Interviste

INTERVISTA A GIULIO LOCATELLI

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Giulio Locatelli

Giulio Locatelli, bergamasco, classe 1993, da sempre interessato all’universo delle fibre tessili, lavora da qualche anno prevalentemente con il filo nel quale riconosce uno strumento duttile e versatile con cui realizzare le sue complesse installazioni simili ad articolate stalattiti e stalagmiti. Filo che è per l’artista medium espressivo e di analisi – personale ed universale – metafora di radici e legami, elemento semplice ma che, come la goccia calcarea, sedimenta un passaggio dopo l’altro fino ad assumere la forma scultorea dell’idea dell’artista, fino a farsi luogo-non-luogo dove ognuno di noi può essere accolto per ritrovare se stesso.

“Il Pensatoio”, dimensioni variabili, filo e filo, 2019, photo by Giulio Locatelli

Quali significati assume il filo nell’ambito della tua ricerca artistica, al di là della mera funzione di medium espressivo?

Il filo, elemento primo della mia ricerca artistica, al di là di solo medium espressivo, di solo strumento materiale per la concretizzazione delle idee diventa sia strumento d’analisi, sia di riflessione e simbolo che porta con sé tutte le esperienze compiute; diventa un catalizzatore di memorie, di relazioni, di amicizie, di discordie. Inizialmente manipolato attraverso la cucitura, un rituale, in cui vi è uno spostamento dalla realtà, dal tempo presente verso un oltre, non visibile, non misurabile. Un atto per mettere in luce una spinta verso un orizzonte, un paesaggio, un altro distante dalla realtà, ma con legami inscindibili con essa. Il filo, inoltre, non utilizzato né in maniera decorativa, né in maniera descrittiva, ma quanto più espressione del mio gesto che si rende libero, analizza e riflette su città, paesaggi, luoghi e non luoghi frequentati da sempre dall’essere umano, in cui vi sono scambi, relazioni e contaminazioni.

“Into the waves”, taccuino cucito, 2020, photo by Giulio Locatelli

Dai lavori bidimensionali sei passato alle grandi installazioni tridimensionali in cui il pubblico entra nell’opera. Come sei arrivato a questo cambiamento e perché?

Come accennavo, inizialmente il filo veniva utilizzato attraverso la cucitura, l’equivalente di una traccia a matita, a pennello, un gesto, una testimonianza che porta con sé tutte le esperienze compiute; il filo così ha dato origine a lavori bidimensionali, ai Tracciati, le cui immagini che emergono rievocano cartine geografiche, cabrei con lo scopo di creare visioni del mondo che non si riconducono a luoghi e spazi conosciuti, ma che lasciano intravedere forme fantasmatiche, sguardi liquidi, mutevoli. Nei Tracciati, la riflessione parte dal termine inglese landscape, in quanto tale termine parla di terre e di fuga, di spazi in cui perdersi ed evadere, con un’ansia di superamento della finitudine delle frontiere e dei luoghi dell’immaginario collettivo. Spinto dalla volontà di uscire dal “luogo della pittura“, il filo trova ora spazio in una dimensione scultorea, dando origine a sculture che ricordano forme calcaree, rocce, pietre, stalattiti e stalagmiti in cui lo spettatore può avvicinarsi ed entrare in relazione con esse. Questo cambiamento dalla bidimensione alla tridimensione è nato in maniera naturale, a seguito di continue riflessioni, pensieri, domande sul filo, un elemento così sottile e così sensibile che racchiude con sé mutevoli ed innumerevoli possibilità.

“Masafuera”, più lontano, dimensioni variabili, filo e filo, 2020, photo by Giulio Locatelli

Che cosa sono e/o rappresentano i ‘non luoghi’ delle tue installazioni?

Sono delle vere e proprie analogie, situazioni surreali che inducono chi si confronta con l’installazione a sentirsi un viaggiatore volto ad intraprendere un viaggio verso uno spazio, verso una dimensione intima, interiore, insita in ciascun individuo dove ognuno può ritrovare ciò che è ed è stato, i propri ricordi e le proprie memorie. Le installazioni che ultimamente sto realizzando, sono analogie, installazioni che possono esistere in qualsiasi spazio, in qualsiasi luogo non determinato in una precisa posizione geografica, perché soggette ad una curvatura della dimensione spazio temporale che si rendono visibili ed accessibili solo a coloro che hanno la sensibilità per percepire la loro presenza e stimolano lo spettatore ad intraprendere quel viaggio nelle viscere di sé stessi guardandosi allo specchio, indagando sulla propria dimensione interiore, affrontando quelle paure e tutti quei ricordi che spesso e volentieri si vogliono dimenticare.

Cos’è per te la ‘memoria’, uno dei temi principali dei tuoi lavori e della tua ricerca?

Il tema della memoria, del ricordo, sono temi cardini della mia ricerca artistica: questo perché credo che siano il frutto delle esperienze maturate, degli incontri fatti e delle relazioni intrecciate, sono ciò che danno forma e scolpiscono l’essere umano, portandolo ad un accrescimento. Indi per cui credo che attraverso il lavoro artistico sia giusto portare l’attenzione su queste condizioni favorendo così chi si relaziona con l’opera ad un’interpretazione personale derivata dal fatto che ognuno può e deve andare alla ricerca delle proprie memorie, dei propri ricordi, per scoprire e riscoprire la propria identità, ciò che si è ed è stati.

“Sotto il flusso del tempo”, dimensioni variabili, filo e filo, photo by Giulio Locatelli

Viviamo un’epoca di relazioni liquide e virtuali eppure nelle tue opere il rapporto ed il legame con l’altro sono espressi attraverso i ‘nodi’ che consentono alla struttura di ‘arricchirsi’ e crescere solida. Che valore hanno per te nella vita e nell’arte?

Le relazioni, le esperienze, gli incontri instaurati con l’altro stanno alla base dell’accrescimento dell’essere umano, pertanto per me hanno un valore primario sia nella vita che nell’arte, non scindo le due cose; cerco di portare nel mio lavoro artistico ciò che scopro di me attraverso la relazione con l’altro e là dove vi è uno scambio importante s’instaura un nodo, un simbolo, un punto cardine della mappa della mia esperienza che dà forma e forma la mia persona. Le relazioni liquide e virtuali, filtrate od instaurate attraverso lo schermo, le vedo un po’ come un fiume che scorre, che leviga e scolpisce la pietra dell’essere umano.

“Luogo Protetto”, dimensioni variabili ( 53 x 53 x 53 cm ), filo, photo by Giulio Locatelli

Come si relazionano le tue installazioni con i luoghi che le ospitano?

Le mie installazioni si relazionano sempre con il luogo che le ospita: credo fermamente nel fatto che il luogo diventi parte del lavoro artistico, lo spazio concesso per l’installazione diventa di proprietà dell’artista e parte integrante del lavoro stesso. Nelle ultime installazioni che sto realizzando la contaminazione tra lavoro artistico e spazio fisico è data dalla presenza dei fili che dalla scultura si espandono al suolo come radici.

“Stalagma”, dimensioni variabili, filo, 2019, photo by Giulio Locatelli

In molte installazioni, ad esempio ne ‘La vicina grotta dei ricordi’ selezionata per il Premio Arte Laguna, utilizzi esclusivamente il filo bianco. Perché questa scelta?

La scelta del filo bianco è dovuta al fatto che il bianco aiuta l’installazione o la scultura a rimandare lo spettatore ad un’immagine già presente nel suo immaginario, se si pensa alle stalagmiti o stalattiti subito viene in mente il bianco. Inoltre, il bianco, freddo, candido come la neve non è privo di emozione, come spesso si pensa, ma porta con sé la purezza e dentro il bianco ci sono sfumature che a seconda di come la luce filtra sull’installazione emergono, spingendosi fino all’azzurro. Finché non avrò estrapolato tutto il possibile dal bianco continuerò ad utilizzarlo, non precludendomi a priori la possibilità di utilizzare un altro colore, in tal caso sarà il lavoro stesso a suggerirmelo.

“La vicina grotta dei ricordi”, dimensioni variabili, filo, 2019, photo by Giulio Locatelli

Sostieni che alle idee si debba dare forma concreta perché se rimanessero in testa ‘prenderebbero freddo’. Dunque fare arte per te è una sorta di ‘messa a dimora’ dell’idea, al pari di una semina, oppure è custodirla al riparo ed al sicuro in un’opera d’arte per traghettarla oltre la dimensione personale e condividerne l’esperienza? O qualcos’altro?

Esattamente, se le idee non vengono concretizzate prendono freddo e si fossilizzano nella testa, il che significa che nel momento in cui si ha un’idea, interessante o meno che sia, bisogna concretizzarla, per osservarla, analizzarla e vedere se realmente funziona anche sotto l’aspetto concreto; spesso e volentieri tra l’idea e la realizzazione materiale vi è un abisso e solo estrapolandola dalla camera oscura della mente si ha la percezione se funziona o meno. Per me fare arte è una sorta di semina, lasciare nel terreno fertile della vita un piccolo seme, una piccola traccia del proprio passaggio che se coltivata in maniera corretta ed attenta può donare degli ottimi frutti. Frutti che devono essere condivisi con le persone che osservano il lavoro artistico, perché l’opera d’arte deve essere fruibile agli spettatori, deve essere mostrata, perché se rimane solo nello studio dell’artista e vista soltanto dal suo creatore rimane sterile, perde ogni possibilità di germogliare, maturare ed evolversi in qualcosa di altro.

“Diario di una quarantena” , taccuino cucito, 2020, photo by Giulio Locatelli

“Diario di un antico navigante di stelle”, taccuino cucito, 2020, photo by Giulio Locatelli

“Black Book”, taccuino cucito, 2020, photo by Giulio Locatelli 

Quanto conta nel tuo lavoro la tecnica rispetto all’idea, la dimensione ‘artigianale’ rispetto a quella ‘concettuale’?

A mio avviso tecnica ed idea camminano mano nella mano, questo perché nel momento in cui si decide di concretizzare l’idea della mente, dopo averla passata al setaccio ed analizzata in maniera analitica bisogna relazionarsi con la messa in opera che spesso non è scontata. Inoltre, l’aspetto artigianale è presente nel mio lavoro perché mi piace mettere mano in ciò che faccio questo perché i materiali sono vivi e spesso e ti parlano e ti suggeriscono a loro volta possibili soluzioni.

“Meteora”, dimensioni variabili, filo e filo, 2020, photo by Giulio Locatelli

Un progetto o un’opera che vorresti poter realizzare in futuro?

In questo periodo sto lavorando ad un grande progetto dal titolo Magic carpet, un tappeto magico, una stella luminosa in un cielo primaverile. Magic carpet nasce dal desiderio di mettere in luce una riflessione sulla condizione fredda ed inaspettata in cui ci mi sono trovato a vivere all’interno della mia città, Bergamo, ed il paese dove ho lo studio, Alzano Lombardo, durante la pandemia di COVID-19. Come travolti da una tempesta, tutto ciò che ci pareva certo e sicuro è andato sciogliendosi come filo di una matassa, ci siamo trovati in una condizione sotto sopra in cui le relazioni si sono interrotte, le antiche memorie perdute ed i legami più stabili tagliati.

Magic carpet, attraverso un’operazione artistica corale, basata sulla cooperazione tra le varie entità territoriali, vuole ricucire le ferite di questa tempesta, cercando di ri-tessere un tessuto sociale lacerato, far riappropriare alla cittadinanza la propria identità, creando, attraverso un’operazione artistica, un tappeto magico. L’opera coinvolge gli abitanti della Val Seriana e Bergamo, un segno con il quale andare a dialogare con i territori, portandoli a lavorare collettivamente alla realizzazione, facendoli riflettere così sul senso dell’unione, sullo scambio di esperienze, di conoscenze, di vissuto, là dove oggi domina il singolo individuo perso e chiuso nella propria isola, impaurito ad avventurarsi in un mare in tempesta.

L’elemento primo di MAGIC CARPET è il filo, strumento sia d’analisi che di concretizzazione dell’idea, elemento fisico e simbolo di una valle dalla profonda ed antica vocazione tessile. Il filo di ciascun individuo, tessuto l’uno vicino all’altro ed inserito nella trama del tappeto, diventa una testimonianza che porta con sé tutte le esperienze compiute, diventa un’espressione attraverso la quale si attua una riflessione sulle proprie origini, sulle proprie radici, su città, paesi, luoghi, non luoghi, spazi, in cui vi sono scambi, relazioni, contaminazioni che formano e danno forma al proprio essere.

L’opera come un grande puzzle, prenderà vita dall’unione di più elementi disseminati nel tessuto del territorio diventando un assemblage di più linguaggi, che come pixel di un’immagine più ampia, diventano simboli della collettività di più paesi che, unendosi, intrecciando fili, tessendo legami e scambiando relazioni ed esperienze con il proprio vicino, permettono la realizzazione di un vero e proprio tappeto magico. Installandosi all’interno dello spazio pubblico, diventa un’appendice del pensiero, un modo per contrastare la solitudine, l’ansia e per accaparrarsi concetti di solidarietà, influenzare esperimenti di integrazione, diventando un segno di un potenziale ritorno dell’idea ad un universale di libertà ed emancipazione, un piccolo segno luminoso in un buio profondo. Infine, attraverso il dialogo con il tessuto urbano della valle e Bergamo diventa una narrazione discontinua nella quale misurarsi con la morfologia del territorio riscoprendo il potere dell’arte quando si confronta con la sfera pubblica.

“Flying carpet”, 120 x 220 cm, lana, 2020, photo by Giulio Locatelli

GIULIO LOCATELLI | BREVE BIOGRAFIA
Giulio Locatelli nasce a Bergamo nel 1993. Dopo aver conseguito il diploma al Liceo Scientifico, nel 2015 si la laurea al primo livello della scuola di Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. Nel 2017 conclude il biennio specialistico in Arti Visive indirizzo Pittura nella medesima Accademia.
Finalista a diversi premi, tra cui il PREMIO ARTE LAGUNA, il premio YICCA, PREMIO NOCIVELLI, PREMIO CONTEMPORANEAMENTI. Vincitore del PREMIO SPONGA promosso da MINIARTEXIL.
Partecipa inoltre a diverse residenze artistiche: nel 2015, SFaSE, a cura di Elena d’Angelo, Alzano Lombardo (BG); nel 2017, SYNCHRONICITY, in Cina; nel 2018, MICHELANGELO RELOAD, Pietrasanta, a cura di A. Romanini e, nel 2020, PEOPLE AND LANDSCAPE, Rotondella, a cura della Fondazione Matera per la cultura.

Nel 2018 la Galleria Ghiggini Arte gli organizza una mostra personale.

CONTATTI

Instagram : giugiuloca
Facebook: Giulio Locatelli

Barbara Pavan

English version Sono nata a Monza nel 1969 ma cresciuta in provincia di Biella, terra di filati e tessuti. Mi sono occupata lungamente di arte contemporanea, dopo aver trasformato una passione in una professione. Ho curato mostre, progetti espositivi, manifestazioni culturali, cataloghi e blog tematici, collaborando con associazioni, gallerie, istituzioni pubbliche e private. Da qualche anno la mia attenzione è rivolta prevalentemente verso l’arte tessile e la fiber art, linguaggi contemporanei che assecondano un antico e mai sopito interesse per i tappeti ed i tessuti antichi. Su ARTEMORBIDA voglio raccontare la fiber art italiana, con interviste alle artiste ed agli artisti e recensioni degli eventi e delle mostre legate all’arte tessile sul territorio nazionale.