La latente presenza del corpo nelle opere tessili di Judy Rushin-Knopf
Traduzione a cura di Eleonora Lo Prato
di Ivy Brown*
Il processo della taftatura richiede all’artista di lavorare sul retro della tela. Quest’inversione va perfettamente d’accordo con la predilezione dell’artista Judy Rushin-Knopf per i processi lunghi e dall’esito aperto.
Anche quando lavorava con materiali pittorici più convenzionali durante gli anni di formazione come pittrice, preferiva tele che le permettessero di utilizzare un processo indeterminato e provvisorio. Nelle sue superfici tessili “tufted”, questo punto di accesso dalla ‘parte opposta’ assume un significato metaforico.
Nel 2014, suo marito si è ammalato di un tipo di linfoma raro e aggressivo. I lunghi periodi in ospedale accanto a lui li hanno fatti entrare a contatto con quello che Susan Sontag chiamava “il regno del malato” e con quel senso di tempo non lineare che lo caratterizza. Rushin-Knopf ha iniziato a realizzare un lavoro radicalmente diverso che diceva essere stato suggerito da un personaggio immaginario proveniente da una dimensione parallela o una sequenza temporale alternata. Questo personaggio chiamato W.C. Wen, era un suo ex studente i cui lavori erano plagiati, invidiati e collezionati dall’artista. Wen vive nel passato, presente e futuro. È interessante notare che gli alter-ego hanno una lunga storia tra gli artisti di tutti i tipi. Gli artisti li creano per varie ragioni, una delle quali è essere liberi di sperimentare un altro lato di sé stessi. Organic Honey di Joan Jonas e Theaster Gates di Shoji Yamaguchi ne sono due esempi contemporanei. Il personaggio di W.C. Wen ha permesso a Rushin-Knopf di lavorare su questo nuovo tema.
Peter Schjeldahl diceva “la morte è come la pittura piuttosto che come la scultura, perché è vista da una sola parte”. I tessuti di Rushin-Knopf vivono da qualche parte tra il dipinto e la pittura e se accettassimo la metafora di Schjeldahl, potremmo dire tra la vita e la morte.
La planarità delle opere può essere spessa o sottile. Sono lavorate sul retro e sul davanti. Sono bidimensionali ma qualche volta l’artista le dispone al centro della stanza, così da poter essere osservate da entrambi i lati. Sono di colore blu, colore che può essere ricollegato alla tristezza o alla tranquillità. Sono opere spedite da un altro mondo e un’altra artista, quest’artista rappresenta un altro lato di Rushin-Knopf.
Nell’assistere il marito nel suo percorso verso la dimensione unica del ‘malato di cancro’, ha rivolto dapprima l’attenzione al camice ospedaliero del paziente, concentrandosi sulla planarità e inefficacia di questo indumento a coprire il corpo, come simbolo degli effetti deprimenti della malattia sull’identità sociale. Durante i mesi successivi, l’artista ha esplorato come gli abiti, e la moda in generale siano allo stesso modo efficaci e inefficaci nel rilevare l’identità. Il fatto che Rushin-Knopf utilizzi i materiali del vestiario per rappresentare gli abiti piuttosto che realizzarli – la sua insistenza sulla planarità, sulle simmetrie sfasate, sui capi parzialmente arricciati e sull’assenza del corpo – parla della fantasia della moda tanto quanto della natura disumanizzante del camice ospedaliero.
Se l’abito d’ospedale rappresenta la debolezza, la tuta hazmat rappresenta la forza. Dopotutto, la medicina dell’Occidente considera i corpi malati come anormali e anti-conformi, come adolescenti ostinati a cui serve solo un po’ di disciplina. Rushin-Knopf gioca con questa percezione, seppur errata, suggerendo che, come il fisico di un essere umano si trasforma, anche la sua natura psichica lo fa. Nel suo mondo le tute hazmat diventano tristi palandrane, grossi sovrapantaloni in lana lasciano scoperto il posteriore, e la camicia abbottonata è ridotta a una triste imitazione di moda.
Schjeldal descrivendo la sua difficoltà a rappresentare la sua stessa malattia dice che la morte è “monocromatica – come il triste grigio dell’ex Muro di Berlino, che i ragazzi nella Berlino Ovest cercavano di rendere glamour con i graffiti”.
Così come Schjeldahl, Rushin-Knopf vuole conoscere la dimensione del paziente. Le opere di Rushin-Knopf viste integralmente suggeriscono l’assenza del corpo e la malinconica devoluzione dell’integrità fisica causata dalla malattia – che l’artista ripristina attraverso il colore.

“INCH Coat”, photo cr. Judy Rushin-Knopf, copyright Judy Rushin-Knopf
Rushin-Knopf preferisce dipingere le sue opere piuttosto che usare il filo colorato perché così facendo il tessuto funge da armatura per tratti fluidi e spontanei. L’attuale corpus delle sue opere è caratterizzato prevalentemente dal colore blu alternato a punte di giallo acceso o arancio color ruggine. Nel 2011 ha realizzato una serie di dipinti monocromatici basati su tonalità del blu ispirate da una foto del cielo Mediterraneo. Suo figlio, di 10 anni, mentre aveva preso l’influenza aveva ritagliato la foto da una rivista perché gli piaceva e lo faceva sentire meglio, così l’artista ha realizzato una serie di 10 dipinti di piccole dimensioni su tavole rotte (per evocare i corpi spezzati), ognuna di queste opere pendeva verso il basso in modo da essere osservata da una seria fornita dall’artista stessa. Queste piccole meditazioni scaturite dalla febbre sono state intitolate Neti Pots For Your Eyes. Mentre i pannelli costituivano un riferimento esplicito alla natura stessa del corpo, i tessuti rimandano a ciò che il corpo desidera.

“Semitic”, photo cr. Judy Rushin-Knopf, copyright Judy Rushin-Knopf
Per realizzare le sue opere è imprescindibile una maggiore dose di forza fisica rispetto anche a quella dei suoi vent’anni. Giunta alle soglie dei sessant’anni, Rushin-Knopf trascina le sue voluminose opere tufted all’esterno e le lava con il tubo per prepararle ai colori acrilici e alle tinture che usa per dipingere. L’artista descrive questa fase del suo processo creativo come un incontro di lotta, in cui con tutta la forza del corpo cerca di spostare questi ‘tappeti’ bagnati che, a seconda delle dimensioni, diventano incredibilmente pesanti.
Versa e spruzza le tinture e i colori oppure immerge parti della superficie tessile in piccoli barattoli di vernice.
Poi cammina sulle spesse superfici sovrapposte per impregnare le fibre di colore.
“Collar”, photo cr. Judy Rushin-Knopf, copyright Judy Rushin-Knopf

“Collar”, photo cr. Judy Rushin-Knopf, copyright Judy Rushin-Knopf

“Collar”, photo cr. Judy Rushin-Knopf, copyright Judy Rushin-Knopf
Il risultato, secondo il critico Logan Lockner di Burnaway, consiste in una presenza persistente di corpi assenti – non soltanto mediante la forma implicita di un corpo bensì anche attraverso le qualità materiali dei tessuti dispiegati.
Sappiamo tutti quanto sia precario l’equilibrio tra forza e debolezza, salute e malattia. Per Rushin-Knopf, ogni momento in cui è necessario lottare ci ricorda che tutti i corpi cercano l’equilibrio. Esercitare, ferire, guarire, ripetere.
Oppure, per chi è all’inizio ferire, resistere e forse morire ridendo.
* IVY BROWN e la sua galleria d’arte in New York
La Galleria Ivy Brown è stata fondata nel 2001 dopo gli attentati dell’11 settembre, con l’obiettivo di aprire le porte della galleria alla comunità. La Galleria rappresenta ed espone l’arte contemporanea in ogni sua espressione. Impegnata a sostenere artisti emergenti e affermati, Ivy Brown calca la scena delle Belle Arti forte della sua esperienza nel mondo delle arti commerciali. La Galleria cura inoltre mostre in tutta la città di New York. La dedizione di Ivy per l’arte e il ruolo critico che svolge nella comunità degli uomini rappresentano la forza trainante alla base della galleria.