Interviste

JOANA VASCONCELOS

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*Foto in evidenza: JoanaVasconcelos_CoraçãoIndependente2016_ LV-AJV © Luís Vasconcelos | Atelier Joana Vasconcelo

Joana Vasconcelos è un’artista la cui fama internazionale rende superflua ogni presentazione. Portoghese, classe 1971, le sue opere sono state esposte attraverso I continenti e sono parte di prestigiose collezioni permanenti.

Utilizzando oggetti di uso quotidiano, ricalibrati e ricontestualizzati, trasformati in sculture monumentali non senza una buona dose di ironia, Vasconcelos crea un legame tra l’ambiente domestico e lo spazio pubblico affrontando temi che riguardano la condizione femminile, l’identità collettiva, l’iperconsumismo.

La partecipazione alla Biennale di Venezia del 2005 ha definitivamente consacrato il suo lavoro sulla scena artistica internazionale. Alla manifestazione in laguna è tornata successivamente con il padiglione galleggiante del Portogallo, nel 2013. Vasconcelos è stata la più giovane artista – ed unica donna – ad allestire una mostra alla Reggia di Versailles. Nel 2018 il Guggenheim di Bilbao le ha dedicato un’importante mostra antologica.

JoanaVasconcelos_ANoiva2001-2005_ PP-FCG © Pedro Pina | Courtesy Calouste Gulbenkian Foundation

Forme familiari composte da oggetti familiari ma decontestualizzati e ricontestualizzati con una diversa funzione ma, soprattutto, di dimensioni decisamente macro. Il gigantismo delle tue opere da dove ha origine e che significato ha? È una caratteristica più assertiva o più provocatoria?

Definirei la mia arte come indagatrice, stimolante, gioiosa e comunicativa. L’ampia scala delle mie opere deriva spesso dalla scelta dei materiali. Parto da un piccolo oggetto d’uso comune e, tramite la giustapposizione, finisco per creare una forma nuova più grande. Nel caso della scarpa “Marilyn”, ad esempio, la forma è data dalle padelle, di medio formato, utilizzate comunemente nelle cucine portoghesi per cucinare il riso per una famiglia di quattro persone. Alla fine, la moltiplicazione del materiale porta a determinare la dimensione dell’opera. Non sempre è uno scopo che ho in mente all’inizio, ma viene fuori così.

Un altro buon esempio è la dimensione delle Valchirie come risultato dello spazio che devono abitare. Come la Valchiria Octopus – concepita per l’MGM Macau – un pezzo nato per essere una presenza naturale nella location, ma allo stesso tempo con l’intento di non perdersi visivamente nell’area di 1.000 metri quadrati a esso dedicati. Quindi, la scala emerge dai materiali utilizzati per elaborare una certa idea.

Sono molto interessata a esplorare l’intero potenziale che uno spazio e/o un ambiente possono offrire, ma è anche importante tenere presente che le dimensioni delle mie opere variano molto. Ci sono molte serie importanti nel mio lavoro che contemplano opere sia di grandi che di piccole dimensioni.

La dimensione non ha una capacità magica di per sé, ma si basa sull’unione di componenti diverse. La questione principale, per me, è la capacità comunicativa di un’opera d’arte. Cerchiamo di razionalizzare e di capire il processo che sta dietro alle cose, ma la cosa più importante è la connessione che si stabilisce con il pubblico. Non solo nello stimolare l’intelletto, ma anche nel creare un legame e permettere alle persone di divertirsi. L’aspetto principale è la capacità dell’opera di ampliare i nostri orizzonti e di permetterci di reinterpretare la realtà. Il processo in sé – schizzi, materiali, fasi di produzione – varia enormemente da un’opera all’altra, ma non sostituisce mai il risultato finale, mai. Non dovremmo razionalizzare così tanto l’arte. Dovremmo godercela di più.

JoanaVasconcelos_BigBooby#32016_ AJV © Atelier Joana Vasconcelos

Quanto sono femminili e quanto sono femministe le tue opere? E quale è secondo te la più femminista o la più femminile?

Sono una femminista, sì, ma mi interessa il femminismo dal punto di vista dei diritti umani e dell’uguaglianza tra gli individui. Mia nonna ha avuto una grande influenza nella mia vita e mi ha spinto a credere nell’importanza di lottare contro gli stereotipi. Lei avrebbe voluto diventare una pittrice ma, negli anni Cinquanta, le donne non potevano essere artiste o studiare arte all’università: ci si aspettava che le ragazze si sposassero giovani, avessero figli e si occupassero della famiglia. Era quello che la società si aspettava che facessero, e così fece anche mia nonna. Ancora oggi, in alcune parti del mondo, le donne non sono libere di inseguire i propri sogni. Quando ho detto a mia nonna che volevo diventare un’artista, lei mi ha incoraggiata. Se non mi avesse aiutato a capire l’importanza di essere critici nei confronti della realtà e che, a volte, le norme tradizionali di genere devono essere infrante, forse non sarei mai arrivata dove sono oggi. Sono stata la prima donna a fare molte cose e ho visto altri fare molte cose per la prima volta. Nel 2005, la mia prima partecipazione alla Biennale di Venezia, la prima, nei suoi 110 anni di storia, ad essere curata da donne; nel 2012, sono stata la prima donna e la più giovane artista ad avere una mostra personale allo Chatêau de Versailles; nel 2018, sono stata la prima donna portoghese ad avere una mostra personale al Guggenheim.

È il 2022, ho 50 anni e mi sconcerta il fatto di essere stata la prima a fare tutte queste cose. Ci sono state tante altre grandi artiste prima di me che non sono state riconosciute per il loro lavoro. Questo mi sembra allo stesso tempo un privilegio e una responsabilità. Tuttavia, non lo vedo come un motivo per autocompiacermi. Mi chiedo perché alle altre donne, prima di me, non sia stata data questa possibilità e mi rendo conto del lavoro che ancora deve essere fatto prima che uomini e donne abbiano lo stesso trattamento nel mondo dell’arte. So che se fossi stata un uomo, forse, avrei potuto ottenere altri risultati o alcune situazioni sarebbero state più facili. Il predominio maschile nel mondo dell’arte si spinge fino al punto in cui alcuni materiali – come il ferro o il legno – sono considerati abbastanza nobili per la creazione artistica e altri – come il tessuto o il ricamo – non lo sono. Essere un’artista donna è difficile come essere una donna in qualsiasi altro campo, perché viviamo ancora in un “mondo di uomini”. Ma nell’ultimo secolo abbiamo fatto progressi molto rapidi, quindi sono fiduciosa per il futuro.

Il mio lavoro consiste essenzialmente nel rompere le barriere e il suo taglio femminile è dovuto al fatto che sono una donna e questo condiziona la mia prospettiva. Credo che il valore delle mie opere risieda nel loro essere abbastanza aperte da generare letture varie e diverse. Non intendo attribuire a priori un significato specifico alle mie opere. Quello che voglio davvero è che le persone si confrontino con una prospettiva critica che le induca a interrogarsi su ciò che le circonda. Voglio che le mie opere siano stimolanti e possano ampliare le prospettive delle persone. Scelgo oggetti domestici – un ferro da stiro, un telefono o una padella – e poi li porto in una nuova dimensione. È come il metamorfismo caratteristico delle donne. Se il ruolo tradizionale della donna come casalinga è stato trasformato, devo trasformare anche la casa stessa.

JoanaVasconcelos_CallCenter2014-2016_ LV-AJV © Luís Vasconcelos | Atelier Joana Vasconcelos

La scelta dei colori, alcuni materiali tradizionali, tecniche come l’uncinetto raccontano di un’artista globale nelle cui opere è però sempre presente il tuo Portogallo. Quanto e come influenzano la tua ricerca ed il tuo lavoro le tue radici culturali? Cos’è l’identità?

L’essere portoghese porta con sé molti elementi caratterizzanti. La geografia, lo stile di vita, la storia, il multiculturalismo e il modo in cui mettiamo insieme le cose, tutti i riferimenti collettivi che condividiamo come popolo. È questo che determina la nostra cultura. E poi ci sono alcune cose peculiari, come la luce. In Portogallo la luce è bianca e questo ha un impatto profondo sul nostro spettro cromatico, sul nostro modo di rapportarci al colore che, per esempio, è molto diverso da quello del nord Europa. Questo si riflette nella scelta dei colori utilizzati nel mio lavoro. Inoltre, la policromia vuole essere una contraddizione alle nozioni stereotipate e ai luoghi comuni che derivano dai quattro decenni di dittatura che il Portogallo ha attraversato. C’è questa immagine pesante di un Paese carico di negatività, dove le donne si vestivano di nero e tutto ciò che rimaneva era il Fado e la nostalgia. I colori del mio lavoro non solo derivano dall’accostamento di molti oggetti e simboli di diversa provenienza, ma suggeriscono anche un maggiore senso di apertura al mondo. Quindi, le tradizioni portoghesi e l’uso di elementi locali possono spesso fungere da punti di partenza per il mio lavoro, ma sono più interessata a mostrare come questi siano in grado di comunicare al di là del mio ambiente. Sono punti di partenza per affrontare questioni che sono universali.

JoanaVasconcelos_Finisterra2018_ FE-KR © Fred Ernst | Courtesy Kunsthal Rotterdam

Quando hai capito che saresti diventata un’artista? Quale è stata la tua prima opera?

Essere un artista significa adottare un modo molto speciale e libero di relazionarsi con il mondo. Il diventata artista non è stata una decisione, ma qualcosa che è accaduto e che ho accolto. Come risposta a questa chiamata, cerco di fare del mio meglio ogni giorno. Per cominciare, ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia con una grande passione per la cultura, sono stata esposta all’arte fin dalla nascita e sono stata incoraggiata a perseguirla. Durante la mia giovinezza, non ho mai pensato di diventare un’artista, ho preso in considerazione molte opzioni, ho sperimentato diversi settori come la gioielleria e il design. Alla fine, curiosamente, mi sono dedicata alla scultura. Ma è stato un processo. Cercavo la mia strada e in quella ricerca ho finito per trovare la mia direzione. Non è mai stato qualcosa che ho deciso io. È successo. La scoperta di poter vivere della mia arte è avvenuta solo nel 1996, quando ho venduto la mia prima opera, Flores do Meu Desejo.

JoanaVasconcelos_Gateway2019_APM-JA © Allan Pollok-Morris | Courtesy Jupiter Artland

Le tue sculture sono state esposte in contesti molto differenti, alcuni di questi – penso ad esempio alla Reggia di Versailles – caratterizzati da una forte personalità. Quali sono le difficoltà di relazionarsi con spazi sempre diversi per opere di grandi dimensioni come le tue? Quale rapporto vuoi instaurare tra i tuoi lavori e lo spazio che li ospita?

Il mio lavoro è influenzato principalmente dall’osservazione critica della realtà che mi circonda e intende mettere in discussione il modo in cui ci relazioniamo con il mondo. Sono molto interessata ai comportamenti della società contemporanea, agli oggetti quotidiani di cui ci circondiamo e al loro significato. È quindi molto importante che il mio lavoro interagisca e dialoghi non solo con il pubblico, ma anche con i luoghi in cui viene esposto. Infatti, una delle caratteristiche che definiscono la mia opera è la sua capacità di dialogare con il luogo in cui viene presentata, sempre con l’obiettivo di esplorare tutto il potenziale che uno spazio, la sua architettura e la sua atmosfera possono offrire. Il contesto che l’architettura può offrire alle opere d’arte è sempre importante e mi ispira enormemente.

In un certo senso, il sito influenza la mia arte; com’è avvenuto quando mi sono confrontata con i ricchi contesti di Palazzo Grassi o Palazzo Nani Bernardo Lucheschi a Venezia, la Torre di Belém a Lisbona, il Ponte D. Luís a Porto e, naturalmente, la Reggia di Versailles. Versailles, fino ad ora, è stata una delle sfide più grandi della mia carriera. Esporre in un contesto così straordinario e riuscire a comunicare con un pubblico internazionale così vasto è incredibile per qualsiasi artista. Ma sono sempre felice di sperimentare location diverse, come da Mimmo Scognamiglio a Milano, dove ho creato Stupid Furniture una mostra davvero intima, la prima nata dopo la reclusione dovuta alla pandemia. Oppure la creazione di un grande Cuore fiammeggiante, pezzo centrale per la mostra collettiva Interazione Napoli, che ha portato l’arte contemporanea in un edificio storico. O l’installazione di The Crown a Siracusa, in dialogo con i pezzi architettonici del museo archeologico e con un idolo delle Cicladi risalente a 5.000 anni fa, un’altra esperienza straordinaria.

JoanaVasconcelos_GoldenValkyrie2012_LV_AJV © Luís Vasconcelos | Atelier Joana Vasconcelos

Il tuo lavoro ti ha portato a sperimentare collaborazioni al di fuori dell’arte contemporanea – moda, design e, in fieri, architettura. Quale bilancio di queste esperienze e quale hai sentito più affine a te?

La collaborazione tra artisti e mercato è antica quanto la storia dell’arte e contribuisce al sostentamento di pittori, scultori o artigiani. È un legame naturale, con un’espressione culturale, sociale ed economica. Nel corso della mia carriera ho avuto il privilegio di affrontare sfide molto interessanti come, per esempio, la progettazione di un padiglione per Swatch a Venezia, la creazione di francobolli per le poste portoghesi o di una borsa per Dior. Ho lavorato con Roche Bobois, Toyota e Louis Vuitton. E molti altri marchi portoghesi o collaborazioni che integro regolarmente nel mio lavoro, come Bordallo Pinheiro e Viúva Lamego. Considero ogni progetto come una nuova opportunità per esplorare tecniche, materiali o concetti. La cosa più importante è che io mi identifichi con i valori del marchio. Non molto tempo fa ho aderito alla campagna Zero Waste di Stella McCartney. Ho conosciuto Stella in occasione di una mia inaugurazione nel 2015 a Londra e mi sono identificata fin da subito, non solo con le sue creazioni di moda dal gusto squisito, ma anche con i suoi valori a favore della tradizione, della manualità, del rispetto dei materiali, della pratica del riciclo e della difesa del pianeta. Alla fine ogni esperienza è diversa dalla precedente ma il risultato di ciò che si costruisce insieme è edificante e sono sempre pronta per una nuova sfida.

JoanaVasconcelos_Lilicoptere2012_ LV-AJV © Luís Vasconcelos | Atelier Joana Vasconcelos

Qual è, nel tuo caso, il rapporto tra artista, opera e pubblico?

Ho esposto il mio lavoro in diversi Paesi e culture e sono stata fortunata per il modo in cui i diversi interlocutori l’hanno accolto. È molto interessante osservare la varietà delle reazioni e il diverso approccio delle persone al lavoro, a seconda del loro background culturale. Più che un semplice fruitore, il pubblico svolge un ruolo attivo e importante nel discorso che circonda il mio lavoro. È molto interessante osservare i modi in cui le persone si confrontano con i miei lavori e quanto diverse possano essere le reazioni e le percezioni di una stessa opera. Di solito vi è un primo sguardo che ne cattura la fisicità, che spinge il pubblico a esplorarne la superficie, i materiali, i colori e le texture, e poi uno sguardo più profondo, attivato dalle tensioni e dalle dicotomie che abitano le mie sculture e che sollevano una serie di domande. Ad alcuni artisti piace spiegare il proprio lavoro o cercare di inquadrarlo, ma io preferisco non farlo. Trovo più interessante permettere alle opere d’arte di creare una relazione che sia aperta all’interpretazione, consentendo letture e analisi differenti. Questa è la sua ricchezza.

JoanaVasconcelos_RoyalValkyrie2012_DP-RAA © David Parry | Royal Academy of Arts

Come prendono forma le tue opere? Ispirazione, sviluppo, materiali, tecniche: è un processo più istintivo o più dettagliatamente progettato?

La mia principale fonte di ispirazione è la vita: i simboli, gli oggetti di cui ci circondiamo, il comportamento delle società nella storia. Ciò che è trasversale nel mio lavoro è il ri-presentare e sovvertire tutto questo, al fine di generare nuovi discorsi e prospettive sulla realtà. Decontestualizzo gli oggetti appartenenti a un determinato ambiente e li contestualizzo in un altro spazio e in un altro tempo, sovvertendo il loro significato e ampliando così il loro campo di interpretazione. Quello che è considerato familiare diventa qualcosa di nuovo.

Lavori diversi comportano sfide diverse ma, in ogni caso, si tratta di un processo sia istintivo che pianificato al dettaglio. Il processo inizia con un’idea/concetto che viene abbozzata sul mio taccuino. Poi si trasforma in un progetto elaborato dai diversi team del mio studio Il mio modo di essere artista è forse più vicino a quello di artisti come Rubens o Velásquez, i cui studi erano composti da team specializzati in diverse tecniche. Oggi la posizione dell’artista è invece legata all’idea di una personalità solitaria, che si isola dal mondo per creare. Attualmente, ho circa 50 persone che lavorano con me ogni giorno per assicurarsi che il processo proceda dall’inizio alla fine. Il mio lavoro non sarebbe possibile senza un’attenta pianificazione e senza lo sforzo di tutto il mio team.

Hai raggiunto grandi traguardi, un percorso che continua di successo in successo. Ma c’è un sogno che ancora non hai realizzato?

Il mio obiettivo è continuare a lavorare e fare bene il mio lavoro. Ho una gran voglia di vivere e di continuare a creare. Ho ancora molti sogni da realizzare, ma uno, in particolare, è quello di aprire il mio studio alla comunità e al mondo, trasformandolo contemporaneamente in un laboratorio e in un museo. Ho iniziato a sviluppare questo progetto che sorgerà lungo il fiume a Lisbona e si chiamerà “Atelier Museu Aberto”.

Barbara Pavan

English version Sono nata a Monza nel 1969 ma cresciuta in provincia di Biella, terra di filati e tessuti. Mi sono occupata lungamente di arte contemporanea, dopo aver trasformato una passione in una professione. Ho curato mostre, progetti espositivi, manifestazioni culturali, cataloghi e blog tematici, collaborando con associazioni, gallerie, istituzioni pubbliche e private. Da qualche anno la mia attenzione è rivolta prevalentemente verso l’arte tessile e la fiber art, linguaggi contemporanei che assecondano un antico e mai sopito interesse per i tappeti ed i tessuti antichi. Su ARTEMORBIDA voglio raccontare la fiber art italiana, con interviste alle artiste ed agli artisti e recensioni degli eventi e delle mostre legate all’arte tessile sul territorio nazionale.