Interviste

Intervista a Anneke Klein

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Anneke Klein è una fiber artista che lavora e vive a Zaltbommel, nei Paesi Bassi. La maggior parte delle sue opere tessili sono espressioni della sua visione su temi sociali e sono improntate al minimalismo e alla ripetizione.

Ha ricevuto molti apprezzamenti in patria e all’estero per il suo lavoro negli ultimi anni. “The Social Diary of the City” a sustainable society in terms and patterns, è stata selezionata per The Social Art Award 2019 a Berlino. Ha esposto anche alla “8th Biennial of Contemporary World Textile Art”, Madrid e allo “Experimental Fashion & Fiber Art”, Museo CICA di Seoul. Nel 2020 è stata selezionata per “Excellence in Fiber VI” al New Bedford Museum of Art, New Bedford, Massachusetts. Il suo lavoro “Dating site”expressions of the inner desires, ha ricevuto la Medaglia di Bronzo alla “13th International Biennial of Fiber Art” di Ivano-Frankivs’ k ed è ora selezionato per la “6th Triennial Textile Art of Today 2021-2022” che prenderà il via a settembre a Bratislava e sarà progressivamente esposto in cinque gallerie dei paesi di Visegrad.

“Dating site”, expressions of the inner desires, 2020, cm.135×206

Perché hai scelto il medium tessile come linguaggio espressivo?

La mia formazione è, in origine, nell’arte orafa (1982) La mia passione per la tessitura nasce dal dovermi confrontare sempre con materiali duri e freddi: per questo ho scelto presto di tessere, per il calore e la morbidezza dei materiali.

Dopo un periodo di progettazione e produzione di abbigliamento, ho lavorato su commissione per il minimalista americano Richard Tuttle per la sua mostra al Vleeshal del Frans Hals Museum e per Alexis Gautier al Bozar Museum di Bruxelles. Successivamente, ho sviluppato un mio stile per le opere a parete. Da orafa ho imparato ad esprimermi in miniatura ed è ciò che più mi si addice ed una modalità che spesso applico anche nei miei lavori tessili. Non come mini o micro arte tessile ma come elementi per il ritmo e la ripetizione.

Ad esempio per “Dating site”, expressions of the inner desires (“Sito di incontri”, espressioni dei desideri interiori), ho creato 726 loghi (6×4 cm) come la presentazione delle immagini sul sito di incontri. Ogni logo si basa su come caratterizzo una persona intorno a me o che incontro per caso.

Per i tuoi lavori usi una palette essenziale: bianco, nero, colori naturali. È una scelta estetica o ha altri significati? Che rapporto hai con il colore?

Gran parte del mio lavoro si basa sulla tecnica base di tessitura della tela in una struttura trasparente aperta. Come nel mondo che mi circonda, aggiungo una moltitudine di forme, trame e strutture. In questo modo guardo il quotidiano simbolicamente attraverso una lente e sollecito in me stessa la consapevolezza sociale.

I colori rappresentano un’emozione e sono quindi troppo determinanti. Evitando i colori, evito l’oppressione nel rivivere le espressioni. Ecco perché l’unico modo in cui uso un colore è subordinato e quando voglio davvero rafforzare l’essenza. È attraverso toni, forme, strutture e trame morbidi che voglio creare il mio linguaggio, senza alcun vincolo.

Le tue installazioni quasi interagiscono con lo spazio. Possiamo dire che il luogo che le ospita diviene quasi parte integrante dell’opera?

Scegliendo di realizzare un tessuto trasparente come base dei miei lavori, voglio sollecitare l’interazione con l’ambiente circostante. Questo vale non solo per il luogo che li ospita, ma anche per la relazione tra le mie opere con lo spettatore. Rispondo a questo sviluppando i miei temi, come nell’installazione “RT-L”, connections by simplicity (“RT-L”, connessioni per semplicità), dove sostengo la liberazione dall’incasellamento. L’interazione reciproca tra le 4 opere e il luogo che le ospita gioca un ruolo importante. Richiede di pensare fuori dagli schemi e affronta la complessità di liberarsi da comportamenti radicati.

Lo vivo come un dono poter esporre in un luogo con una sua dinamica. Non mi pongo in contrapposizione con esso. Accolgo la sfida di trovare una coesione tra il luogo e le mie opere, di scoprire e verificare nuove interazioni per fondere il tema dell’opera con lo spazio. Così, mentre il mio lavoro “Transient”, sense of time and mortality (“Transient”, senso del tempo e della mortalità), si inserisce perfettamente in un vecchio capannone industriale, la serie “Selfies” what do we show of ourselves (“Selfies” cosa mostriamo di noi stessi), che si fonde con il muro inquinato di un ex silo di grano è una tale scoperta e stupore per un nuovo scenario.

“RT-L”, connections by simplicity, 2018, installation 4 elements cm.290×100 and 75×75

“RT-L”, connections by simplicity, 2018, detail

“RT-L”, connections by simplicity, 2018, detail

Cosa vuoi veicolare attraverso le tue opere?

Come dicevo, spero con la mia ricerca suscitare nello spettatore la riflessione e la consapevolezza sui temi sociali che di volta in volta affronto nelle mie opere. Mi considero un’artista indipendente, le mie opere sono espressioni personali del mio mondo che voglio utilizzare per dare senso e per fare senso. I miei titoli quindi hanno spesso un significato più profondo e gli spettatori possono fruire di un testo esplicativo sul mio lavoro come un valore aggiunto.

Ad esempio, con il mio lavoro “The Social Diary of the City”, sfido la riflessione su una società sostenibile nei termini e negli schemi. Il diario è composto da 365 giorni, visualizzati in 4 trimestri di 13 settimane. Durante un anno, uno stimolo sociale quotidiano che ho sperimentato, rappresentato da un termine, è stato da me tradotto in uno schema. La società che cambia, la pressione sulla coesione sociale, le interazioni da un’interpretazione personale, la mia installazione consente di osservare questa complessità all’interno di una griglia regolare.

Oltre al mio lavoro tessuto/ricamato a mano, questo progetto consiste anche di un documento con i 365 termini che costituiscono il principio per i modelli elaborati. Questi termini sono stati stampati nella stessa griglia e successivamente tradotti anche in inglese, spagnolo e coreano per le mostre in Massachusetts, Madrid e Seoul. Quelle traduzioni sono per me ancora una volta un momento di contemplazione perché l’emozione deve essere preservata come sua essenza.

Se l’osservatore è attratto da certi schemi e sollecitato a fare associazioni con le sue impressioni e i suoi termini di riferimento, la riflessione condurrà dapprima ad un riconoscimento, successivamente ad un approfondimento e ad una presa di coscienza del proprio ruolo all’interno di una società sostenibile.

“The Social Diary of the City”, a sustainable society in terms and patterns, 2019, cm.280×150

“The Social Diary of the City”, a sustainable society in terms and patterns, 2019, detail

Ci sono o ci sono stati artisti o movimenti che ti hanno ispirato o ai quali ti senti particolarmente affine?

Trovo il movimento ZERO degli anni ’60 di grande ispirazione. Non basarsi su stili esistenti ma iniziare da zero, lasciando andare le tecniche – damasco, gobelin, ikat, quilt, pizzo e così via; per questo scelgo la tecnica base della tela come punto di partenza dei miei lavori. L’intreccio con la struttura più semplice e tuttavia con il maggior numero di connessioni possibili, un bellissimo simbolismo come base. Per sensibilità e istintivamente sono legata ad artisti come Jan Schoonhoven e Piero Manzoni dell’era ZERO, ma sento molto anche le opere astratte di Sean Scully. Trovo affinità nell’uso di forma e consistenza, nell’applicare peso e densità, ritmo e ripetizione. Significano molto anche le espressioni minimaliste che ho imparato nel periodo durante la mia collaborazione con Richard Tuttle, il gesto minimamente sensibile e a volte sensuale.

Che progetti hai in corso e quale il prossimo?

Recentemente ho letto i libri “The Black Swan” e “Antifragile” di Nassim Nicholas Taleb. Si occupa dei problemi dell’incertezza, della probabilità e della conoscenza. L’impatto dell’altamente improbabile e delle cose che beneficiano del disordine.

In questo contesto penso a un’installazione che rappresenta una fusione tra natura e uomo in cui il caos e il disordine sono un’essenza. Dove le persone sono assorbite in un biotopo e non l’individuo ma il sistema totale è centrale. Non la malleabilità, ma proprio la vulnerabilità e la caducità è la forza.

Barbara Pavan

English version Sono nata a Monza nel 1969 ma cresciuta in provincia di Biella, terra di filati e tessuti. Mi sono occupata lungamente di arte contemporanea, dopo aver trasformato una passione in una professione. Ho curato mostre, progetti espositivi, manifestazioni culturali, cataloghi e blog tematici, collaborando con associazioni, gallerie, istituzioni pubbliche e private. Da qualche anno la mia attenzione è rivolta prevalentemente verso l’arte tessile e la fiber art, linguaggi contemporanei che assecondano un antico e mai sopito interesse per i tappeti ed i tessuti antichi. Su ARTEMORBIDA voglio raccontare la fiber art italiana, con interviste alle artiste ed agli artisti e recensioni degli eventi e delle mostre legate all’arte tessile sul territorio nazionale.