Interviste

ISOBEL BLANK

English (Inglese)

*Foto in evidenza: Relief, scultura in lana infeltrita ad ago, cm 28X20X8 – 2022, courtesy of Gilda Contemporary Art, Milano


Artista multimediale, Isobel Blank è nata a Pietrasanta (Lucca) e si è laureata in filosofia estetica presso l’Università di Padova, completando poi la sua formazione in diverse discipline come il teatro, la danza, il disegno, la scultura, la musica, la fotografia, che oltre ad essere presenti in una fusione di arte performativa e video, seguono parallelamente un loro autonomo sviluppo.

Il suo lungo percorso di approfondimento dell’arte tessile sviluppato dal ricamo alla lavorazione della lana, ha condotto la sua ricerca stilistica ad indagare diversi aspetti dell’arte applicata, rivolgendosi in particolare al design nel campo della moda, del gioiello tessile e dei giocattoli d’arte.

Le sue opere sono state esposte in gallerie, musei d’arte contemporanea e festival internazionali in Italia,  Stati Uniti, Cambogia, India, Messico. Selezionata per Fiberart International di Pittsburgh (USA), ha esposto – tra gli altri – al Modern Art Museum di Mosca, all’Accademia Belgica di Roma, a Palazzo Widmann di Venezia, alla Mumbai Art Room in India. Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui il Primo Premio per la Videoarte al RomaEuropa Webfactory di Roma nel 2009.

In occasione della recente partecipazione al Salone Italia presso il Museo del Tessile di Busto Arsizio tra gli eventi celebrativi del venticinquesimo anniversario di WTA World Textile Art e della sua ultima personale allestita alla Gilda Contemporary Art di Milano, Blank ci ha raccontato la sua ricerca in questa intervista esclusiva per ArteMorbida.

Wear your past as a gift fotografia digitale, dimensioni variabili - 2016 courtesy of Gilda Contemporary Art, Milano

Dalla pluralità dei linguaggi passando per una molteplicità di tecniche e materiali fino all’indefinitezza delle forme dei suoi lavori sempre a metà tra una metamorfosi in fieri e un ibrido in mutazione, la tua ricerca non solo sfugge a qualsiasi classificazione ma rende la definizione di limite e confine tra i diversi elementi della tua pratica artistica alquanto scivolosa. Come nascono i tuoi lavori? E qual è il significato di questo perimetro identitario aperto?

Le mie opere non nascono quasi mai nello stesso modo, la varietà e irregolarità riguarda anche l’aspetto della genesi. Tuttavia è sicuramente possibile trovare dei tratti comuni o ricorrenti nella metodologia. L’intuizione, intesa come contenuto immediato che si palesa mentalmente, è quasi sempre la scintilla che stimola il processo creativo. È ciò che solitamente sta alla base della “visione”, l’immagine mentale che mi spinge a ricercare poi la realizzazione concreta di un concetto. L’intuizione arriva nelle circostanze più varie, da qualcosa che vedo, leggo, sento, talvolta da qualcosa di insolito, spesso dai frangenti più comuni della vita di tutti i giorni. Del resto ciò che mi ha sempre attirato è cercare la meraviglia nelle cose più ovvie, semplici, quotidiane, da qui anche il mio amore per la filosofia che è diventata poi il fulcro dei miei studi e in parte anche di lavoro.

Detto questo, l’elemento che per me può avere un ruolo principe nella genesi del processo creativo è la musica. Sono anche musicista, ma in qualità di ascoltatrice su di me agisce come un innesco in grado di sbloccare una concatenazione di meccanismi emotivi. L’immagine di una diga che cede, è ciò che di più simile mi viene in mente per descriverlo. La musica mi “muove” fisicamente e metaforicamente, mi permette di spaziare, esplorare a fondo nei meandri delle pre-visioni, delle suggestioni che poi mi porteranno a creare qualcosa. Quando mi è capitato per le prime volte di averne coscienza, mi sono resa conto che quindi per me il procedimento creativo può essere anche auto-indotto.

Il fatto che definire o delineare un perimetro per la multiformità del mio lavoro risulti compito infausto, ha messo in difficoltà me per prima, anche nel semplice dovermi mettere in relazione con ciò che mi è sempre venuto spontaneo fare, o nel doverlo spiegare a chi mi circonda. Con la coscienza sopraggiunta a posteriori, posso dire che probabilmente la mia inclinazione ad assecondare il divenire è più naturale di quanto si possa pensare, e che l’aspirare ad un’unica forma possa essere in realtà l’intento più lontano dalla nostra natura. Questa esternazione deriva probabilmente dall’influenza che lo studio dell’estetica orientale ha avuto sulla mia ricerca. Se si pensa a uno degli innumerevoli quadri tradizionali di paesaggi orientali che a chiunque sarà capitato di poter osservare, due degli elementi che sono praticamente quasi sempre presenti sono la montagna (shan, qualità yang, bianco, maschile, rigido) e l’acqua (shui, qualità yin, flessibile, mobile, scuro, femminile). Il bilanciamento tra gli spazi riservati alle montagne e quelli alle acque, il modo in cui monti/pietre e acqua/ruscelli sono disposti, si esprime sempre come un equilibrio asimmetrico, ed è proprio l’irregolarità degli spazi a conferire calma, quiete, armonia, poiché è ciò che osserviamo nel reale.

Subisco il fascino del divenire, del polimorfo, dell’incompiuto, della parzialità. Il pensiero per sua conformazione è sempre prospettico, mutevole, ed implica movimento. La stasi della solidità è straniante, è un’illusione di quiete apparentemente confortante che ci arriva da ciò che ci appare come stabile, ma che poi si rivela irreale. Per concludere, ogni rappresentazione rimarrà comunque incapace di descrivere la realtà nella sua interezza, potrà al massimo essere testimonianza della sua assenza, dunque risulterà comunque incompleta.

Under my skirt, the garden fotografia digitale, dimensioni variabili - 2014 courtesy of Gilda Contemporary Art, Milano

Che ruolo e che importanza ha la sperimentazione di tecniche e materiali nella tua ricerca artistica?

La ricerca di materiali e tecniche, per me è uno degli aspetti più stimolanti del mio lavoro. Nel momento in cui ho un’idea chiara e ho abbozzato un progetto per la realizzazione di un’opera o una serie di opere, segue lo studio di quale possa essere il materiale e di conseguenza la tecnica più adatta alla realizzazione più esaustiva. Ogni opera parla una lingua diversa e ha bisogno dei suoi termini specifici. Inizio con approfondimenti, ricerche parallele su più fronti, per poi passare ai primi test pratici. Nel farlo devo considerare anche gli aspetti più banali, a partire da i mezzi che ho a disposizione, quelli che mi posso procurare, le modalità più semplici ed essenziali, lo spazio necessario per la realizzazione delle opere, e successivamente per un’eventuale archiviazione delle stesse, insomma un insieme di elementi che mi possano dare un quadro il più completo possibile su ciò che mi sto apprestando a creare. Ho studiato e approfondito molte discipline diverse nel corso degli anni, ma il fatto che spesso mi possa approcciare a tecniche completamente nuove da sperimentare per la prima volta, in modo autonomo e partendo da zero, e che debba poter arrivare in brevissimo tempo ad una qualità elevata, è un fattore che mi permette una continua evoluzione e di conseguenza trovo piuttosto entusiasmante. È un’esperienza che accosto molto a quando da piccina prendevo il mio libro sui “100&100 lavoretti per bambini” e poi partivo alla ricerca degli oggetti che avevamo in casa per poter realizzare il giocattolo del giorno, che fossero mestoli, riso, barattoli di yogurt o stoffe, cartoncini e colla, era una delle attività in cui preferivo impegnarmi quando ero molto piccola e che probabilmente mi ha influenzato maggiormente nelle mie scelte e abitudini successive.

Place cells, dettaglio courtesy of Gilda Contemporary Art, Milano
Place cells scultura in lana infeltrita ad ago con alveare di vespe ricoperto in resina e perle di cristallo incastonate, cm 33 x 30 x 12 - 2021 courtesy of Gilda Contemporary Art, Milano
Place cells, dettaglio courtesy of Gilda Contemporary Art, Milano

Il medium tessile ha per te anche un significato intrinseco legato alla memoria e all’identità oltre alle caratteristiche tecniche e funzionali adatte alla tua pratica artistica?

La tecnica dell’infeltrimento della lana ad ago, con cui realizzo delle opere scultoree, è una tecnica antica, tradizionale e faticosa, che è andata un po’ perdendosi nel tempo, e a cui mi sono accostata casualmente, in modo completamente autodidatta. La fibra, il filato da ricamo, il semplice filo di qualsiasi tipo e origine però, sono sempre stati presenti nella mia vita sotto varie forme. Le mie nonne cucivano a mano e macchina, ricamavano o lavoravano la lana e l’uncinetto per creare abiti e non solo, a volte anche giocattoli. Mia mamma ha sempre lavorato la lana e il cotone e realizzato abiti per tutta la famiglia, e a mio papà probabilmente devo l’attitudine alla ricerca, che nel suo caso ha sempre applicato in campo chimico/industriale, mentre io in ambito artistico. Come ricercatore chimico, in particolare nel settore delle fibre, mi ha sempre portato in casa nuovi esperimenti, invenzioni, brevetti, spaziando dai chips di plastica ricavati dal riciclo di bottiglie per realizzare fibre, fino all’ovatta fluorescente o la fibra di carbonio per tessuti riscaldanti. Ha girato il mondo alla ricerca dei materiali più innovativi e ne ha elaborati di originali, e la cosa mi ha sempre coinvolto e affascinato, in un modo o in un altro. Credo che in un certo senso anche il ruolo che i capelli hanno assunto nelle mie opere, se li penso come fila corporee, sia connesso a memoria e identità. Biologicamente parlando, sono la memoria del corpo, basta pensare alle analisi tricologiche e alla loro capacità di conservare informazioni chimiche riguardanti il fisico anche per molti mesi, oltre al fatto che il loro ciclo vitale dura diversi anni. Per me hanno sempre rappresentato un serbatoio di scenari inconsueti, li ho utilizzati nei modi più disparati, dalla stop-motion nelle opere di video-arte, a semplici elementi scenici in molta della mia produzione fotografica.

The Seal, dettaglio installazione, sculture in lana infeltrita ad ago, vetro, gomma piuma, perle di cristallo cucite a mano in forma di alveare, singole sculture cm 53x35x27 (busto) | cm 20x12x12 (testa) - 2014 courtesy of Gilda Contemporary Art, Milano

La natura è una presenza diffusa non solo nella cifra formale delle tue opere ma anche nella loro stessa sostanza: nell’utilizzo delle fibre – siano esse di origine vegetale o animale – nonché delle bioplastiche, nell’integrazione di elementi naturali nei tuoi lavori – gli alveari, ad esempio. Che rapporto c’è tra te, la tua arte e la natura?

La natura è lo sfondo ineliminabile che allo stesso tempo partecipa anche dell’individuo, della figura che su quello sfondo agisce. Nel mio caso particolare ho sempre avuto un forte legame con gli elementi naturali, che vivo come un sostrato fondamentale. Sono rimasti quasi l’unica costante in tutti i viaggi, gli spostamenti e le case che ho vissuto, prima con la mia famiglia per il lavoro di mio padre e poi in autonomia, come modus vivendi di cui ormai non posso fare a meno. Sono sempre stata attirata dai fattori minimi, i piccoli dettagli, i muschi, i licheni, le pietre, il fogliame, le venature della corteccia, i percorsi degli insetti. Ho sempre trovato conforto nell’osservazione muta delle piante, della loro apparente immobilità feconda, che rende pura epica anche il semplice sfumare di un colore nell’altro. Mi sembra che a confronto, l’uomo si agiti tanto sconnessamente e fragorosamente, non riuscendo nemmeno in minima parte a raggiungere la medesima meraviglia silente della chioma di un albero che si evolve, a volte per un secolo intero o più, stando fermo nello stesso luogo. Da qui probabilmente deriva il fatto che io utilizzi molti elementi naturali nelle mie opere, cucendo il muschio assieme alla lana, sagomando foglie per creare scenari immaginari, immergendomi in sfondi boschivi per video e fotografie o unendo veri alveari alla lana infeltrita nelle mie sculture o installazioni. Nella natura ritrovo insomma la mia dimensione familiare, ovunque io sia, anche nei momenti in cui sono fisicamente o emotivamente lontana.

New horizon, sea_2 scultura in silicone ricamato: silicone, filo di cotone, perle di vetro e agata, tessuto, gommapiuma, Ø 35 cm h. 10 cm - 2022 courtesy of Gilda Contemporary Art, Milano
New horizon, sea_1 dettaglio scultura in silicone ricamato: silicone, filo di cotone, perle di vetro e agata, tessuto, gommapiuma, Ø 35 cm h. 10 cm - 2022 courtesy of Gilda Contemporary Art, Milano
New horizon, sea_1 dettaglio scultura in silicone ricamato: silicone, filo di cotone, perle di vetro e agata, tessuto, gommapiuma, Ø 35 cm h. 10 cm - 2022 courtesy of Gilda Contemporary Art, Milano

Cosa significa essere un’artista? E cosa vuol dire ‘Arte’ per te?

Credo che essere un’artista non sia una scelta, c’è chi parla di vocazione, chi di necessità o esigenza, io aggiungerei: umile moto spontaneo, o almeno è così che lo sento. È senza dubbio l’unico modo in cui potrei definirmi, non vedo molte alternative per descrivere quello che faccio, se non fare una lista lunga e approssimativa di discipline e applicazioni varie delle stesse, che talvolta si mescolano o si sovrappongono e che in ogni caso non risulterebbe esaustiva. A chi dovesse suonare altisonante, supponente o inconcludente, risponderei che è una definizione come un’altra, e che forse in alcuni casi c’è la necessità di precisare l’uso del termine. Per me personalmente essere un’artista significa essere un filtro, ma è il mio modo di vivere la cosa. Mi piace pensarmi come una membrana che filtra il reale e lo rende surreale, in un meccanismo osmotico che parte dalle cose piccole, minime, naturali o domestiche e che, nello scambio continuo, cerca di tradurle in qualcosa di universale. Ma lo vivo come un processo che non avrà mai compimento, come se nella tensione stessa a quel fine, si esprimesse un’emersione intermittente e parziale del senso della vita, senza che quel significato risulti mai chiaro del tutto. Del resto è proprio scavando nell’oscurità della poesia che permea quel che ci circonda, che sembra talvolta di poter scorgere dei frammenti di verità, delle epifanie di realtà. In questa azione continua e imperfetta, dovrebbe risiedere l’incipit stesso di quella tensione di cui parlavo poc’anzi.

The horizon within, sea, installazione 5 sculture in tessuto e imbottitura sintetica, cm 160x70x20 - 2022 courtesy of Gilda Contemporary Art, Milano

Chi – o cosa – e come ha maggiormente influenzato o ispirato il tuo percorso artistico?

Provassi a fare un elenco di tutte le influenze importanti che ho avuto negli ambiti più disparati, dalla letteratura, la filosofia, alla danza, al teatro, alla cinematografia, all’illustrazione, al fumetto, la fotografia, all’arte visiva, alla musica, non mi basterebbe il tempo e probabilmente lo spazio a disposizione. Non saprei scegliere uno sugli altri, perché è stato l’insieme che, nel tempo, sommandosi alle mie esperienze, ha formato quel magma da cui emergono le mie idee e probabilmente un mio stile. In generale, se dovessi mettere qualcosa in particolare sul piedistallo, in una scala di influenze, sceglierei non un personaggio, ma un’attitudine: l’estrema serietà che caratterizza la dimensione del gioco. Questo è l’elemento che su tutti conservo come una delle cose più preziose e che spero di non abbandonare mai. Quell’insieme di autosuggestione, volontà e necessità di trasfigurazione e immedesimazione, che fanno sì che ci si possa nutrire di storie all’infinito, senza essere mai sazi. L’insaziabilità di storie da vivere e immaginare, è qualcosa di cui tutti dovremmo soffrire, per sviluppare e coltivare empatia, uno degli atteggiamenti più importanti per convivere in modo armonico.

Torpedo lana infeltrita ad ago, vetro, gomma piuma, cm 30x63x30 - 2013 courtesy of Gilda Contemporary Art, Milano
Two of a kind lana infeltrita ad ago, vetro, gomma piuma, cm 45x19x23 - 2013 courtesy of Gilda Contemporary Art, Milano
Torpedo, dettaglio courtesy of Gilda Contemporary Art, Milano

Come si è evoluta la tua ricerca nel tempo e qual è il prossimo orizzonte verso cui sei diretta?

Non sono molto brava a tirare le somme, forse più a notare le sottrazioni. Mi piacciono i giochi di parole e in questo caso quel che dico ha effettivamente un significato. Voltandomi indietro e riguardando alla mia produzione creativa, posso sicuramente affermare che un’evoluzione naturalmente ci sia stata e posso cercare di tirare delle fila nelle tematiche, nello stile e nelle forme in cui di volta in volta il mio pensiero si è cristallizzato. Ma credo che in tutto ciò in realtà quello che dovrei notare sono gli spazi vuoti. Il vuoto è lo spazio necessario perché ogni cosa esista, come lo spazio geometrico è condizione per il porsi di una linea, punto, superficie e come il silenzio è necessario all’emergere di parole e suono. Forse nella disposizione e nella dinamica che il vuoto e il segno, il pieno, hanno assunto nei miei lavori, forse lì si può trovare il filo conduttore più significativo. Credo di aver operato negli anni un’azione di cesello, scalpello metaforico, riduzione all’essenziale, e che questa operazione sia ancora in atto, e non avrà fine. Mi pare anzi si ricongiunga all’inizio, come in un uroboro evanescente. Nei primi anni in cui mi sono trovata ad esporre quel che creavo, facevo delle esilissime sculture in resina, che articolandosi in forme sinuose, sembravano tendersi all’infinito e ridursi ad una linea sottile. L’ultima personale che ho assemblato, HORIZONS, parla esclusivamente di linea, quella dell’orizzonte appunto, che ho cercato di sviscerare e rappresentare tramite elucubrazioni tessili di diverso tipo. Ho utilizzato tessuti, miei abiti, ho cucito, imbottito e infeltrito lana ad ago. Per restare in tema di nuovi materiali e nuove tecniche, ho ricamato il silicone tramite l’utilizzo di pinze, decorando con filati, perle d’agata e vetro, alcuni moduli siliconici da me plasmati, per realizzare dei nuovi orizzonti: morbidi scenari circolari a metà tra le evoluzioni biologiche possibili, paesaggi cellulari futuri e idilliaci profili di rilievi gommosi, in cui sentirsi nuovamente al centro del proprio spazio. Insomma, pare che il tracciato debba continuamente esplodere e riconfigurarsi in innumerevoli rocambolesche evoluzioni, per poi tornare comunque a sé stesso. Mi sembra nel complesso di aver iniziato e continuato in questo percorso di riduzione all’essenza, e credo che proprio su questa “linea” o filo, continuerò ad agire anche in futuro.

Barbara Pavan

English version Sono nata a Monza nel 1969 ma cresciuta in provincia di Biella, terra di filati e tessuti. Mi sono occupata lungamente di arte contemporanea, dopo aver trasformato una passione in una professione. Ho curato mostre, progetti espositivi, manifestazioni culturali, cataloghi e blog tematici, collaborando con associazioni, gallerie, istituzioni pubbliche e private. Da qualche anno la mia attenzione è rivolta prevalentemente verso l’arte tessile e la fiber art, linguaggi contemporanei che assecondano un antico e mai sopito interesse per i tappeti ed i tessuti antichi. Su ARTEMORBIDA voglio raccontare la fiber art italiana, con interviste alle artiste ed agli artisti e recensioni degli eventi e delle mostre legate all’arte tessile sul territorio nazionale.