INTERVISTA A MICHELLE SEGRE
*Foto in evidenza: “Eight Body Chorus”2021, Fili, metallo, polimero acrilico, cartapesta, gesso, cera d’api, funghi secchi, 144 x 166 x 54 pollici, Foto di Mario Gallucci. Per gentile concessione dell’artista e di lumber room
Traduzione a cura di Elena Redaelli
Michelle Segre, scultrice originaria di Tel Aviv, vive e lavora a New York dove ha inoltre completato il suo percorso di formazione laureandosi presso la Cooper Union School of Art nel 1987. Le sue opere sono presenti nelle collezioni di importanti istituzioni museali come il MOMA, il New Museum di NY, il Tang Teaching Museum di Sarasota Springs e il Colorado University Art Museum, Boulder, Colorado.
Nelle sculture di Segre, materiali semplici come il metallo, la cartapesta, la plastilina, il gesso, materiali deperibili come la cera d’api, il pane, i funghi, si mescolano con filati colorati che vengono tessuti e lavorati dando vita ad opere bizzarre, visionarie e misteriose che alludono alla relazione esistente tra natura e cosmo. L’opera è concepita come strumento capace di veicolare e mettere in connessione energie invisibili e immanenti perché, come l’artista stessa afferma: “L’arte ha il potere di guarire, di provocare, di connettere con qualcosa di trascendente così come con qualcosa di assolutamente ordinario”.
“Porous, Porous”, 2014, 109 x 50.5 x 22 pollici, pane, metallo, schiuma, filo, legno, gesso, argilla da modellare, filo, pizzo di plastica, sacchetto di plastica, vernice, foto di Mario Gallucci. Per gentile concessione dell’artista e di lumber room
Come ti sei avvicinata all’arte e qual’è stato il percorso che ha contributo alla tua formazione artistica? Da dove nasce il tuo interesse per la scultura tessile?
Sono cresciuta a New York City, in una famiglia di artisti – mio padre era un pittore e mia madre è stata per molti anni una designer di ricami e poi di stampe tessili. Mi sono interessata all’arte fin da piccola, in particolare alla pittura. Ho iniziato come pittrice e qualche anno dopo la scuola d’arte ho iniziato a lavorare con il collage di materiali differenti che alla fine hanno trovato la loro strada verso il pavimento diventando sculture.
All’epoca (primi anni ’90), sembrava che la scultura fosse ancora una frontiera inesplorata rispetto alla pittura – in particolare, ero attratta dalle sue qualità invasive, dal modo in cui poteva occupare lo spazio fisico; non rimanendo tranquillamente confinata su una parete. A livello di materiali, le possibilità sembravano infinite, specialmente esplorando alternative ai costosi metodi di produzione tradizionali. I miei primi lavori erano fatti di terra, argilla, muschio, lettiera per gatti, persino di patate; ho sperimentato con la muffa che ho fatto crescere in un secchio usando i marshmallows come “attivatori”. Tutta roba piuttosto bizzarra. Alla fine ho iniziato a lavorare con la cera d’api, la cartapesta e il gesso. Intorno al 2009, ho introdotto elementi più lineari come filo di ferro e diversi tipi di filato, come un modo per ottenere opere di grandi dimensioni con mezzi minimi. Mi eccitava scoprire che un pezzo di filo teso tra due punti poteva essere percepito come più ampio di un oggetto con massa e volume. Come creatrice di oggetti, nel corso del tempo ho assistito alo loro accumularsi nello studio fino a riempire ogni metro quadrato di magazzino disponibile; questa è stata una specie di epifania sia pratica che concettuale. L’interesse per la linea, espresso tramite materiali come il filo, ha anche aperto la porta all’uso dei tessuti. Mi sono scoperta sempre più attratta dalla morbidezza di questi materiali, dalla loro capacità di ripiegarsi in una frazione delle loro dimensioni e dal loro potenziale di attivare ed energizzare lo spazio vuoto.
“Porous, Porous”, 2014, 109 x 50.5 x 22 pollici, pane, metallo, schiuma, filo, legno, gesso, argilla da modellare, filo, pizzo di plastica, sacchetto di plastica, vernice, foto di Mario Gallucci. Per gentile concessione dell’artista e di lumber room
L’uso di colori vibranti ed energici è una costante nel tuo lavoro. Qual è il loro ruolo e significato?
Il colore per me ha la qualità dell’elettricità. Nello stesso modo in cui le linee del filato possono essere avvertite come correnti elettriche nello spazio, così i colori dei singoli filati rappresentano diversi livelli di energia, onde che si scontrano e rimbalzano tra loro. Il colore diventa una cosa, un’entità fisica con una temperatura. Il colore ha anche un forte contenuto emotivo per me, così, ad esempio, uso il colore per evocare un sentimento specifico, come la rabbia (come in Red Sun).
“Red Sun”, 2021, tela, polimero acrilico, inchiostro acrilico, filo, radice di loto, 125 x 125 x 9 pollici, Foto di Mario Gallucci. Per gentile concessione dell’artista e di lumber room
Nelle tue sculture tessili (o in fibra) c’è una presenza costante di spazi vuoti, aperture che rimandano all’idea di leggerezza, a qualcosa di effimero e spirituale: sei d’accordo con questa lettura? Altrimenti, qual è il loro significato?
Se si può immaginare lo spazio come una sorta di fibra invisibile che ci circonda, infinite fette di spazio che si aprono a ventaglio da ogni direzione e punto di vista, allora uno spazio vuoto, o “buco” nella scultura suggerisce un portale nel tessuto di quello spazio. Un buco diventa un’apertura che permette allo spettatore di entrare nell’opera, di attraversarla. Credo che questa sia un’esperienza di tipo spirituale… un modo per l’opera di trasmettere la sua forza allo spettatore.
“Star Zero”, 2020, filato, metallo, filo plastificato, palline di pane, gesso, acrilico, resina, radice di loto, mylar, 132 x 64 x 8 pollici, foto di Adam Reich. Per gentile concessione dell’artista e della Galleria Derek Eller
Raccontaci come è nata l’idea di Eight Body Chorus, uno dei tuoi lavori più recenti.
Eight Body Chorus è stato iniziato nell’aprile del 2020 durante il periodo peggiore del lockdown a New York, quando potevamo a malapena lasciare le nostre case. Non potendo andare nel mio studio, ho realizzato una struttura con del legno di scarto, ci ho steso sopra del filo e ho iniziato una piccola tessitura che riuscivo ad appoggiare al muro del mio minuscolo appartamento. Qualche settimana dopo abbiamo lasciato la città per la campagna, dove siamo rimasti per cinque mesi. Lì, nello studio, ho iniziato a lavorare su una struttura di grandi dimensioni a cui ho aggiunto anche la piccola tessitura. L’intero centro dell’opera è costituito dal piccolo frammento che è stato iniziato in isolamento. Per me, l’opera si lega fortememte all’aver vissuto in campagna per un lungo periodo di tempo, a contatto con la natura, osservando i cambiamenti quotidiani dell’ atmosfera, del tempo e del cielo notturno. C’è stata una notte in particolare in cui mi sono sdraiata nell’erba sotto un cielo completamente limpido dove ho assistito a una spettacolare esibizione di stelle, tale da sembrare una rivelazione. Ho avuto la sensazione di guardare attraverso una boccia per pesci in una gigantesca distesa ovale, un occhio pulsante a spirale a 360 gradi. Questa esperienza e tutto il periodo del confinamento a New York è distillato in Eight Body Chorus… il pezzo è come un messaggio dallo spazio che arriva in un momento percepito come un collasso sociale e planetario.
“Eight Body Chorus”, 2021, Fili, metallo, polimero acrilico, cartapesta, gesso, cera d’api, funghi secchi, 144 x 166 x 54 pollici, Foto di Mario Gallucci. Per gentile concessione dell’artista e di lumber room
L’arte può essere una terapia che fa emergere emozioni nascoste, un’interpretazione del mondo, un linguaggio universale senza barriere, un’esplorazione della vita interiore, uno strumento di comunicazione e propaganda e molto altro. Cos’è l’arte per te, qual è il suo potere?
L’arte è tutte queste cose per me. Sono un “credente”, è la mia vita. L’arte ha il potere di guarire, di sfidare, di connettersi con qualcosa di trascendente così come con qualcosa di completamente ordinario. Ma bisogna crederci, altrimenti è solo un mucchio di “roba” inutile.
Puoi dirci qualcosa sulla tua mostra attuale alla lumber room di Portland, “Transmitters and Receivers”? Perché questo titolo? Quali opere vi sono esposte?
Da molto tempo ho un interesse per l’oggetto d’arte come una sorta di trasmettitore e ricettore di energia – è una relazione che si crea tra l’oggetto e ciò che lo circonda, compreso lo spettatore, che riceve e trasmette. Questo corpo di lavoro, in particolare, riguarda la trasmissione di una forza palliativa ed euforica. Le opere di questa mostra alludono a corpi celesti – il sole, la luna, le stelle – così come a piante e funghi.
C’è l’idea di creare un ponte tra le diverse sfaccettature del mondo naturale, compresi i regni invisibili e misteriosi, sia nel micro che nel macro cosmo, per facilitare una sorta di unione tra questi regni.
Anche la leggerezza e l’umorismo sono importanti. C’è un gioco ironico insito nelle forme stesse che sono realizzate con i materiali artigianali più essenziali mentre aspirano a un significato elevato. L’opera intitolata “Just why do you think you’re a plant?”, per esempio, prende il nome da un verso di un racconto di Philip K. Dick, in cui il protagonista viene sottoposto a psicoterapia per la sua convinzione di essere diventato una pianta, per cui passa la maggior parte del suo tempo sdraiato immobile al sole. La scultura è costruita come una tenda da circo collassata, fatta di filati assortiti, intrecciati e aggrovigliati, materia vegetale essiccata e una carota gigante di cera d’api che sembra far germogliare l’intera composizione dalla sua rugosa estremità.
Viste dell’installazione: Transmitters & Receivers at lumber room, Portland, Oregon. Foto di Mario Gallucci. Per gentile concessione dell’artista e di lumber room
Come si è trasformato il tuo lavoro nel tempo? Come si rapportano le opere del passato a quelle più recenti?
Nel tempo, il lavoro è diventato molto più complesso sia formalmente che materialmente. C’è un filo conduttore di tematiche e argomenti che sono rimasti costanti dai primi giorni; l’uso di materiali organici ed effimeri come la muffa e la terra negli anni in cui realizzavo sculture in cera d’api, di fette di pane ammuffito o funghi giganti e ossa di pollo… alcuni di questi lavori sono stati riciclati diventando parte di opere realizzate negli ultimi dodici anni (come la carota in Just why, che è stata creata originariamente come un pezzo da pavimento lungo tre metri, nel 1995).
“Just why do you think you’re a plant?”, 2020, filato, metallo, filo plastificato, filo, cera d’api, cartapesta, gommapiuma, pane, tela, radice di loto, ciottoli, legno, carote, anice stellato, gancio da fieno, acrilico, pietre, 96 x 134 x 102 pollici, Foto di Adam Reich. Per gentile concessione dell’artista e della Galleria Derek Eller
A quali progetti stai lavorando in questo momento?
Attualmente sto lavorando su alcuni nuovi pezzi che saranno esposti questa primavera a New York alla galleria Derek Eller, così come al Museo de Cordova a Lincoln, Massachusetts per la loro Triennale, in Aprile. Recentemente ho anche realizzato un breve video, il mio primo in assoluto, che spero di esporre. Si chiama “The Owl”.
“I Talk to the Trees”, 2021, filati, tela, mussola, polimero acrilico, filo, filo, spugne, radice di loto, rocce, 144 x 187 x 33 pollici, foto di Mario Gallucci. Per gentile concessione dell’artista e di lumber room