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Intervista a Tamara Kostianovsky

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*Foto in evidenza: Smack Mellon Installation Views, 2021. Image Credit Etienne Frossard

Il lavoro di Tamara Kostianovsky gioca con l’ambiguità della nostra percezione della realtà. Le sue opere realizzate con certosina meticolosità, nascondono la vitalità della bellezza nella forma macabra di una carcassa, perché nulla, forse, è mai come sembra e tutto ha in sè aspetti diversi della verità. Per scoprire l’essenza dei suoi lavori, così come del mondo che ci circonda, è necessario non cedere alla tentazione di accontentarsi della superficie e dell’apparenza della realtà, ma piuttosto osservare le sue manifestazioni con attenzione ed in profondità per comprenderla e sperimentarla pienamente.

Tamara Kostianovsky è nata nel 1974 a Gerusalemme, ed è cresciuta a Buenos Aires, in Argentina. Ha conseguito un Bachelor of Fine Arts presso la Scuola Nazionale di Belle Arti “Prilidiano Pueyrredón” di Buenos Aires e un Master of Fine Arts presso la Pennsylvania Academy of the Fine Arts, Philadelphia, PA.

Le sono stati conferiti importanti riconoscimenti, tra cui una borsa di studio dalla John Simon Guggenheim Foundation e sovvenzioni dalla New York Foundation for the Arts e dalla Pollock-Krasner Foundation.

Negli Stati Uniti, il suo lavoro è stato esposto all’El Museo del Barrio; The Jewish Museum, Fuller Craft Museum, Urban Institute for Contemporary Art, e molti altri. Ha presentato mostre personali e collettive in Italia, Francia e Argentina. Tra le tante, le opere di Kostianovsky sono state presentate e recensite in pubblicazioni prestigiose come The New York Times, The Boston Globe, WBUR, The Village Voice, Marie Claire, La Repubblica, El Diario New York, Colossal, e Hyperallergic.

Vive e lavora a Brooklyn, New York.

Smack Mellon Installation Views, 2021. Image Credit Etienne Frossard

Utilizzi il medium tessile morbido e soffice per creare opere che hanno un impatto visivo corposo, che rimanda alla pesantezza della scultura: ceppi di albero ma anche grandi carcasse di animali. Come sei arrivata a questa sintesi e come reagisce il pubblico ai tuoi lavori così potenti? Perché hai scelto il tessile come mezzo espressivo?

Creo sculture e istallazioni utilizzando abiti in disuso che prendo per lo più da vestiario che trovo in casa, come vecchie magliette, strofinacci da cucina e maglioni ormai lisi. La mia esperienza di immigrata dall’Argentina agli Stati Uniti circa 20 anni fa mi ha spinto a lavorare con questi materiali inusuali. Preoccupata per i freddi inverni che mi sarei trovata ad affrontare sulla East Coast, avevo portato con me molti maglioni e indumenti pesanti che si sono accidentalmente ristretti nell’asciugatrice nei primi mesi in cui ho vissuto qui. I vestiti infeltriti portavano con sé delle memorie e li ho visti come potenziale materiale con cui poter fare arte. Nel tempo l’uso di questo tipo di materiale ha preso un significato politico: non compravo materiali artistici, riutilizzavo invece qualcosa che altrimenti sarebbe finito in una discarica. Cosa ancora più importante, consideravo gli indumenti un surrogato del mio corpo, una specie di seconda pelle. Al tempo ero influenzata dall’Arte Femminista e ammiravo le opere delle artiste che usavano il proprio corpo come “materiale”, come Ana Mendieta, Janine Antonine, e Hanna Wilke.  Nel mio caso, includere i miei vestiti nelle opere dava al mio lavoro un aspetto performativo.

Da li a pochi anni dal mio arrivo negli Stati Uniti, avevo distrutto il mio guardaroba per creare sculture naturalistiche di animali macellati che parlavano della violenza sul corpo femminile. Queste opere portavano l’impronta della mia infanzia a Buenos Aires durante la dittatura militare, un periodo in cui la criminalità era avallata dallo Stato e che si sovrapponeva al nascere delle mie prime idee politiche. L’iconografia della mucca era naturale, l’Argentina è nota per essere un importante esportatore di bestiame e si possono vedere immagini di mucche macellate in ogni mercato del paese.  Trasformando i miei vestiti in sculture di mucche macellate, includevo me stessa in quella dilagante ondata di violenza che ha caratterizzato la storia dell’Argentina e dell’America Latina fin dalla colonizzazione.

Cow Turns into a Landscape, 2021. Image Credit J.C.Cancedda

In molti tuoi lavori la bellezza e l’armonia sono nascoste nelle pieghe e nelle forme delle carcasse di animali che sono appesi nei macelli. È una sollecitazione a guardare oltre l’apparenza di un’immagine nella società contemporanea, già satura e avida di immagini, o è piuttosto lo svelare il lato oscuro della realtà che si nasconde dietro la superficie mostrata in tutta la sua bellezza?

Tutte e due le cose! In particolare, è una strategia che rende il lavoro accattivante per lo spettatore, lo spinge a “digerire” il fatto di trovarsi di fronte a lavori scultorei che sono viscerali e in qualche modo ripugnanti.

Cow Turns into a Landscape, back, 2021. Image Credit J.C.Cancedda

Per le tue opere usi materiale tessile riciclato, il tema dell’ambiente è sempre molto presente. Come nascono i tuoi lavori e quali sono le fonti di ispirazione o gli eventi che innescano il processo che poi porta a dare forma ad un lavoro? E quale pensi sia il ruolo dell’arte e dell’artista nella lotta in difesa del pianeta?

Creare opere d’arte su corpi feriti nell’epoca dei cambiamenti climatici negli ultimi tempi ha traslato il mio lavoro verso un percorso più vicino all’ambiente. Ho utilizzato abiti appartenuti a mio padre, scomparso non molto tempo fa, per creare sculture naturalistiche di ceppi d’albero che parlavano del sentimento della perdita, del passaggio ciclico del corpo verso il paesaggio, e della violenza alla Terra. I ceppi di albero sono realizzati con colori che riportano all’anatomia umana. Antropomorfizzano il paesaggio e mettono in evidenza una materialità comune a tutti gli esseri viventi. Questi alberi abbattuti mostrano uno squarcio profondo e violento, questo aspetto si lega ancora una volta al mio interesse per la ferita come fonte di ispirazione artistica.

Tropical Abattoir è la mia serie più recente, in cui figurano carcasse che si trasformano visivamente in vegetazione e che diventano vignette di uccelli e piante esotiche. Sono fatte da tessuti di tappezzeria a cui viene data nuova vita, dai miei abiti, e da tessuti provenienti da diverse fonti. Queste enormi carcasse vengono esibite appese al soffitto, provviste di motori che le fanno girare. Le considero un po’ carcasse un po’ passerella di moda. Sembrano chiedere cosa potrebbe succedere se le immagini della vegetazione e degli uccelli da cui siamo tutti attratti dovessero prendere vita e invadere il nostro mondo. Penso a queste opere in termini di metamorfosi. Il concetto è quello di trasformare la carcassa dal rimando a pura carneficina a un ricettacolo di nuova vita che germoglia da essa – quasi come un ambiente utopico. Non so se l’arte possa fare di più oltre che limitarsi a illuminare questi temi.

Tropical Abattoir, Studio Shot, 2021. Tessuto da tappezzeria usato e altri tessuti tessili, unghie finte in acrilico, catena, Motore. Photo: j.C. Cancedda

Quali sono gli altri temi della società contemporanea che pensi di dover affrontare nel tuo percorso artistico?

Ho tentato di comprendere i sistemi di violenza in America Latina attraverso il mio lavoro artistico. L’arte mi ha aiutato a elaborare la perdita delle persone care. Più di recente, la mia arte si è aperta a un percorso più speranzoso in cui il lavoro si apre a un nuovo ottimismo che viene dal dare una forma utopica, fisica alla guarigione della Terra. Il mio lavoro riflette anche l’esperienza di essere immigrati dall’America Latina agli Stati Uniti, ho così l’opportunità di sintetizzare le immagini che ho visto crescendo in Argentina con l’abbondanza di materiali e cultura consumistica che definisce la cultura americana.

I tuoi lavori sono frutto di un lavoro lento e accurato. Come scegli il materiale e come arrivi dal semplice pezzo di stoffa all’opera scultorea finita? Quali sono le principali difficoltà tecniche che ti trovi ad affrontare? Quante tecniche utilizzi e quanto tempo ti occorre in media per una singola opera?

Lavoro con i tessuti che ho in casa, quindi i materiali sono principalmente indumenti che mi hanno vestito, che ho lavato, che portano impresse le mie memorie e che mi sono familiari. Quando comincio una scultura, parto da una struttura di base che ha un’armatura di cavi e legno, prima di cucirci sopra la stoffa. È un lungo processo che può durare alcuni mesi, a seconda della misura della scultura, è una guerra fra l’immagine che ho in mente e la materialità di ciò che posso costruire con le mie mani.

Smack Mellon Installation Views, 2021. Image Credit Etienne Frossard

Ci sono momenti fondamentali nel percorso di un artista: quando capisce che vuole essere o diventare un artista, quando sente che ha trovato il modo giusto per esprimersi e quando per la prima volta si sente coinvolto confrontandosi con il pubblico. Riesci a identificare questi tre momenti nella tua carriera di artista, me ne puoi parlare?

Sapevo di voler diventare un’artista già da bambina, mio padre era interessato alla pittura e alle arti in generale e fin da subito mi portava a visitare i musei. A casa venivo incoraggiata in questa direzione.

Mi sono resa conto di aver cominciavo a trovare la mia strada nell’arte quando studiavo a Philadelphia, USA, mentre manipolavo la stoffa per creare sculture che ricordavano il corpo umano. Con i miei vestiti infeltriti avevo creato un “tavolo operatorio”, e per la prima volta avevo sentito che stavo facendo qualcosa di unico che era il riflesso di una mia esperienza. Durante i primi anni di permanenza negli Stati Uniti mi sentivo dilaniata e fuori posto e gli organi sconnessi sul freddo tavolo di metallo esprimevano un senso di alienazione. I vestiti erano miei surrogati. Inoltre, mio padre era un chirurgo e sono cresciuta con le immagini del corpo umano mostrato nelle foto delle sue operazioni che erano ovunque in casa nostra. Questo momento di rivelazione ha coinciso con la consapevolezza di questo punto di vista da parte del pubblico e quel lavoro ha significato l’inizio del dialogo fra la mia pratica artistica e il mondo esterno. I miei professori e i miei compagni di corso erano entusiasti di questo lavoro e presto ho avuto l’opportunità di esporre le mie opere.

Smack Mellon Installation Views, 2021. Image Credit Etienne Frossard

Quale sarà il tuo prossimo progetto? E quale progetto vorresti poter realizzare?

Sto lavorando per una mostra personale che avrà luogo a settembre del 2022 alla Slag Gallery di New York. È la mia prima mostra personale con la galleria, in un grande spazio, e sto progettando un’ambiziosa istallazione cinetica site-specific. Al momento non ho altri progetti per la testa, tendo a concentrare tutte le mie energie su ciò che ho davanti. Sono anche entusiasta che la mia mostra personale “Fibrous Landscapes” sia prolungata a Parigi alla galleria Rx fino a metà gennaio.

Barbara Pavan

English version Sono nata a Monza nel 1969 ma cresciuta in provincia di Biella, terra di filati e tessuti. Mi sono occupata lungamente di arte contemporanea, dopo aver trasformato una passione in una professione. Ho curato mostre, progetti espositivi, manifestazioni culturali, cataloghi e blog tematici, collaborando con associazioni, gallerie, istituzioni pubbliche e private. Da qualche anno la mia attenzione è rivolta prevalentemente verso l’arte tessile e la fiber art, linguaggi contemporanei che assecondano un antico e mai sopito interesse per i tappeti ed i tessuti antichi. Su ARTEMORBIDA voglio raccontare la fiber art italiana, con interviste alle artiste ed agli artisti e recensioni degli eventi e delle mostre legate all’arte tessile sul territorio nazionale.