Intervista con Ai Kijima
*immagine in evidenza: “Erehwon”, 2002, fused and machine quilted, 44 x 64, photo courtesy of Ai Kijima, copyright Ai Kijima
Ai Kijima, artista originaria di Tokio (Giappone), si è formata presso la Scuola dell’Art Institute di Chicago (School of the Art Institute of Chicago) e attualmente vive e lavora a New York.
Kijima è nota per i suoi caotici e inediti collage tessili, in cui, intrecciando e manipolando materiali di varia provenienza, dalle lenzuola per bambini ai kimono vintage, affianca e sovrappone centinaia di immagini di volti, paesaggi, oggetti e personaggi icone della cultura pop, raccontando così la sua personale e poetica visione del mondo.
“Erehwon-detail”, 2002, fused and machine quilted, 44 x 64, photo courtesy of Ai Kijima, copyright Ai Kijima
Nata e cresciuta in Giappone, infatti, l’artista ha poi vissuto in grandi città cosmopolite come Istanbul, Chicago e New York, ha sperimentato e interiorizzato culture molto diverse che le hanno permesso di acquisire, come lei stessa afferma, una mente multiculturale e un profondo rispetto per altri modi di essere.
Questa ricchezza di esperienze e punti di vista è una caratteristica che si ritrova pienamente rappresentata nelle opere di Kijima, in cui coesistono stili e contenuti diversi, rappresentazioni inedite e originali dove il giudizio culturale è sospeso e dove tutto coesiste e si integra in una narrazione fluida e abilmente orchestrata.
Ai Kijima studio in 2021, photo courtesy of Ai Kijima, copyright Ai Kijima
Per creare i tuoi lavori utilizzi materiali eterogenei, ad esempio lenzuola che riproducono immagini della cultura popolare contemporanea accanto a kimono vintage. Come e perché coniughi questi materiali che per aspetto, storia, cultura e sensibilità sembrano essere così distanti o quasi inconciliabili?
Sono nata e cresciuta a Tokyo, in Giappone e fin da quando ero piccola mi sono sempre piaciuti i tessuti. Andavo con la mia bicicletta fino ai negozi di tessuti e artigianato del mio quartiere e trascorrevo molte ore cercandoli. Ero fortunata ad avere così tanti negozi meravigliosi vicini, con una così grande selezione di tessili, provenienti non solo dal Giappone, ma anche dagli Stati Uniti, dall’Asia e dall’Europa. Inoltre, il quartiere in cui sono cresciuta è conosciuto come una delle aree più antiche della città. C’erano molti negozi antichi, vintage e di seconda mano specializzati in oggetti da collezione Giapponesi, Asiatici, Europei, Africani e Americani. Mi fermavo spesso in questi negozi dopo scuola e trascorrevo ore felici esplorando e osservando, proprio come facevo nei negozi di tessuti.
Adesso, più di metà della mia vita l’ho trascorsa fuori dal mio paese natale. Ho frequentato un anno di scuola nel rurale e bianco Wisconsin negli Stati Uniti. Mi sono poi trasferita nelle grandi città cosmopolite come Chicago, NY e Istanbul. Sono stata fortunata ad aver conosciuto etnie, culture e credenze diverse. Grazie a queste esperienze, dal mio punto di vista, un lenzuolo di Superman stampato in massa è un importante simbolo di una cultura o un’era tanto quanto un vestito rosa floreale vintage stille “hippy” del 1970. E un kimono di seta cucito a mano è significativo come gli altri—hanno tutti una storia da raccontare. Tutti questi modi di usare il tessuto hanno importanza per me quindi non esito quando si tratta di giustapporre elementi provenienti da luoghi e periodi diversi, se ciò mi aiuta a creare un’opera d’arte visualmente straordinaria.
I tuoi quilt ricchi di immagini, citazioni e colori, hanno un forte impatto visivo e suggeriscono infiniti punti di osservazione e interessanti interpretazioni. Tutta questa abbondanza non potrebbe rischiare, d’altro canto, di far sentire il pubblico sovrastato? Cosa ne pensi?
Avendo interiorizzato più di una cultura, la mia speranza è quella di essere riuscita nell’ottenimento di un modo di vedere più complesso, per poter sia espandere il mio vocabolario visuale sia far crescere un rispetto più profondo per gli altri, per gli altri modi di essere. Nelle mie opere d’arte, sono interessata a comunicare la percezione del mondo che ho raggiunto attraverso le mie esperienze di vita variegate.
Nel momento in cui i miei punti di vista diversi e le esperienze vissute coesistono in me, gli oggetti giustapposti contenuti nei miei lavori coesistono in uno stile squisitamente fluido. Sono un individuo con una mente multiculturale, ma ovviamente sono anche a conoscenza di come la cultura giapponese abbia dato forma alle parti più profonde di me stessa.
Quando creo arte devo essere vera nei confronti della mia propria visione. Ho avuto una vita ricca di esperienze e culture diverse e per me è estremamente naturale, non lo vedo come qualcosa di opprimente. Non è assolutamente la mia intenzione quella di opprimere qualcuno, voglio semplicemente condividere la mia prospettiva personale, dare agli altri un’occasione per fare un salto nella mia mente e nel mio modo di vedere, anche se per solo qualche momento.
Quale è la connessione, il nesso tra l’utilizzo di una tecnica tradizionale, intima e artigianale come il quilting e i soggetti pop, seriali, contemporanei, tipici dell’industria culturale creata dai mass-media?
A mio avviso il nesso è quello di preservare e valutare gli artefatti culturali di ogni genere. Poco dopo essermi trasferita a Chicago per frequentare la scuola d’arte, ho iniziato a collezionare ossessivamente vestiti vintage e materiali domestici, comprese le lenzuola per bambini e le federe dei cuscini con i personaggi dei cartoni stampati sopra. Conoscevo il loro valore dalla mia esperienza precedente con gli oggetti d’antiquariato a Tokyo e ho amato le arti figurative audaci e strabilianti dei personaggi ed icone pop. Nella mia mente questi tipi di tessuti contengono un’importanza storica speciale nel contesto della nostra società incline all’uso e getta. Voglio salvare questi oggetti prima che scompaiano. Per me sono artefatti culturali del ventesimo e ventunesimo secolo che sono degni di essere preservati.
“Giant Legends”, 2011, fused and machine quilted, 50”x72”, photo courtesy of Ai Kijima, copyright Ai Kijima
In Giappone, il senso di rimorso nei confronti dello spreco è profondamento radicato nella cultura, grazie all’alto valore che si dà al riutilizzo. Il concetto che tutti gli oggetti abbiano un’anima è al centro di questa visione. Rispettiamo e ci battiamo per riutilizzare qualcosa, invece che scartarlo velocemente. Due tradizioni tessili della gente giapponese che esemplificano questa idea sono il boro (tessuti rammendati e rattoppati) e il sakiori (tessitura di stracci). Questa filosofia nella cultura e nella collettività inconscia del Giappone è una potente forza guidatrice in me. Mi ha condotto a utilizzare soprattutto materiali di seconda mano, una categoria che mi offre scelte meravigliose! Lenzuola, federe di cuscini, tovaglie, sciarpe, tovaglioli da tè, fazzoletti, kimono, grembiuli, striscioni di film, vestiti e tanto altro, trovando la loro strada nella mia arte.
In questo senso, credo di seguire la tradizione popolare del quilting, poiché nei tempi passati chi realizzava i quilt nell’ovest recuperava e riutilizzava ogni piccolo materiale prezioso, senza considerarne la fonte, per realizzare i quilt si utilizzava qualsiasi cosa fosse disponibile nella loro comunità o in casa.
Secondo alcuni critici le produzioni della cultura di massa incoraggiano il pubblico a divertirsi senza pensare, attraverso narrazioni che sembrano avere l’unica funzione di intrattenere annullando le capacità critiche dello spettatore, rendendolo passivo e infantilizzato.
Con i tuoi collage, sovvertendo le regole tipiche della narrazione main-stream, riesci a creare un momento di rottura e utilizzare personaggi e storie della cultura di massa trasformandoli in occasione di riflessione critica.
Di conseguenza, questa sorta di contro-narrazione, può avere l’effetto di incoraggiare lo spettatore a porsi in modo consapevole verso l’opera che sta guardando. È questo il tuo intento? Ti ritrovi in questa riflessione?
Una delle filosofie che credo il mio lavoro incarni pienamente è quella di non fare personalmente distinzioni di valori tra cosa siamo abituati a chiamare “alta” e “bassa” cultura. Non vedo le diverse forme di arte in opposizione, ma è vero che molte delle arti chiamate “di intrattenimento” spesso incoraggiano un coinvolgimento prettamente passivo, mentre la maggior parte delle cosiddette “belle arti” tendono a richiedere una partecipazione più attiva.
Quello che cerco di fornire è un modo per gli osservatori di coinvolgersi, né estremamente passivo né strettamente attivo, un equilibrio di entrambi che utilizza la loro opposizione per amplificare le loro forze eliminando le loro debolezza, dando una visione più ampia dei modi di farsi coinvolgere dall’arte. Né “divertimento senza pensare” né “pensare senza divertimento”. È vero che le mie opere, essendo collage, interrompono un approccio alla singola narrazione lineare, aspetto molto utilizzato dall’intrattenimento. Al contrario, propongo narrazioni interconnesse, sovrapposte e ramificate, che sottolineano l’idea dell’importanza della narrazione e chiedono all’osservatore di fare delle scelte su quali storie vuole e cosa pensa sia succedendo e cosa potrebbe succedere dopo. Scegliere cosa e come coinvolgere potrebbe essere stressante o impegnativo per alcuni, ma faccio anche del lavoro per loro, per guidarli e aiutarli, con personaggi familiari o nostalgici che le persone conoscono e amano, colori vivaci e interessanti e composizioni o strutture superficiali, senso dell’umorismo, mondi fantastici surreali – tutti i momenti piacevoli e sensuali che un osservatore può solo godersi, momenti in cui non gli viene richiesto di fare tutto il lavoro pesante da solo. Per me, questi tessuti, i loro colori e personaggi, hanno già valore quindi non cerco di renderli migliori o innalzarli. Voglio mantenere o mettere in mostra il loro richiamo culturale inerente mostrando allo stesso tempo che possono essere utilizzati per ogni scopo. Possono essere utilizzati per creare modelli di altri modi di pensare, comportarsi, percepire – altri modi di essere, altri modi di immaginare.
“Burn It Up”, 2006, fused and machine quilted, 104”x 91”, photo courtesy of David Ettinger, copyright Ai Kijima
Secondo quali criteri scegli i titoli dei tuoi lavori? C’è una immagine che prevale sulle altre o un concetto che tiene unito l’intero collage e a cui ti ispiri per il titolo?
Per me è importante non privare l’opportunità al coinvolgimento immaginativo, dando titoli che trasmettono all’osservatore cosa dovrebbe pensare, quindi i miei titoli sono ambigui intenzionalmente. Normalmente, scelgo un’immagine, un testo o un personaggio indefinito che si trova nell’opera e lo utilizzo come titolo dopo aver finito il mio pezzo. Per esempio, “Night Is Young” ha un titolo che viene dallo striscione in tessuto di pubblicità di una compagnia di birra che ho utilizzato nella mia opera. La mia intenzione è quella di presentare una visione soggettiva, eclettica ma equilibrata in cui ogni immagine nel lavoro è presentata equamente, quindi ogni titolo che è troppo interpretativo, qualcosa che può essere frainteso come la chiave per risolvere l’opera, comprometterebbe quell’obbiettivo.
Se ti chiedessi di guardare indietro nel tempo e di identificare, tra i tuoi lavori meno recenti, quello che senti più lontano da te oggi, quale sceglieresti e perchè? Che ruolo ha avuto questo lavoro nel tuo percorso di crescita artistica?
Echo, 1999
Quando avevo vent’anni, mi focalizzavo sulle tinture vegetali e la tessitura a mano. In quest’opera, Echo, ho unito la mia tessitura di frammenti di lana, cuoio, piuma e lana tussar indiana con bordi grezzi di tessuti e ho aggiunto occasionalmente punti con fili e strisce di tessuti. Quest’opera era il mio tentativo di creare un’apparenza visuale pittorica unica. Le tecniche e i materiali che usavo a quei tempi erano piuttosto diversi da quelli che uso oggi, ma credo che questo pezzo abbia ancora una qualità espressiva particolare che è unicamente la mia. Mi è sempre piaciuto combinare trame e materiali diversi in un unico pezzo quindi ho continuato in questa direzione con i miei lavori successivi.
“Echo”, 1999, Hand weaving, pieced and embellished, wool fleece, feather, leather, fake fur, kimono, silk fabric, cotton fabric and thread, 48” x 66”, Photo courtesy of Ai Kijima, copyright Ai Kijima
Un lavoro o un progetto al quale sei particolarmente legata?
In realtà non ho proprio legami più o meno forti con i miei lavori, solo diversi tipi di rapporti. A volte quando guardo un pezzo mi muovo nella fantasia e nell’invenzione che emana, proprio come potrebbe chiunque altro.
A volte ci sono dei simboli privati—una sorta di mitologia personale in un’opera che ha un significato emozionale che conosco solo io. Altri lavori sono diverse sfide che mi fisso, sia dal punto di vista tecnico, formale o concettuale, luoghi dove cresco attraverso il raggiungimento di queste sfide, imparando nuove strategie o capacità, quindi quando li osservo penso a questo. Altre opere mi ricordano di dove ero e com’era la mia vita quando li ho realizzati. Per esempio, ho vissuto e viaggiato in Turchia per molti anni, esplorandone la storia e la creazione dei tessuti in quella regione, creando varie opere dai tessuti che ho trovato nei mercati delle pulci che si tenevano nei weekend o nei negozi specializzati in tessuti antichi al Grande Bazaar di Instanbul. Quando guardo i pezzi che ho prodotto dalle sciarpe, vestiti, borse d’asino, tappeti, ricami, tappetini, kilim, rivestimenti, paillettes, perline, strass, bottoni e accessori trovati lì, mi riportano a un momento speciale della mia vita, a pensare a chi fossi prima, come era il mondo a quell’epoca, e come la mia vita è diversa ora.
Qual è la fonte della tua ispirazione oggi? Su cosa stai lavorando?
Sono andata in India per la prima volta due anni fa, prima che la pandemia iniziasse e ho visitato le botteghe dove le donne lavorano dei bellissimi tessuti su dei telai tradizionali. Da quel momento è stato un mio sogno quello di tornare lì per continuare ad esplorare e imparare sempre di più su quella cultura e arte. È da un po’ ormai che mi sto documentando e sto collezionando tessuti dall’India, ma non so ancora come utilizzerò questi bellissimi tessili. Li ho osservati nel mio studio pensando a quale potrebbe essere il modo migliore per presentare e celebrare la loro bellezza, pur creando sempre qualcosa di nuovo, ma essendo sicura di mostrare il mio rispetto profondo per il loro patrimonio etnico, preservandone l’anima nell’opera.