Cronache dal Murats: intervista a Cenzo Cocca

Tra gli artisti selezionati dai due curatori Baingio Cuccu e Anna Rita Punzo per la Biennale di Fiber Art della Sardegna in corso fino al 14 novembre al MURATS Museo dell’Arte Tessile Sarda, c’è Andrea Cocca, in arte Cenzo, giovane artista sardo (classe 1994) originario di Ghilarza, in provincia di Oristano, trasferitosi ad Olmedo, nel nord della Sardegna dove oggi vive e lavora.
Dopo il diploma di Stilista all’Istituto Moda & Immagine e la Borsa di studio Fondazione G.A. Sulas conclude il suo percorso formativo con la residenza artistica di un anno a Nuoro ed un Master di perfezionamento. Il progetto finale verrà presentato a Sassari con la mostra “Appena svegli, ma anche più tardi”
Durante gli studi di moda infatti si interessa sempre di più all’arte e inizia a sperimentare come autodidatta il tessile come linguaggio espressivo per realizzare opere d’arte. Da questi primi tentativi di coniugare l’uno e l’altra nascono i primi lavori cuciti a mano ed una serie di ritratti. Ripercorriamo a ritroso questo percorso partendo proprio dall’opera esposta a Samugheo.
Una grande tela antica ferita e ricucita con il filo blu: questa è UN LUNGO E DELICATO RICORDO DA NON DIMENTICARE, l’opera che hai realizzato per INVENTARIO 20, la Biennale di Fiber Art della Sardegna in corso al MURATS. Mi racconti questo lavoro?
Certo, è una grande sutura/cucitura che ho realizzato appositamente per la Biennale della Fiber Art.
Si tratta di un telo bianco degli anni ‘40 che mi è stato donato da una donna di Monteleone Roccadoria. Con una lama, ho realizzato un taglio verticale al centro del telo creando un grande spacco, una grande ferita. Una volta tagliato il telo l’ho ricucito con dei fili blu e celesti. Ho cercato di rappresentare un momento di ricostruzione, di ricongiunzione. Nella vita capita di passare dei momenti bui o di vivere esperienze che segnano il nostro cammino, il tempo ci insegna che tutto passa e tutto serve a costruire il nostro futuro, dobbiamo solo ricucire le giuste parti e quindi non lasciare le ferite aperte. Tutto si può ricostruire.
Il blu, l’oro, i marroni: la tua tavolozza di colori ha le sfumature della tua terra. Quanto e come il luogo nella sua globalità – geografica, storica, culturale – influenza il tuo lavoro?
Sicuramente il silenzio è un elemento fondamentale che caratterizza la terra in cui vivo, e io vado alla ricerca costante del silenzio, ovunque io sia, mi nutro di esso e cerco di trasformarlo in tracce, in segni. I miei colori sono il blu e il celeste che vengono spesso accompagnati dal giallo, dall’oro e da tutte le tonalità del marrone. Sono i colori che mi accompagnano ogni giorno, sono i colori che questa terra mi ha sempre offerto e io cerco di restituire il mio sguardo attraverso le opere.
In un’occasione hai detto che scegliere il cucito come medium espressivo è stata una scelta di ribellione…
Beh si…. non sempre andavo d’accordo con la rigidità e con le regole della sartoria. Ho iniziato cucendo a modo mio sopra i fogli di carta e sopra gli scarti di tessuto ma senza seguire nessun metodo, lo facevo quando tornavo a casa dopo le lezioni di cucito. Quindi non ho mai abbandonato ago e filo, cerco semplicemente di utilizzarli a modo mio.
Tela antica, carta, camicie: cuci (su) diversi materiali. Qual è il criterio con cui li scegli e hanno per te anche un “valore concettuale” oltre che tecnico?
Si, hanno un valore concettuale e li scelgo in base a quello che voglio raccontare e trasmettere. Ultimamente sto utilizzando i vecchi teli che hanno utilizzato le nostre nonne, teli rotti e strappati, segnati dal tempo e intrisi di memoria e di respiri. Mi piace intervenire sui teli per creare un dialogo tra passato e presente, tra il visibile e l’invisibile, tra me stesso e il supporto che diventa quasi come una persona che assorbe le mie sensazioni e i miei pensieri. Credo che i vecchi teli abbiano sempre qualcosa da raccontare. In passato ho utilizzato anche le camicie per raccontare la vita del Professor G.A. Sulas, ho cucito i volti di tutte le persone che hanno ruotato attorno alla sua figura. Le camicie stesse sono diventate persone. Utilizzo molto spesso la carta cercando di sfruttare la sua leggerezza e la sua delicatezza.
Sopra un filo di profondità, 2021 Parte 2°. Courtesy Cenzo Cocca
A causa della pandemia la casa e l’abitare sono tornati prepotentemente al centro delle nostre esistenze. A questo tema è ispirato anche uno dei progetti articolato in diverse parti e a cui lavori dal 2019…
Ho iniziato a lavorare sul tema abitare a Gennaio 2019, forse ho scelto il periodo migliore per iniziare questo progetto…purtroppo o per fortuna. Nel 2020 ho avuto modo di vivere la casa 24 ore su 24 e di analizzare il tema da più vicino, viste le restrizioni legate alla pandemia. Ho iniziato ricalcando e cucendo le planimetrie della casa sulla carta, quindi sono andato a scavare nel passato cercando di ricostruire i legami tra me, spazi e oggetti che si sono andati a creare all’interno dell’abitazione. La seconda parte è legata alle immagini e alle situazioni cucite, quello che rimane impresso nelle nostre menti e nei nostri occhi, uno sguardo interno del presente. La terza parte è legata ai sensi dell’abitare, si tratta di una serie di cubi cuciti, mentre la quarta sarà un intreccio tra fotografia e cucito, ancora da sviluppare.
Tra i progetti recenti c’è THE SOFT WALL – TELOS, un’installazione site specific. Qual è la genesi di questo lavoro e qual è il tuo rapporto con lo spazio per opere come questa?
Allora, l’idea iniziale è di Stefano Resmini, curatore dell’installazione. Ad inizio Marzo, mi ha chiamato per realizzare un muro morbido nel nuovo spazio dedicato all’Arte Contemporanea di Sa Mandra. Una volta vista la stanza, una cucina, abbiamo pensato di creare una stanza morbida, non più solo un muro. Questo è stato possibile soprattutto grazie ai teli che ci ha messo a disposizione la famiglia proprietaria dello spazio. THE SOFT WALL – TELOS vuole rappresentare un abbraccio morbido e accogliente, vuole raccontare una storia di identità e di appartenenza, vuole essere una stanza in cui si deve e si può riflettere. Il tempo si può fermare, anche per poco. Il rapporto che ho con spazi per opere come questa è abbastanza intenso, come quello che si va a creare col supporto. Mi piace abitare e allo stesso tempo rispettare lo spazio, conoscere il luogo è un “punto” necessario per creare un’installazione site specific.
Fronte e retro, diritto e rovescio: molti dei tuoi lavori necessitano di essere visti da entrambi i lati…
Si, di solito hanno una prima e una seconda parte, un fronte e un retro. La prima parte è il disegno, è la prima traccia che lascio sul foglio con una matita o con una penna. Per arrivare alla seconda parte devo bucare la prima e andare oltre il supporto. La seconda parte è quasi sempre la più importante, la parte da scoprire e da esplorare, la parte sconosciuta da conoscere. Cerco di andare oltre.
Cosa c’è all’orizzonte?
Sicuramente mi dovrò dedicare all’ultima parte del progetto “Abitare”. Poi, ho recuperato tanti tessuti e continuerò a lavorare con le suture, non solo col tessuto ma anche con la carta. Da inizio anno sto anche lavorando sulle copertine del nuovo libro di Mario Saragato, con cui sto collaborando anche per far crescere il Museo del Ghirigoro, nato quest’anno ad Aggius da una sua idea.