nomad Chants” nel 2019 e la seconda “Fire in the Garden of Eden” nel 2023.

VIEW OF THE SHOW. Hiva ALIZADEH. Fire in the Garden of Eden @ The Flat – Massimo Carasi

FIRE IN THE GARDEN OF EDEN, 2023 (The Flat – Massimo Carasi)

Teheran, 15 marzo 2023: è la festa del CHAHARSHANBE SURI. Sono i giorni che precedono il NOWRUZ, il nuovo anno persiano.

Il Chaharshanbe Suri è la festa del fuoco e Hiva si appresta, come molte persone nei paesi mediorientali, a celebrarlo. 

In Iran, il Fuoco Sacro o Atash-e-Ghods è un importante simbolo culturale e religioso celebrato da migliaia di anni. 

Il Chaharshanbe Suri è una festa fondamentale e fondante per tutta la cultura persiana: si narra sia addirittura risalente a 15.000 anni fa e mai abbandonata; viene esaltata dagli zoroastriani ma anche nell’epoca islamica non viene cancellata: è la festa della purificazione e prepara al Nuovo Giorno.

 La mostra nasce da queste premesse: una nuova era che avanza con il Nuovo Giorno, grazie alla purificazione del fuoco.

Si sa, il fuoco è una forza affascinante e catalizzante per le sue movenze, colori e calore. 

Il fuoco illumina Hiva mentre lo ammira rapito. Lo contempla. 

La mostra è un elogio al fuoco come elemento sacro di purificazione e di vita. 

Nella nostra società il fuoco ha ormai significati che richiamano maggiormente tragedie e distruzione ma in passato garantiva la salvezza, per proteggersi dagli animali feroci, per riscaldare le proprie grotte o dimore, e ovviamente per cucinare e quindi nutrirsi.

VIEW OF THE SHOW Hiva ALIZADEH. Fire in the Garden of Eden @ The Flat – Massimo Carasi

Ma qui parliamo del fuoco nel giardino del Eden. Questo è il fuoco sacro che purifica e diventa Simbolo.

Effettivamente il simbolismo pervade la mostra e l’artista ha creato un proprio alfabeto simbolico, che si è consolidato a mano a mano che le opere, astratte, prendevano forma.

In tutto questo ciclo, la fascia superiore dei “dipinti” è caratterizzata dal colore nero.

Il nero è considerato dall’artista come il Tutto, l’Universo, infinito ed eterno ed a riguardo aggiunge: “E’ grazie al buio che si può ammirare la lucentezza del firmamento. L’oscurità del cielo notturno è complementare alla Luce che fa brillare le stelle.”

Hiva cita Rumi, poeta mistico persiano del XIII secolo, “sia l’oscurità che la luce sono la danza dell’Amore”

E quella luce, nella mostra, è simboleggiata dal fuoco che squarcia il buio.

Le fiamme si trovano nella parte inferiore di ogni opera, con le lingue che tendono all’alto, al Supremo, e purificano tutto ciò che le circonda.

È incredibile notare come le ciocche di capelli sintetici con cui Hiva Alizadeh compone i suoi “dipinti” riescano ad evocare e sintetizzare il movimento sinuoso delle lingue di fuoco e il loro volume impalpabile e voluttuoso.

Egualmente, chiome fluenti, in numerose tonalità del blu ed azzurro, restituiscono le sembianze delle acque che sgorgano biblicamente dal Giardino dell’Eden.

Vivace e vitale, l’acqua che scorre è una sostanza carica di potenza, anch’essa in grado di purificare. I colori nel giardino dell’Eden sono per questo brillanti e sferzanti, purificati dalle due forze citate.

Fuoco e acqua -ancora due elementi complementari- sono indomabili e privi di forma fissa.  Muovendosi, non sono mai uguali a sé stessi e per questo ci affascina osservarli e ammirarne la danza, per poi abbandonarci ai loro suoni e alle sensazioni avvolgenti.

I capelli dalle tonalità luminose riescono a offrire queste stesse sensazioni di movenza incantatrice.

Hiva Alizadeh, come il poeta Rumi, di cui è cultore, ci invita ad avventurarci nel mondo “Ultrasensibile”, ricco di vibrazioni e sensazioni: l’invisibile è molto più vasto ed importante del visibile.

Untitled, 2021, capelli sintetici, legno, 170x160x10 cm. Courtesy The Flat – Massimo Carasi

“Fire in the Garden of Eden” è la seconda personale che l’artista iraniano presenta presso la galleria The Flat-Massimo Carasi a Milano.

Il lavoro di Hiva Alizadeh affonda le sue radici nella tradizione persiana e nella millenaria abilità nel tessere i tappeti Kerman, sebbene applichi la sua tecnica e conoscenza utilizzando un materiale diverso per creare un’interpretazione contemporanea di una trama, aggiungendovi un tocco cosmopolita e psichico. Gli arazzi tessuti da Alizadeh sono creati utilizzando estensioni di capelli sintetici che compone in vibranti tavolozze di colori fluo.

Il lavoro di Alizadeh è conservato in collezioni pubbliche e private in Europa, Medio Oriente, Cina e USA. Alcuni dei suoi lavori fanno parte di importanti istituzioni e fondazioni quali, AKZONOBEL Art Foundation – Amsterdam, Paesi Bassi, PALAZZO MONTI, Brescia, Italia, FREDERICK R. WEISMAN Art Foundation – Los Angeles, USA, Collezione SPRING, Museo d’Arte Contemporanea KERMAN, Iran e più recentemente The Ned Doha Art Collection.

Untitled (Pervinca intenso), 2023, capelli sintetici su tela e barra di legno, 80x60x8 cm. Courtesy The Flat – Massimo Carasi

NOMAD CHANTS, 2019 (The Flat – Massimo Carasi)

Questa non è una ciocca di capelli ……

Negli ultimi tremila anni gli uomini di culture differenti hanno prodotto colori intrecciando a materiali organici e
industriali visioni, simboli, codici decorativi, storie, identità, emozioni.
Hiva Alizadeh ( Iran 1989) “dipinge” paesaggi cromatici, porzione di spazi con ciocche di capelli sintetici multicolori
per cogliere  l’essenza della nostra  epoca globale partendo dalla sua cultura nomadica insita nei tappeti iraniani d’immediata seduzione estetica. Dall’arte della tessitura della sua millenaria tradizione, nella morfologia dell’incantevole paesaggio iraniano, nella texture delle piastrelle delle moschee orientali, canti, suoni, costumi e tradizioni, l’artista curdo iraniano, autodidatta, ex documentarista prende l’ispirazione per elaborare opere indicatrici di meccanismi culturali complessi, con ciocche di capelli in nylon in cui Oriente e Occidente si compenetrano. I suoi tappetti pop-poveristi contenenti una gamma vivacissima di colori sono da toccare, pettinare, oltre che da guardare.  Una serie di “arazzi” tessuti con capelli sintetici dai colori sgargianti racchiusi in soluzioni formali fluttuano nello spazio bianco della galleria The Flat Massimo Carasi  (Milano), dove si presenta la prima mostra personale di Hiva Alizadeh dai codici affini al linguaggio in pixel tratti dalla cultura digitale, dall’appeal  visivo e tattile in cui fibre, tinture, tecniche suggeriscono evocazioni di viaggi oltre il tempo e lo spazio.  Una idea è prima di tutto una sintesi linguistica di ambiti di esperienze diverse, ogni sua opera implica uno scambio cultuale e nei modi di utilizzare le ciocche di capelli sintetiche si aggiungono, colore dopo colore, ulteriori livelli di significato, poetica, sensibilità e tensione estetica dell’autore di esplorare legami tra riferimenti  geografici e di mondi e modi diversi di immaginare il tappetto come icona globale del viaggio e di meditazione spirituale per eccellenza,  in cui le tradizioni iraniane  ordiscono relazioni con materiali sintetici occidentali prodotti dalla seconda metà del XX secolo. La sostituzione della tavolozza di colori con fibre sintetiche variopinte implica una riflessione sul valore espressivo del materiale in sé quale metafora di esperienze diverse connesse a commercio, tecnologia e differenti strutture sociali scoperte attraverso il viaggio dall’artista, in cui l’altrove è il suo porto ideale. Le sue opere così simili a paesaggi cromatici naturali presentano una forma di “realismo glocale” nella scelta di fibre sintetiche, limitano e qualificano uno spazio indeterminato con una nuova pittura di matrice “impressionista” carica di evocazione di soggettività percettive. Sono “tappeti” sature di sensazioni di luce, che imbrigliano il respiro del vento in cui si annulla la distanza tra tradizione e contemporaneità e nell’apparente consapevolezza dell’effimero, nella sensazione cromatica, tra un capello e l’altro, come in un film scorre la storia di istanti, frammenti di vita che legati insieme danno un ritmo al tempo. Nelle sue cascate di capelli dalle tonalità luminose, la materia diventa l’elemento dinamico e di seduzione visiva insieme, diventa spazio pittorico che si apre, si dilata nella luce abbagliante emanata dai colori. Naturale e artificiale, materia e luce, ritmo e sconfinamento tra pittura e scultura materializzano profondità impercettibili con opere di un’astrazione lirica e poetica che avrebbero sedotto Claude Monet e suggestionato l’immaginario di Alighiero Boetti.

Jacqueline Ceresoli

Untitled #10, Nomad Chants, 2019, capelli sintetici su tela, DITTICO 100x342x3 cm. Courtesy The Flat – Massimo Carasi

Il paesaggio può essere un soggetto estremamente volatile ed effimero. Il cielo cambia continuamente, la natura non è mai ferma, i colori si trasformano ripetutamente e, di conseguenza, anche la nostra percezione ne risente.
Spesso, quando abbiamo l’impressione di aver colto un’immagine statica, questa è già diventata qualcos’altro. Può accadere in modo quasi impercettibile, ma è una dinamica inarrestabile.
A volte ricordiamo gli odori del paesaggio, i rumori del luogo, la nostra temperatura corporea quando eravamo immersi in esso, le emozioni che ci ha dato. Tutto questo ci porta a creare un’idea complessiva dello scenario che abbiamo vissuto, che non sempre è un’immagine precisa di ciò che abbiamo effettivamente visto. Ciò che appare nella nostra mente è una visione interiorizzata.

Questa sensazione sembra emergere dalle opere di Hiva Alizadeh, che non ci offre una semplice riproduzione di alcuni paesaggi appartenenti alla sua terra d’origine, ma piuttosto la percezione che ha avuto osservandoli e percorrendoli.
L’artista presenta opere che, pur essendo destinate a essere appese al muro, hanno un vero e proprio carattere scultoreo. Si tratta di tele su cui vengono cuciti a mano fili di capelli sintetici dalle infinite sfumature di colore. La tessitura è una pratica tradizionale e antica, ma qui appartiene più che mai al presente, per via del materiale utilizzato, decisamente non canonico e indubbiamente legato alla nostra contemporaneità.
Innumerevoli sono le sovrapposizioni effettuate dall’artista nella disposizione dei fili colorati, ed è proprio questo che conferisce un marcato effetto tridimensionale alle opere.
La sensazione è quella di trovarsi di fronte a paesaggi mutevoli, vibranti e quasi visionari, paesaggi che, pur parlando di emozioni e sensazioni personali, sono dotati di una tattilità forte e suggerita. Scenari, quelli di Hiva, che pur sembrando impalpabili sono il risultato di una densa combinazione materica e che, nonostante i colori sconvolgenti e quasi pop, esprimono tutta la delicatezza di un’interiorità che vuole manifestarsi.
“Nomad Chants”@theflat_massimocarasi

Back.to.hole Giulia Frattini

Untitled #12, Nomad Chants, 2019, capelli sintetici su tela, 150x169x3 cm. Courtesy The Flat – Massimo Carasi