Interviste

Intervista con Gjertrud Hals

English (Inglese)

Me working on Here, Now, 2011, Photo SjurFedje, copyright Gjertrud Hals

Gjertrud Hals è una nota e stimata artista tessile norvegese che ha iniziato come tessitrice di arazzi  ma poi, spinta dal bisogno di sperimentare si è specializzata nella creazione di pannelli tessili bidimensionali e opere scultoree di fiberart in cui utilizza lapolpa di cotone, la carta, un intreccio sapiente di fili di varia natura con intrusione di materiali insoliti come il filo di rame.

La sua serie Lava, che risale al 1987, assolutamente innovativa nel panorama internazionale dell’arte tessile dell’epoca, le è valsa importanti premi e riconoscimenti e segna il punto di svolta della sua carriera artistica.

Le grandi sculture di Gjertrud Hals lavorate a maglia,solo apparentemente  leggere e fragili,  mostrano la stretta relazione esistente fra le tre componenti emotive della nostra percezione estetica:la luce, materia viva e impalpabile che veicola emozioni e stati d’animo,l’ombra che trasforma e nasconde, e la forma, che dà corpo e sostanza all’idea.

Di seguito il link al sito web dell’artista

https://www.gjertrud-hals.com/

Here, Now”, 2011, photo Arne Strømme, copyright Gjertrud Hals

Here, Now-detail”, 2011, Photo Endre Hals, copyright Gjertrud Hals

Puoi dirci qualcosa di te stessa e della tua storia di artista? Come hai iniziato? Come è nata la tua passione per l’arte tessile? 

Fin da bambina mi divertivo a giocare con tutto quello che trovavo.

Nella mia generazione, le ragazze dovevano tessere, lavorare a maglia, all’uncinetto e altre tecniche artigianali di base come parte dellavita quotidiana, e noi dovevamo iniziare a fare i nostri vestiti dall’età di circa dodici anni. Ma mia madre si lamentava spesso, dicendo: “Che ne sarà di te? Stai solo giocando!”

E aveva ragione: quando è morta qualche anno fa e ho dovuto occuparmi della sua casa, ho trovato oggetti che avevo realizzato da bambina e da adolescente: disegni, stampe, dipinti, arazzi, ricami, gioielli e “mixed media”.

Tuttavia, il più delle volte giocavo all’aperto raccogliendo conchiglie e insetti, costruendo reti e altre attrezzature per catturare piccoli pesci e granchi e tenerli negli stagni.

Più avanti, da adolescente, ero molto desiderosa di ricevere un’istruzione. Non volevo, come molte ragazze della mia zona, finire come operaia nell’industria dolciaria.

Così all’età di 22 anni ero già diventata insegnante e trovai lavoro in una scuola. Ma non mi sentivo soddisfatta e mi resi conto che dovevo andare avanti e cercare di diventare quello che volevo veramente essere, un’artista.

Gli anni ’70, con l’attivismo verde, il femminismo e la cultura femminile mi avvicinarono al tessile. Dopo un anno di studi di disegno, mi formai nel settore della tessitura degli arazzi per due anni. In quel periodo, nel 1976, si teneva una grande mostra di Magdalena Abakanowicz a Oslo. Ne rimasi completamente affascinata e fui sicura che il tessile sarebbe diventata la mia strada!

“Fenris”, 2004, photo SjurFedje, copyrhigtGjertrudhals

Fenris-detail”, 2004, Photo SjurFedje, copyright Gjertrud Hals

Cito:”Sono nata e cresciuta su una piccola isola sulla costa nord-occidentale della Norvegia e questo ha influenzato in larga misura le mie opere”.
Puoi parlarci di questo aspetto della tua formazione artistica?

Sono nata a Finnøy sulla costa di Romsdal nel 1948 e ho vissuto sull’isola fino all’età di dodici anni.

La mia famiglia si è poi trasferita a Molde, una piccola città nel fiordo di Romsdal.

Quando arrivai, lì si praticava la pesca delle aringhe ogni inverno. L’aringa si spingeva sulla costa per deporre le uova, seguita da foche, uccelli e balene.

I pescatori portavano le loro barche in mare aperto, trovavano un branco di aringhe, gettavano grandi reti e trasportavano il pescato.

Allo stesso tempo altri cacciavano le balene; i pescherecci per le balene sembravano piuttosto piccoli rispetto alle enormi creature che portavano a terra.

Vivevamo in mezzo a questi eventi: dalla finestra della nostra cucina potevamo vedere le lanterne delle barche nella notte d’inverno, come se ci fosse una grande città nell’oceano.

Altre volte potevamo vedere come stavano sezionando e lavorando le balene pescate.

Mio padre, così come mio nonno, erano meccanici; costruivano e installavano motori per le barche da pesca. Vivevamo vicino alla fabbrica e potevamo osservare come lavoravano gli uomini, ad esempio fondendo bronzo e ferro.

Mia madre, come la maggior parte delle donne, si occupava della casa e faceva molte cose di cui avevamo bisogno, come vestiti, tappeti, ecc.

Da grande ho capito che la mia infanzia mi ha dato molto “con cui lavorare”: storie di naufragi e altri disastri, incidenti drammatici di cui siamo stati testimoni, la fauna selvatica intorno a noi, le tempeste invernali, i meravigliosi tramonti, l’oceano in continuo cambiamento.

Quali sono le tue fonti di ispirazione? Come scegli i soggetti delle tue opere? Ci sono artisti o correnti artistiche che ti ispirano?

Magdalena Abakanowicz è tuttora importante per me, e lo scorso inverno sono andata a Lodz in Polonia, solo per vedere una retrospettiva della sua arte.

Quando ero giovane ammiravo molto Constantin Brancusi. C’era qualcosa di lui, che fondava la sua arte sulla creatività popolare e la tradizione artigianale della sua cultura,che gli dava un tocco moderno e personale.

Sono anche appassionata di artisti come GEGO (Gertrude Goldsmith), Ruth Asawa e Harry Bertoia, tutti con un linguaggio astratto in 3D e nel loro apice artistico negli anni ’50 e ’60.

Per quanto riguarda gli artisti contemporanei sono ispirata da molti, per citarne alcuni: Mona Hatoum, El Anatsui, Ghana Amer e Tomas Saraceno.

La mitologia è una fonte inesauribile di ispirazione, e la relazione con la storia e la mitologia è per me un modo per affrontare ciò che sta accadendo nel mondo di oggi. Come la vita stessa, i simboli mitologici sono complessi, profondi e interessanti, non immediatamente facili da cogliere o capire.

Tuttavia, più di ogni altra cosa mi ispiro ai miei ricordi e alle mie esperienze, e alla mia età ho molto da scegliere.

Fare arte è per me un modo per esprimermi, per dare un senso all’ordine e al caos. Mi sento fortunata ad avere questo spazio interiore di pensieri e sentimenti non ordinati, dove posso giocare e “scrivere le mie poesie visive”.

“Pair”, 2006/08,  photo Nanna Wessel, copyright Gjertrud Hals

Pair-detail”, 2006/08, photo Nanna Wessel, copyright Gjertrud Hals 

Parliamo di Lava: un’opera in serie composta da grandi vasi scultura in cotone e fibre di lino. Un lavoro molto suggestivo in cui l’opera tessile è liberata dalla sua naturale e consueta struttura bidimensionale. Cosa rappresenta Lava nella tua carriera e nella tua crescita personale di artista? La conchiglia, simbolo ricorrente nella tua arte, a quali significati rinvia?

La lava è stata una grande svolta per me, artistica e personale. Avevo progettato queste forme e testato a lungo il materiale. Le forme devono essere arcaiche e senza tempo, e volevo che fossero enormi, vulnerabili e forti allo stesso tempo.

Ho preso un po’ di polpa di cotone e lino da una cartiera e ho iniziato a testare il processo di fusione. Dopo molti fallimenti, improvvisamente ci sono riuscita, ed è stato travolgente, come partorire!

Li ho creati durante l’arco di un intero anno, tra i 30 e i 40, ed ero sicura che stavo realizzando qualcosa di unico.

Quando iniziai ad esporre Lava, la serie si aggiudicò due premi internazionali e molta attenzione, anzi, troppa per me! Avevo la sensazione che “tutti” volessero i vasi Lava, e mi preoccupai che questa avventura potesse fermare il mio futuro percorso artistico, la mia crescita come artista. Di conseguenza scelsi di smettere di costruirli, e andai avanti in altre direzioni.

La conchiglia è un legame con la mia infanzia, in quanto collezionista appassionata. Mi piacevano quelle che erano così sottili da lasciar passare la luce. I miei nonni avevano una lampada fatta di conchiglie traslucide provenienti dall’Estremo Oriente. Mi piaceva moltissimo!

Spesso scelgo simboli che racchiudono diversi significati. Per me il guscio rappresenta la membrana protettiva tra la vita e la morte. Usare questo simbolo è un modo per esprimere la vulnerabilità delle nostre vite e della nostra civiltà. Stiamo costruendo case, città e nazioni, ma sotto le civiltà, ruggiscono le forze indomite della natura.

D’altra parte, citando me stessa (1987): “Una rottura della membrana al momento giusto può significare la vita che si libera o un’idea o un pensiero che scoppia e si materializza nella creatività”.

LAVA”, 1987, photo Odd Hals, copyright Gjertrud Hals

Working on LAVA1987, photo Odd Hals, copyright Gjertrud Hals

 

Working on LAVA 1987, photo Odd Hals, copyright Gjertrud Hals

LAVA and me, 1987, photo Odd Hals, copyright Gjertrud Hals

C’è un gruppo, tra le tue opere, o un’opera in particolare che ti rappresenta di più e a cui ti senti particolarmente legata?

Una delle opere più significative per me è la scultura in rete Insula, che ho realizzato nel 2006/ 2008. All’epoca vivevo a Oslo, e per un lungo periodo non ho avuto uno studio, quindi lavoravo da casa. Mio marito è uno psicologo, e i suoi libri e articoli sulla neuropsicologia erano dappertutto. Guardandolo, ho avuto l’idea di creare un’immagine del sistema nervoso umano, astratta in un quadrato.

Insula è la parola latina per isola, e si riferisce anche a InsularCortex, una struttura centrale nel profondo del cervello. Si ritiene che sia coinvolta nella coscienza e svolga un ruolo nelle diverse funzioni solitamente legate alle emozioni e alla percezione di noi stessi come creature isolate, e alla nostra coscienza del “sé”.

Allo stesso tempo Insula si riferisce anche a “l’isola” e ha una somiglianza con le barriere coralline, un altro dei miei temi preferiti.

L’ho realizzata con filo metallico in quadrati di 100 X 100 cm, 9 in tutto. Poi ho affittato un posto dove ho spruzzato le strutture della griglia con pasta di carta liquida tinta, circa 50 strati.

Per me è stato un metodo innovativo, che da allora l’ho utilizzato più volte, di recente in Tela, 2018 e Vena Cuprum, 2018.

Tra le tante opere che hai realizzato nel corso degli anni, ce n’è una in cui non ti riconosci più e che senti lontana dal tuo stile artistico attuale?

Ho iniziato la mia vita artistica come tessitrice di arazzi. Uno dei miei primi arazzi, “Women’s tapestry” del 1977, è molto lontano dal mio stile artistico attuale, e usare simboli femministi nel modo in cui ho fatto qui è lontano da quello che ho creato in seguito.D’altra parte, posso riconoscermi nel modo in cui ho mescolato passato e presente e giocato con i simboli: Il soggetto è tratto da una foto di mia nonna e dei suoi amici che vanno in chiesa. Ho messo le figure in un arazzo tradizionale, e ho sostituito parti di esso con simboli femministi. In realtà, è così tipico di me che non posso fare altro che accettarlo, anche se oggi lavoro in modo diverso….

“Women`s Tapestry”, 1977, photo Nanna Wessel, copyright Gjertrud Hals

Spesso utilizzi materiali riciclati nelle tue opere. Qual è il motivo di questa scelta?

Mi piace pensare che quando il materiale trovato/riciclato viene rimosso dal suo contesto, parte del suo spirito originale rimane. C’è un processo, un lavoro e una storia nei materiali che uso che mi ispira e conferisce un significato particolare.

Per il momento sto usando filo di rame che trovo nei centri di riciclaggio del metallo. Mi piace andare in quel luogo sporco e cupo che mi ricorda molto della fabbrica in cui lavorava mio padre. Prendo il filo lucido e rossiccio dai cavi elettrici e il colore scuro da dinamo e motori.

Il rame è il primo metallo manipolato dall’uomo.  Tutto lo sforzo, e il lavoro che è stato fatto, e la tecnologia che è stata sviluppata per produrlo, mi riempie di stupore e mi dà una forte sensazione di essere parte di tutto questo.

Sto anche usando oggetti della quotidianità come i bottoni e le linguette delle lattine, integrandole nelle mie reti. Elevare lo status di questi oggetti fatti dall’uomo da inutili a utili mi dà conforto e gioia.

“Libra 2”, 2017. photo SjurFedje, copyright Gjertrud Hals

“Libra 2-detail”, 2017, photo SjurFedje, Gjertrud Hals

Grazie all’uso di fili e trasparenze, le tue grandi sculture assumono in realtà un aspetto di estrema leggerezza, che contrasta con l’idea che la scultura sia espressione di solidità e massiccia grandezza.
Pensando alla tua opera Ultima: qual è il rapporto tra la leggerezza espressa attraverso il lavoro a maglia e la monumentalità delle dimensioni? E più in generale, qual è il ruolo dei vuoti, degli spazi negativi nelle tue opere?

 Gran parte del mio tempo lo passo a testare materiali le tecniche: per esempio, quanto largo, quanto alto, quanto sottile è possibile costruire prima che crolli? D’altra parte, ho anche realizzato oggetti in fibra compatta in stampi per vedere come il materiale si restringe nel processo di asciugatura.

 Quando ho iniziato a progettare Ultima, la forma dell’urna era rimasta a riposare per quasi 30 anni. Nel frattempo avevo provato la resina, e a poco a poco le urne lavorate a maglia crescevano nella mia immaginazione. Sarebbe possibile renderle voluminose come le urne Lava, con la tecnica traslucida del lavoro a maglia, abbinata alla resina?

Gli spazi vuoti, “il nulla tra le linee” (GEGO) gioca un ruolo importante nella mia opera d’arte. Mi piace che il mio lavoro sia aperto e che respiri. Sto lavorando con la connessione tra forma, luce e ombra. Quando creo volumi scultorei, preferisco usare materiali che sembrano fragili, ma che in realtà sono fisicamente forti. In questo modo è possibile rendere lo spazio negativo importante quanto quello positivo.

Come pianifichi un nuovo lavoro? Segui una scrupolosa attività di progettazione o lasci che il tuo istinto ti orienti?

Utilizzo molto del mio tempo per testare tecniche, materiali ed espressioni. Nel corso degli anni, ho creato una grande collezione di campioni. In quel processo sto giocando, non esercito alcuna pressione su me stessa, lascio che il mio istinto mi guidi. A volte sono fortunata e mi stupisco creando qualcosa che non avevo mai visto prima, e questo mi commuove in qualche modo.

Per quanto riguarda il lavoro finale, spesso questo è il risultato di idee che ho in mente da molto tempo. Alla fine, esamino i miei campioni, per vedere se ci sono tecniche/materiali che posso usare per realizzare quell’idea. Oppure faccio un passo indietro, e mi muovo in una direzione completamente diversa da quella che mi aspettavo….

Mi piace lavorare su diversi (da tre a cinque) progetti paralleli. Spesso parto da un’idea, ci lavoro per un po’, ma non sono soddisfatta. Così la metto da parte e lavoro su un altro pezzo, fino a quando la soluzione individuo una soluzione oppure no…Ho opere d’arte che sono state a riposo per anni prima di finirle.

Midnight Blue”, 2018, Photo SjurFedje, copyright Gjetrud Hals

“Midnight Blue-detail”, Photo SjurFedje, copyright Gjertud Hals

Qual è secondo te la differenza più importante tra un artigiano che lavora con fili e tessuti e un artista tessile? Quando un’opera tessile diventa arte?

Nel mondo dell’arte di oggi è difficile rispondere a questa domanda: un normale pezzo di tessuto può essere un’opera d’arte quando è esposto in una galleria o in un museo, e ad esempio un copriletto può essere parte di un’installazione. C’è un’artista (Sarah CrowEST) che realizza grembiuli per uso utilitaristico. Gli stessi grembiuli poi li espone come tele sulla parete, o li usa come parte di performance artistiche.

Si tratta quindi di una questione di contesto, ma anche del concetto di artigiano / artista.  Anche se una classificazione rigorosa è impossibile, l'”occhio allenato” può spesso facilmentericonoscere la differenza tra un pezzo di artigianato e un’opera d’arte tessile. Tuttavia, ci possono essere delle differenze molto piccole: una piccola modifica/intervento può essere sufficiente a rendere l’ordinario straordinario!

 

A cosa stai lavorando in questo momento? Vuoi parlarci dei tuoi progetti tessili attuali e delle tue mostre attuali o future?

Attualmente sto lavorando con il filo di rame: sto lavorando a maglia grandi reti 3D e anche diverse reti da parete in diversi materiali metallici.

Inoltre ho ricominciato a lavorare con fibre di kozo giapponesi (corteccia di gelso). Ne ho fatto molto uso negli anni ’90, quindi mi sembra che sia giunto il momento di farlo di nuovo, speriamo con una nuova prospettiva.

Infine, sono concentrata sulle opere della mia mostra personale alla Galerie Maria Wettergren di Parigi, che si terrà dal 6 febbraio fino al 25 Aprile 2020.

“EIR”, 2019, photo SjurFedje, copyright Gjertrud Hals

EIR and me”, 2019,  photoSjurFedje, copyright Gjertrud Hals

 

Maria Rosaria Roseo

English version Dopo una laurea in giurisprudenza e un’esperienza come coautrice di testi giuridici, ho scelto di dedicarmi all’attività di famiglia, che mi ha permesso di conciliare gli impegni lavorativi con quelli familiari di mamma. Nel 2013, per caso, ho conosciuto il quilting frequentando un corso. La passione per l’arte, soprattutto l’arte contemporanea, mi ha avvicinato sempre di più al settore dell’arte tessile che negli anni è diventata una vera e propria passione. Oggi dedico con entusiasmo parte del mio tempo al progetto di Emanuela D’Amico: ArteMorbida, grazie al quale, posso unire il piacere della scrittura al desiderio di contribuire, insieme a preziose collaborazioni, alla diffusione della conoscenza delle arti tessili e di raccontarne passato e presente attraverso gli occhi di alcuni dei più noti artisti tessili del panorama italiano e internazionale.