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Intervista con Asuka Nirasawa

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Asuka Nirasawa è nata ad Osaka e oggi vive e lavora a L’Aia. Nei suoi lavori prendono forma riflessioni che attingono da ambiti diversi e coniugano culture popolari e tradizioni dei molti paesi in cui l’artista ha vissuto. Un patrimonio di esperienze che diventa nelle sue opere confronto, dialogo, analisi, sintesi e che restituisce all’osservatore una pluralità di pensieri ed emozioni. Muoversi attraverso i continenti ha nutrito il percorso artistico di Nirasawa che nell’incontro con l’altro e con il diverso ha trovato la cifra della sua arte ridefinendo, di volta in volta, i contorni e gli obiettivi della sua ricerca artistica ed umana. Un viaggio che ho compiuto idealmente anch’io con lei attraverso questa intervista…

Synchronicity, Time 1, 2018 / silkscreen print, digital print, ink on fabriano paper / 59.4 x 42 cm / photo credit; Asuka Nirasawa

Quando e come hai cominciato a inserire i tessuti nelle tue opere?

Sono sempre stata attratta dalla bellezza dei tessuti. Fin dalle mie prime esperienze ricordo di aver sperimentato con il design, la moda e la creazione di abiti, fino ad arrivare a vedere premiato il mio Progetto per un KIMONO nel 2010, mentre lavoravo per un’industria tradizionale di tintura dei tessuti a Kyoto. È stato del tutto naturale per me inserire i tessuti nelle mie opere d’arte. La prima volta è stato in Sud Africa quando ho partecipato alla Residenza d’Artista presso Bag Factory nel 2016. C’erano molti grandi negozi di tessuti vicino alla Bag Factory. Un giorno per caso mi sono imbattuta nei tessuti africani e sono rimasta affascinata dai disegni così vigorosi, dinamici nella loro sorprendente semplicità.  Erano pieni di gioia di vivere: primitivi e al contempo moderni. Mi hanno riempita di gioia al punto che non ho potuto evitare di utilizzarli nei miei lavori.

Cytoplasmic Division 2, 2017 / fabric and acrylic on canvas / 84 x 59.5 cm / photo credit; Asuka Nirasawa

Hai vissuto in diversi paesi e continenti. In che modo questa ricchezza di esperienze ha influenzato il tuo lavoro come artista e come convergono le diverse culture nelle tue opere?

Sono nata in Giappone e sono poi emigrata in India, Africa ed Europa. Attualmente vivo in Olanda. Le mie percezioni, alimentate dalle mie esperienze passate, sono state messe in discussione ogni volta che mi sono ritrovata in un ambiente nuovo, con lingue, culture e contesti diversi. Persino lo scorrere del tempo mi sembrava diverso nei nuovi ambienti. Mi ponevo sempre una domanda fondamentale: cos’è l’essere umano. Sono domande cruciali per me per creare ogni volta un concetto nuovo per le mie opere.

La mia identità è stata plasmata dall’aver vissuto in tanti paesi diversi. Ricostruendo la mia identità potrei ritornare alle mie radici. Al tempo non lo sapevo, ma mi rendo conto solo ora che questo è stato un processo importante per me. Sono contenta che questi spostamenti si siano verificati intorno ai trent’anni, fra l’età della maturità e l’immaturità. Se fossi stata più giovane mi sarei adattata all’ambiente piuttosto che pormi delle domande. Se fossi stata più anziana, mi sarei potuta limitare a rifiutare il nuovo ambiente per le difficoltà a colmare il divario.

Sono cresciuta in una città del Giappone, uno dei paesi più antichi del mondo. Per questo, per le mie origini, l’amore per il dettaglio fa parte della mia personalità. Nel mio lavoro sono spesso presenti grandi quantità di piccoli punti. Ma aggiungendo il caos dinamico dell’India, la primitività e la diversità dell’Africa e le mie esperienze di vita vissute in Europa, i miei pensieri, le mie abitudini e la mia stessa personalità veniva scossa dal confronto con concetti come complessità e diversità.  Questo processo faceva emergere in modo netto gli elementi contrastanti delle diverse culture, come sensibilità e dinamismo, modernità e primitività, ordine e disordine, che io ho fuso insieme nelle mie opere.

Il colore ha un ruolo preponderante nel mio lavoro. L’uso del colore si è evoluto studiando i colori dei diversi paesi, per esempio, prima preferivo usare colori su base grigia, come quelli tipici tradizionali giapponesi. Ero influenzata nella scelta dal design del kimono. Usando il grigio come nota dominante e applicando i tre principi di saturazione, luminosità e tonalità del colore, ero in grado di manipolare i colori e renderli vividi e ricchi di sfumature. Ma trovandomi circondata dagli intensi colori dell’India e dalla dinamica vita dei colori primari in Africa, i miei grigi si sono arricchiti di infinite possibilità, che piano piano sono entrate nel mio lavoro.

Cytoplasmic Division 1 2017 / fabric and acrylic on canvas / 84 x 59.5 cm / photo credit; Asuka Nirasawa

I tessuti e i motivi africani sono ricorrenti nelle tue opere. Perché questa scelta?

Come ho già detto, il mio primo incontro con il Continente Africano è avvenuto durante la mia partecipazione alla Residenza d’Artista alla Bag Factory in Sud Africa nel 2016. Lì per la prima volta ho visto i disegni dei tessuti africani e mi hanno colpito tantissimo.

Il motivo per cui sentivo i tessuti africani così vicini ai miei lavori è perché erano pieni di cerchi e pois. Ho sempre usato i cerchi nelle mie opere, spesso punti ed ellissi, grandi e piccoli. Elemento tipicamente giapponese, nel Buddismo il cerchio è il simbolo dell’infinito: non c’è nulla al centro, non c’è inizio né fine, è l’assoluto. Il cerchio rappresenta l’universo. Molti motivi africani utilizzano i cerchi e hanno elementi di design asiatico. I motivi africani sono senza tempo e universali e mi sono familiari.

Per il progetto alla Bag Factory ho girato per i negozi di tessuti e ho acquistato tutti i tipi di tessuti africani a cerchi che ho trovato. Poi ci ho ricoperto le pareti, il pavimento e il soffitto di tutta una stanza. Ho usato la stanza come set fotografico scattando foto di ritratti, con tante persone diverse che posavano sullo sfondo di questi tessuti, circondati da cerchi (per esempio in “A medium of a requiem in a cell”, 2017). Dopo quel progetto, sono passata a ritagliare i cerchi stampati sul tessuto e ho cominciato a usare i cerchi stessi: il potenziale del mio lavoro è cresciuto.

Remembered ritual, 2019 / installation with 200 circular cut African fabrics, human hair, cotton, thread / 120 x 160 x 180 cm / photo credit; Asuka Nirasawa

Per le tue opere attingi spesso alla scienza – dalla biologia alla psichiatria. Qual è la genesi delle tue opere? Come nasce l’idea e come si trasforma in un’opera d’arte?

Quando mi trovo di fronte a un fenomeno emotivo, sia che sia una mia risposta emotiva o una manifestazione delle emozioni di qualcun altro, spesso la mia interpretazione è conflittuale e vaga. Queste emozioni vanno verbalizzate e analizzate. Difficili da esprimere, ma quanto è interessante provare a farlo! E’ per questo che mi rivolgo alla scienza. Credo fermamente che i concetti della scienza possano verbalizzare i concetti nell’arte. Prendo in prestito il concetto, la teoria e la logica, perché ritengo che la teoria della scienza possa essere rivelatrice. Mi sono sempre chiesta come la teoria scientifica possa spiegare le emozioni.

Per esempio, c’è una serie di mie stampe intitolata “Synchronicity” (2018). Si tratta di un concetto sostenuto dallo psicologo Carl Jung. Ha coniato la parola “sincronicità” per descrivere le “coincidenze temporali di due o più eventi senza nesso di casualità fra di loro”. Jung era convinto che tutto nell’universo fosse intimamente connesso. Questo gli suggerì che doveva esistere un “inconscio” collettivo dell’uomo. Ho usato il suo concetto per dare il nome a questa serie di miei lavori, perché le opere corrispondono alla sua teoria: ogni collage è composto da immagini apparentemente non correlate. Ho realizzato queste opere essendo consapevole di essere guidata dal mio inconscio (intendendo la deliberata assenza di un motivo cosciente). Tuttavia, non ho cercato di seguire il concetto di Jung quando ho iniziato le opere (e infatti non ne ero consapevole).  Ma forse per una connessione “acausale”, in seguito ho rivisto nell’opera d’arte che ne è scaturita un’aderenza alle teorie di Jung.

Acne entropy, 2017 / installation with african fabrics with circle motives,at Gallery Nomart Japan) / photo credit; Asuka Nirasawa

“Remembered ritual” è tra le tue istallazioni più recenti. Come sono cambiate le tue opere nel tempo, dall’inizio della tua sperimentazione artistica a oggi – per esempio nel loro rapporto con lo spazio?

Le mie opere, in relazione allo spazio, hanno subito un cambiamento davvero drastico. Per molto tempo ho percepito lo spazio solo in modo planare. Questo è un aspetto tipico dell’arte giapponese: l’idea di percepire gli oggetti tridimensionali come se fossero piatti, per esempio l’Ukiyoe come creato da Hokusai, Hiroshige e altri nel periodo Edo, fino alla teoria del “super-piatto” di Takashi Murakami ai giorni nostri. Tuttavia, “Remember Ritual (2019)” ha un’origine e un approccio nuovi. È iniziato con la realizzazione di un gioco tridimensionale per mio figlio appena nato. Non avevo in mente un concetto artistico formale. In passato nel mio lavoro non ero incline a presentare oggetti in movimento nello spazio tridimensionale. Mentre costruivo il gioco mi sono ispirata ai miei oggetti e ho iniziato a renderli parte del lavoro. Alla fine, fortunatamente o sfortunatamente, è diventata un’opera d’arte e non un regalo per il mio bambino come avevo previsto. Da allora grazie a questo progetto il mio approccio alle tridimensionalità e al movimento è cambiato.

Cytokinesis 3, 2017 / fabric and acrylic on handmade paper / 41 x 41 cm / photo credit; Asuka Nirasawa

C’è un’opera o una serie di opere a cui sei particolarmente attaccata?

Le mie opere sono come figli per me: è difficile sceglierne una. Tuttavia, proverò a risponderti non senza difficoltà. “Cell Division” (2018) e “Remembered Ritual” (2019) sono quelle che mi vengono in mente, per le circostanze in cui le ho realizzate. Ho creato queste due opere durante la gravidanza. Il mio corpo era fuori controllo: era come se il mio grembo stesse manipolando il corpo e l’anima. Sentirmi dominata nella mente e nel corpo da un altro essere è stata un’esperienza incredibile. Era come se fossi spinta da una forza esterna, è stato scioccante per me.

Cell division, 2853 cells, 2018 / fabric, acrylic medium, glitter, pencil on canvas / 200 x 150 cm / photo credit; Asuka Nirasawa

In che modo la pandemia ha influenzato la tua ricerca e il tuo lavoro di artista?

Dal punto di vista fisico la pandemia le ha influenzate solo perché trovavo limitante non potere uscire e incontrare altra gente. La pandemia ha creato una serie di norme che hanno portato le persone a realizzare di non avere bisogno di quello di cui pensavano di aver bisogno. Hanno in qualche modo riportato la vita al suo stato primitivo, basato sulle cose semplici e importanti, e penso che questo sia positivo. Avevo provato qualcosa di simile quando vivevo in India. Era un periodo carico di sfide, la vita era interessante ma per niente comoda o semplice. Ma grazie a questo è emerso il vero significato della vita, mi sono interrogata sulla vita e sulla morte e su tanti altri interrogativi fondamentali. Ne sono uscita rinvigorita. Penso che la pandemia stia facendo qualcosa di simile, ci facciamo più domande.

Barbara Pavan

English version Sono nata a Monza nel 1969 ma cresciuta in provincia di Biella, terra di filati e tessuti. Mi sono occupata lungamente di arte contemporanea, dopo aver trasformato una passione in una professione. Ho curato mostre, progetti espositivi, manifestazioni culturali, cataloghi e blog tematici, collaborando con associazioni, gallerie, istituzioni pubbliche e private. Da qualche anno la mia attenzione è rivolta prevalentemente verso l’arte tessile e la fiber art, linguaggi contemporanei che assecondano un antico e mai sopito interesse per i tappeti ed i tessuti antichi. Su ARTEMORBIDA voglio raccontare la fiber art italiana, con interviste alle artiste ed agli artisti e recensioni degli eventi e delle mostre legate all’arte tessile sul territorio nazionale.