La Rubrica di Tullia

La via della seta e le vie del vino

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Per parlare di tremila, quattromila anni fa ci vorrebbe un archeologo insigne perché bisogna risalire a quei tempi per sapere qualcosa a proposito di bachi da seta. Anche qui, come per molte altre scoperte importanti, scientifiche, fu il caso ad aiutare l’uomo ed era così straordinario che venne raccontato in forma di fiaba.

“…la giovane moglie di un benemerito imperatore della Cina, Lei-Tsu prendeva il tè nel giardino, sotto un gelso, un bozzolo cadde nella tazza e rimase immerso nel liquido caldo, lei lo prese tra le dita e quello cominciò a disfarsi in un lunghissimo filo che metro dopo metro arrivò a coprire dappertutto.”

Da quel momento in Cina si prestò molta attenzione e cura a quei vermetti che divoravano le foglie del gelso, si avvolgevano nella bava con strani movimenti diventando bozzoli preziosi, fonte di ricchezza. Quel filo, tessuto diventava il vestito degno di un imperatore e delle loro consorti e dei kimono per i samurai. Avevano scoperto come fare e tennero il loro segreto ben nascosto.

Per raggiungere le ricchezze del lontano Oriente uomini coraggiosi e viaggiatori curiosi crearono quella che si chiamò “La via della seta” un percorso che per mare, terre e fiumi, lungo 8000 km., congiungeva Oriente e Occidente, da Bisanzio al lontano Giappone. All’epoca di Giustiniano alcuni monaci avevano già trafugato e portato in Italia i bozzoli e esemplari della pianta, il gelso, di cui i bachi si nutrivano.

Eravamo già nel XIII secolo e Marco Polo e la sua famiglia, viaggiatori indefessi, avevano già percorso più volte “La via della seta” e imparato la tecnica cinese dell’allevamento dei bachi.

Le regole dell’allevamento e della filatura si tramandarono per secoli, non solo nel Veneto ma in Lombardia, in Toscana e nelle Marche.Allevare i bachi divenne un’attività collaterale alla coltivazione dei vigneti e fu fonte di lavoro e di guadagno per alcuni secoli, finché non arrivarono macchinari industriali.

Archivio fotografico del Museo di Soave

Soave, Verona, il lago di Garda, dice molto agli amanti del buon vino, ma forse non sanno che in quelle campagne si allevavano i bachi da seta e oggi ancora si possono ammirare vecchi macchinari e depositi dove avveniva il laborioso procedimento di filatura e produzione del filo di seta.

La seta ha rappresentato da sempre un lusso nell’abbigliamento, nell’arredamento e così quei contadini arrotondavano i loro salari allevando bachi anche in casa, per esempio sotto il letto, dove i bachi trovavano condizioni perfette per svilupparsi, e coltivavano anche il “gelso/bombyx mori” di cui quei vermetti non si saziavano mai.

Proprio a Soave, dove i filari del vino, che porta il nome di “Gelso 300 anni”, sono sostenuti da piante di gelso, si conserva la memoria di quel periodo, e si può percorrere un itinerario in quel mondo contadino-artigiano perduto.

Ecco che le due vie si incontrano, una, quella del vino in espansione e l’altra, della Seta, ormai oggetto di turismo.

Col recente tramonto dell’industria della seta, in Italia in particolare, la coltivazione del gelso si è fortemente arrestata e la specie rischia l’estinzione.

In tutta Italia da nord a sud numerose sono le eccellenze in questo campo: sarebbe un lunghissimo elenco da Como a Firenze a Caserta, fino in Calabria e Sicilia, dove il mondo contadino e industriale nel tempo hanno lasciato dietro di sé numerosi luoghi e memorie di questa arte.

Ci sarebbero ancora un milione di cose da dire su questa storia affascinante, milioni come il numero delle falene che devono essere soppresse prima che buchino il bozzolo distruggendolo. Nella storia della bellezza di questo mondo, le scoperte umane come la produzione di un bene così pregiato, costa la vita di tanti esseri viventi, proprio di quelle falene perché ci vogliono dai quattro agli otto bruchi in metamorfosi per produrre un solo filo di seta “cruda”.