Imitando le forme naturali: l’affascinate atmosfera della ripetizione e dell’accumulo nell’opera di Samuelle Green
Soffici concrezioni di elementi ripetuti ricoprono vecchi oggetti, si arrampicano sulle pareti di una galleria d’arte o su edifici. Queste forme si impadroniscono dello spazio, nascondendo e accentuandone i volumi, creando atmosfere immersive. Così, l’opera di Samuelle Green cattura la curiosità dello spettatore, istintivamente attratto dalle sue superfici verso le quali prova un’atavica familiarità.
Basta guardarsi attorno, in una giornata qualunque, per accorgersi del perché questo avvenga. In inverno, ad esempio, al banco della verdura troviamo i verdi freddi e tenui dei cavoli, delle verze e del broccolo romano. Nella sua dettagliata perfezione, questo ortaggio, ci ricorda come la natura cresce e forme complesse si sviluppano da elementi ripetuti all’infinito su scale differenti. Ingrandendo una qualunque parte del nostro vegetale invernale, come avverrebbe ingrandendo una qualsiasi parte delle superfici della Green, otterremmo una figura simile all’originale.
Lo ha spiegato Mandelbrot, che con la sua geometria frattale (1975 da Benoît Mandelbrot nel libro Les Objets Fractals: Forme, Hasard et Dimension) ha dato ordine all’apparente sregolatezza barocca di certe forme dal comportamento caotico. Forme spezzate, rotte, curve, che ci attraggono per la loro complessità. Queste scale echeggiano tutto intorno a noi dal micro al macrocosmo, sorprendendoci con sensazioni ataviche di familiarità.
Secondo una ricerca scientifica del 2007, che misura la risposta umana a questo tipo di forme naturali; il sistema visivo dell’uomo si è adattato a processare con facilità i frattali, a cause dell’intensa esposizione agli scenari naturali, che sono ricchi di queste forme.
Questo adattamento avviene a diversi livelli del sistema visivo, coinvolgendo sia il modo in cui i nostri occhi si muovono, fino a quale parte del nostro cervello viene attivata. Questo effetto è definito come fluenza frattale e ci fa percepire una sensazione di confort per cui è solitamente piacevole guardare a queste forme.[1]
Samuelle, cresciuta negli spazi aperti della Pennsylvania rurale non è estranea alla fascinazione delle forme naturali. Una quotidiana immersione che l’ha resa attenta e sensibile osservatrice di un mondo ricco di dettagli.
L’artista ha sempre avuto uno sguardo particolare per le piccole strutture: dai corpi degli insetti ai nidi degli uccelli o per le intricate superfici delle piante e dei fiori. “Forme che si trovano ovunque nel mondo che ci circonda, dalle microscopiche cellule alle grandi architetture umane”.
Dalla natura, Samuelle ha forse imparato anche la pazienza necessaria per lentamente costruite i suoi ricchissimi accumuli di forme che partono da un piccolo modulo e procedono per ripetizione fino a raggiungere dimensioni spaziali. Il materiale che, per le sue caratteristiche, meglio si adatta a dare corpo alle visioni della Green è la carta.
Pur mantenendo una certa rigidità, questo materiale è malleabile: si può infatti facilmente torcere, arrotolare, tagliare, incollare e tramite la piegatura si possono facilmente ottenere forme tridimensionali, basta pensare al suo utilizzo nella raffinata arte giapponese dell’origami.
[1] Taylor, R. in ‘The conversation’ available at: https://theconversation.com/fractal-patterns-in-nature-and-art-are-aesthetically-pleasing-and-stress-reducing-73255
To the very end, copyright Samuelle Green
Samuelle utilizza principalmente carta riciclata, spesso proveniente da vecchi libri recuperati in polverose librerie o nei negozi dell’usato. Questi costituiscono un inestimabile patrimonio per l’artista. Dalla palette dei beige, dei gialli, dei bruni e degli inchiostri invecchiati traspaiono storie nascoste che rendono questi materiali speciali e significativi. Gli oggetti usati portano un po’ della loro storia nel lavoro, arricchendolo di impalpabile personalità.
Molti artisti hanno un rapporto viscerale coi materiali che utilizzano, ne sono così affascinati da esserne irrimediabilmente attratti. Jane Bennet ci parla di questa chiamata dei materiali nel suo seminale libro: Vibrant Matter: A Political Ecology of Things. (2010) Durham, North Carolina: Duke University Press.
Samuelle non è estranea a queste teorie quando ci spiega: “Ci sono materiali e oggetti che mi chiamano e materiali e oggetti che si chiamano a vicenda. È come se stessero aspettando di essere uniti in una certa forma. Io sono spesso attratta da quelli rotti e abbandonati, gli oggetti che una volta erano amati e poi sono stati buttati. “
L’utilizzo di materiali di recupero, disponibili in grandi quantità, ha permesso all’artista di estendere le sue creazioni fino a raggiungere dimensioni immersive e di contestualizzare la sua pratica all’interno di un discorso più ampio di sostenibilità ambientale.
Ancora, elementi di recupero si trovano nelle opere scultoree di piccole dimensioni, dove la tecnica modulare si adatta ad una scala ridotta e viene combinata a oggetti in disuso.
Underbelly, copyright Samuelle Green
Secondo Samuelle, l’unione di oggetti che hanno di per sé una forte personalità conferisce una nuova vita agli stessi e all’insieme.
Le sue sculture ospitano spesso inserti di stoffe differenti, tra le quali il velluto. La varietà di texture creata dall’accostamento di materiali morbidi e rigidi: carta, tessuto e legno; è un aspetto che la appassiona molto. Lei stessa ci anticipa che in futuro, nel suo lavoro, sarà sempre più presente questo affiancare elementi differenti, anche opposti per qualità fisiche, ma atti a creare un senso di bilanciamento e forza tra i materiali.
Nella sua produzione scultorea spesso appaiono dei fili: “Non sono certa del perché questi elementi mi attraggono ma iniziarono ad apparire nel mio lavoro circa 25 anni fa e sono ancora presenti. Forse sono dei fili che tengono le cose insieme nello spazio e nel tempo. Uniscono il nuovo e il vecchio.”
Velvet slipper, copyright Samuelle Green
Green utilizza medium diversi nella sua pratica: disegno, pittura e scultura; basandosi sempre sul legame tra oggetti costruiti dall’uomo e elementi naturali. Un continuo dialogo di contraddizione e interazione.
Per l’artista la scelta del materiale ha valenza tanto quanto il processo che si utilizza nel lavorarlo. Il gesto ripetitivo e costante di arrotolare e incollare la carta, immerge l’artista in uno stato meditativo. “Ore e anche giorni possono passare senza che io nemmeno me ne accorga. C’è una specifica quantità di attenzione che bisogna dare al processo per mantenere la forma e le dimensioni coerenti, come per la selezione dei colori adeguati. Ad un certo punto, però, la memoria muscolare prende il sopravvento e mi permette di considerare la prospettiva che il pezzo possa crescere in un nuovo progetto interessante”.
Le forme della Green, che sembrano crescere senza uno schema preciso, in realtà sono ben definite nella testa dell’artista: esse devono solo crescere finché l’immagine reale non coincida con quella mentale.
Questa gestualità ripetuta e meditativa si ritrova nell’intreccio di trame e ordito, nelle maglie dell’uncinetto o di un lavoro di maglia: è tipica della costruzione di qualsiasi tessuto. Infatti, per Samuelle, il processo di creazione di un’opera con la carta può essere paragonato alla tessitura o al cucire insieme pezzi di stoffa. Alcune soluzioni tecniche da lei adottate derivano proprio dalla tradizione tessile. Ad esempio, nel modo in cui l’armatura viene drappeggiata per creare i volumi. Le sue forme tridimensioni vengono spesso immaginate attraverso dei cartamodelli che poi si traducono in volumi nello spazio.

Shanghai manifestation, copyright Samuelle Green
Crescendo dal formato della scultura, le opere della Green, diventano immersive e scenografiche installazioni ambientali che reagiscono allo spazio e alle sue forme. Centinaia e migliaia di conetti di carta vengono infilati e incollati su di una rete metallica che funge da struttura, vi si installano e arrampicano addosso, ricoprendo e trasformando le superfici degli spazi espositivi con le quali interagiscono, sempre mantenendo un legame con le strutture naturali alle quali si ispirano.
Viaggiando e lavorando a livello internazionale, spesso sono proprio la flora nativa, i paesaggi o la fauna locale a ispirare l’andamento di queste forme.
Anche le installazioni più grandi cominciano con dei disegni preliminari, che si sviluppano insieme alle forme dell’installazione. La forma si sviluppa in maniera additiva, un processo lungo di allontanamento e riavvicinamento dove dettagli vengono aggiunti a dettagli. Un processo che l’artista continuerebbe all’ infinito e che viene terminato soltanto pochi minuti prima di un’inaugurazione. “L’opera non sembra mai finita, vedo il manifestarsi di essa come un progetto in continua evoluzione che è vivo, cresce, si modifica”.
Questo laborioso processo costruttivo è spesso eseguito da volontari, parenti, amici che col loro lavoro permettono all’opera di espandersi nello spazio fino a una dimensione in grado di avvolgere e accogliere lo spettatore.
Lo spettatore che si avvicina alle opere delle Green viene attratto dalla forma generale e poi si perde nella miriade di dettagli, proprio come quando si guarda alle foglie degli alberi o alla forma delle nuvole. L’artista stessa paragona la percezione delle sue opere all’osservazione delle nuvole nel cielo, dove l’osservatore attribuisce significati propri ai segnali visivi.
The Paper Caves, copyright Samuelle Green
Entrare in questo mondo fatto di carta è un’esperienza sensoriale totalizzante.
“Accanto all’aspetto visivo c’è spesso la presenza di un delicato elemento sonoro. Il suono è intermittente e quando c’è silenzio l’installazione di carta crea qualcosa di simile a una camera anecoica.” La luce che cambia durante il giorno crea differenti effetti di chiaroscuro, influenzando le sensazioni dello spettatore. Per queste ragioni, secondo Samuelle, la fotografia, come mezzo di documentazione della sua opera, riesce a veicolare solo una parte di un’esperienza in realtà ricchissima.
In questo periodo, dove per lo spettatore non è fisicamente possibile interagire con l’opera d’arte, ci chiediamo come approcciare un’opera che deve essere vissuta dall’interno, toccata, ascoltata e odorata.
Ho chiesto a Samuelle in che modo l’attuale situazione globale ha influenzato la sua pratica.
Essendo una persona che ha bisogno di creare con le proprie mani, ci dice di trovarsi in difficoltà: non potendo viaggiare non può installare i suoi lavori di persona.
Una delle ultime opere immersive della Green è stata esposta in China, dove un team dedicato di collaboratori ha installato il lavoro. Purtroppo Samuelle ci spiega che: “l’installazione ha avuto successo ma in futuro spero di poter essere presente e creare di persona ogni mia nuova opera.”
Beijing manifestation, copyright Samuelle Green
Il suo modo di lavorare si sta comunque adattando a questi tempi di cambiamento:
“Ultimamente ho speso il mio tempo nello studio lavorando su pezzi piccoli. Questo sembra in qualche modo più appropriato al momento che stiamo vivendo. Vedo questa fase di studio come una possibilità di sperimentare per future installazioni di grandi dimensioni.”
Aspettiamo i nuovi sviluppi nella sua pratica artistica e speriamo di poterla vedere in Europa il prossimo anno.
Nel 2021 il Simposio: INTERRUPTION – APPEARANCE AND DISAPPEARANCE OF MAN-MADE LANDSCAPE in Estonia, vedrà la Green impegnata in un progetto site specific per la città di Kohila. Restiamo in attesa di poterci immergere dal vivo in una delle sue installazioni.