INTERVISTA A DAVIDE VIGGIANO

Davide Viggiano è nato a Potenza nel 1994. Dopo aver frequentato l’Istituto Statale d’Arte diplomandosi in Textile design consegue la laurea in Decorazione all’Accademia di Belle Arti di Foggia. Nel 2017 si trasferisce a Milano, dove prosegue la sua esplorazione in campo artistico frequentando l’Accademia di Belle Arti di Brera. La sua ricerca esplora i confini della pelle, confine tra sé e l’altro, contenitore di identità nomadi. Le sue opere sono state selezionate in contest e mostre nazionali ed internazionali. Vive e lavora a Roma.
Evocato, sezionato, abbozzato, il corpo è presente in quasi tutte le tue opere. Da e intorno al corpo muove la tua ricerca artistica…
Sin dai miei primissimi studi artistici ho sempre prestato molta attenzione alla materia e agli stimoli che da essa ricevo. La materia è vitale, emana sensazioni tattili come per l’appunto l’epidermide, mezzo con cui il corpo si approccia fin dai primissimi anni di vita al mondo circostante congiuntamente agli altri quattro sensi. La pelle riveste per intero la superfice corporea, barriera psico-fisica che mette in relazione il nostro IO interiore con il reale. Questo processo di relazione corpo-mondo ha suscitato in me un forte interesse e da qui ho dato origine alla mia ricerca. Comprendere cosa significa “abitare un corpo”, pensare a quest’ultimo non solo come mero oggetto anatomico ma come un qualcosa di più profondo e simbolico, un corpo delle relazioni, che si estende, si ibrida con le nuove tecnologie. Un corpo dello scambio e del rito.
Fibre e tessuti consentono di dar forma all’abito inteso come forma dell’abitare noi stessi, seconda pelle, identità. Qual è il rapporto fra i materiali che sperimenti ed il contenuto dei tuoi lavori?
I materiali che utilizzo nella mia produzione sono per lo più di natura organica, materiali definiti “poveri” che hanno un rimando ad un qualcosa di “corporale”, legati in un certo qual modo alla carnalità fisica e allusivi a figure antropomorfe. Oggetti come ad esempio indumenti, lenzuola, garze, filati, elementi di origine vegetale o perché no grucce di metallo, che hanno avuto un contatto fisico con il corpo e quindi sono impregnati di vita. La materia nella mia sperimentazione e ricerca tende dunque alla vita, si ibrida con tutte le forme vitali, diventa corpo-vivente carico di storie, narrazioni passate, sensazioni. Quest’ultima simula la “pelle” diventando un’unica membrana organica densa di memorie, “archivia” ma, allo stesso tempo, comunica allo spettatore un messaggio. Lo scopo principale del mio lavoro è mantener vivo questa relazione simbolica tra l’opera d’arte (quindi la materia) ed il suo fruitore, proprio come un filo che tiene uniti due lembi di tessuto.
Corpi (in)Visibili è un tuo progetto, articolato in più opere, che indaga la relazione tra il corpo e la società contemporanea. Ce lo racconti?
Corpi (in)Visibili è una serie in tre opere collegate tra loro e sviluppata tra il 2019 e il 2020. In questo progetto ho voluto mettere in luce una delle tematiche a me più care, ovvero la questione identitaria. L’identità personale è sempre stata vissuta a pieno ed espressa tramite il corpo nelle società arcaiche. Durante i secoli con l’avvento delle strutture gerarchiche e con il formarsi dei poteri della borghesia, della chiesa Cattolica e dell’attuale Capitalismo, il corpo diventa materia di sfruttamento nel lavoro e non solo, scisso, frammentato, mutilato e messo a tacere. In questo contesto e lungo il processo di dominio sull’altro, le identità vengono omologate e messe in serie come oggetti di fabbrica. Tutte queste forme di violenza, invisibili, sono state messe in atto per sfruttare ed annientare il diverso. Donne, zingari, omosessuali, stranieri, mendicanti e così via. Ecco, il mio lavoro cerca di dar voce a tutte queste minoranze – politiche, di genere, di orientamento sessuale – con lo scopo di rivendicare ogni forma di libertà e scardinare i dettami imposti dalla società del fallo-capitale. Per liberare il corpo dalla sua alienazione e vivere a pieno la propria identità unica ed inimitabile bisognerà fermare questa lunga ed incessante “caccia alle streghe”, e forse compito di noi artisti è quello di togliere i veli, o meglio di sollecitare il pubblico a saper guardare con occhi diversi. Con Corpi (in)Visibili ho cercato di attirare l’attenzione del fruitore portandolo a riflettere su queste tematiche, a partire dal nome ambiguo dato al progetto stesso.
Cos’è l’arte per te, che ruolo ha nella tua vita? E c’è una qualche analogia tra la tua visione dell’arte e della vita e le tecniche tessili – filatura, tessitura, ricamo…?
L’arte è sicuramente un medium per esprimermi, ma non solo. Penso che in primis sia ricerca e ricostruzione di sé. Una continua indagine per comprendere il proprio disegno di vita, una sorta di trama o tessitura con cui creiamo storie, relazioni, legami con esperienze passate, presenti e future. L’arte ci permette di lasciare una traccia della nostra esistenza. È un esercizio meticoloso e forse per questo quando si parla di arte si pensa subito a manufatti, a qualcosa di materico poiché è, in qualche modo, dar forma ad un’emozione, dar voce a “tutti”. Tessere, dunque, l’arazzo della propria esistenza: una metafora quella dell’intreccio con cui si ricollega la mia produzione. Il legame che sento verso le tecniche di tessitura utilizzate nel mio operato, seppur in maniera sperimentale – come ad esempio l’utilizzo della penna 3D per intrecciare elementi ricavati da filamenti in bioplastica (PLA) di derivazione vegetale – è sicuramente derivato dalla mia prima esperienza e formazione artistica: sono diplomato in Arti Applicate come disegnatore tessile presso l’istituto d’Arte di Potenza. Tuttavia, nella mia maturazione artistica, è nelle tecniche tessili “tradizionali” che ho riscontrato il mezzo più idoneo a dar forma al mio pensiero e alla mia ricerca.
Legami liquidi, iperconnessione, alienazione sono tra le istanze contemporanee che hanno ispirato alcuni tuoi lavori. Quali riflessioni vorresti che incoraggiassero nel fruitore?
Il mio tentativo è quello di portare alla luce tematiche che toccano la vita di ogni essere umano, di comprendere i mutamenti della società e con essa della vita in sé. L’Intreccio delle relazioni, la connessione non solo con l’altro corpo ma con tutti gli esseri viventi che abitano la Terra, il far parte di questa grande tela di cui ognuno di noi è un pezzo importante, unico, e quindi diverso, sono alcune delle riflessioni che vorrei evocare nel fruitore. Lo stesso termine “abitare” infatti assume svariati significati, mette in relazione l’uomo con il suo corpo, con la propria veste, con la propria casa, con il proprio habitat e con le proprie abitudini e quindi con l’esperienza di vita di ogni singolo individuo. Connettersi con l’altro per creare nuovi scenari e nuovi punti di vista.
C’è un’opera a cui sei particolarmente legato, da cui non ti separeresti o che più profondamente ti rappresenta?
In passato sono sempre stato molto geloso dei miei lavori, non me ne sarei mai separato. Li ho sempre trattati come se fossero i miei bambini, era così che li chiamavo. Crescendo e cercando di far strada nel mondo dell’arte ho imparato a “slegarmi” da loro. Ogni opera ha un legame con un momento particolare della mia vita, con un luogo o delle affinità con delle persone che in qualche modo hanno lasciato una traccia importante. Una delle opere che attualmente mi rappresenta di più è sicuramente “Abitare 02”; magari tra un anno o due cambierò idea.
Davide Viggiano “ABITARE 02” garza di cotone e spine, cm 6x13x4, 2020
Quali sono gli artisti che ti hanno influenzato o con cui senti un’affinità?
“Cercate i vostri simili!” ci ripeteva costantemente una cara docente dell’Accademia di Brera quando ero ancora uno studente. Ecco, parlando di affinità artistiche, diciamo che sono molto legato per lo più ad artiste; posso citare alcuni nomi di grande fama, come ad esempio Maria Lai, Carol Rama, Louise Bourgeois, Chiharu Shiota, Mona Hatoum, Orlan e Berlinde De Bruyckere; ma ce ne sono tanti altri (forse poco conosciuti e più emergenti) a cui sono affine sia per l’estetica che per ideologia. In una visione più universale, non solo artisti/e visivi hanno influenzato il mio lavoro: alcuni/e provengono da altri settori creativi, come la scrittura (Paul Preciado, Parinetto, Foucault, Donna Haraway, Rosi Braidotti ad esempio) e soprattutto la moda. Da un punto di vista semantico, la moda si estende a tutti i campi del sociale, entra nei corpi e nella vita di tutti i giorni attraverso l’abbigliamento, la musica, la fotografia, l’architettura, la grafica pubblicitaria, il cinema, il teatro e così via. Per citare anche qui alcuni nomi che stimo moltissimo: Iris Van Herpen e l’italiano Alessandro Michele, Art Director della Maison Gucci.
Come ha influenzato il tuo lavoro la pandemia e le restrizioni che ne sono derivate? A cosa hai lavorato in quest’ultimo anno e quali progetti hai in cantiere?
La pandemia ha sicuramente influenzato il mio lavoro, anzi devo dire che ha dato modo in me di carburare e far maturare tante riflessioni che in questi ultimi anni erano al centro dei miei studi. Forse il 2020 è stato l’anno in cui sono riuscito a produrre molti lavori con una consapevolezza in più di ciò che cerco di esprimere attraverso la mia arte. Son sicuro che tutti questi cambiamenti a livello globale porteranno alla nascita di nuove idee, soprattutto a livello culturale e sociale e ciò influenzerà tutti i campi. La creatività ed un punto di vista differente saranno fondamentali per aiutarci a migliorare la vita in tutte le sue forme. In questo periodo sto sperimentando e lavorando a diversi progetti per alcune esposizioni in programma per il 2021.