Interviste

Le armonie ricamate di Matteo Nasini

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Dalle note ai colori. Dal contrabbasso alle sculture e poi agli arazzi. Dalle armonie musicali alle armonie ricamate. Il percorso di Matteo Nasini è particolare, così come la sua persona, artista poliedrico. Da piccolo disegna ma suona anche il flauto. Osserva il riverbero della luce dalle finestre ma canta in un coro. Il disegno non sfocia da nessuna parte, la musica sì. Si appassiona e si diploma al contrabbasso, prima al conservatorio di Latina e poi di Roma. Segue un’ottima carriera che culmina quando entra a far parte dell’orchestra di Riccardo Muti, quella che il Maestro fondò dopo aver lasciato la Scala. Con Muti suona e gira il mondo per circa tre anni. Nel frattempo però Matteo continua a disegnare, con temi ricorrenti, ma tutto rimane appeso all’interno di se stesso. Poi la crisi, verso i 30 anni, e il desiderio di darsi completamente all’arte e di fermarsi a Roma. Decide di licenziarsi dall’orchestra. “Come? Suoni con Muti e lasci tutto?”. In pochi lo capiscono. Uno di quei pochi è proprio Muti che gli dice: “Vai e torna quando vuoi!”.  Davvero un buon augurio, detto da uno dei più grandi direttori d’orchestra del mondo. Un augurio che portò fortuna a Matteo: dieci anni dopo sono le sue opere che girano il mondo. Lui si è fermato a Roma e ha avuto una figlia.

Principio Selvatico, 2018 Wool, fabrics 420 x 270 cm Photo: Marco Davolio Courtesy: Clima Gallery, Milan

Uno dei lavori tessili di Matteo Nasini che viaggia di più è ‘Principio Selvatico, Splendore Neolitico’ un grande arazzo che misura quattro metri per tre. Fino a novembre è stato in mostra in Francia a Mrac, nell’Occitania, all’esibizione Chemins du Sud, che riunisce artisti di diverse epoche che hanno in comune la distanza ideologica dalle megalopoli e dalla freddezza industriale. Artisti-artigiani che mettono al centro l’uomo, le sue radici, e una riflessione sul tempo.

Splendore Neolitico, 2018 Ambiental dimension, Installation view at Centro Arti Visive Pescheria, Pesaro Photo: Michele Sereni Courtesy: Centro Arti Visive Pescheria and the artist

Nell’opera “Principio Selvatico, Splendore Neolitico” le ‘radici’ e il tempo, lontanissimo, sono proprio evidenti.  Il panorama è ancestrale, la natura primordiale, con i suoi vulcani, I fiori colorati e tanto verde. L’arazzo è tutto ricamato a mano, in un laboratorio che, senza farlo apposta, per un guasto dell’impianto elettrico, non aveva corrente. Matteo lavorava insieme ad un’altra persona. Iniziavano davanti a una grande finestra. Era inverno, si partiva verso le 8, con la luce del giorno e si finiva alle 16, quando arrivava il buio, come accadeva un secolo fa. “Non potevo mandare una mail, non avevo il frigo, però potevo ricamare”, mi racconta. Ci sono voluti mesi per completare l’opera. Alla fine la luce è tornata, ma il periodo più bello, ricorda lui, è stato quello ‘pre-industriale’.

“Principio Selvatico, Splendore Neolitico’, in precedenti mostre, ha accompagnato la performance di Matteo Nasini sul periodo ‘Neolitico’.

Tenda Vestigia, 2018 Ambiental dimension, Installation view at Centro Arti Visive Pescheria, Pesaro Photo: Michele Sereni Courtesy: Centro Arti Visive Pescheria and the artist

Il Giardino Perduto, 2017 wool, wood Ambiental dimension Leclere centre d’Art, Marseille Photo: Swann Fourmancy Courtesy: Southway Studio, Marseille

“Quello del Neolitico è un lungo lavoro ma anche una riflessione sull’origine del suono” mi spiega. “Ho voluto ricostruire gli strumenti primordiali. Grazie al museo di Storia Naturale di Verona, ho potuto scansionare in 3D, e ricostruire con le moderne tecnologie, le ossa di animali estinti, anche di 30mila anni fa. Una volta ricostruiti ho potuto ascoltarne il suono e farne un’armonia che ho mostrato in pubblico”. Matteo mi fa sentire il suono di questi strani strumenti…”Neolitic Sunshine”.

Ma torniamo ai tessuti ricamati. Matteo parte da un disegno. Da immagini semplici con il loro tema ricorrente, che arrivano dalle sue fantasie.

Piango Rosa, 2011 163 x 130 cm wolo, fabrics Photo. Giorgio Benni Courtesy: Clima Gallery, Milan 

 La sua prima opera è stata “Piango Rosa’. L’immagine di questo cavallo patchwork che piange fili rosa lo accompagnava da mesi, fino a che non ha deciso di ricamarla. “Ho cominciato pensando che volevo coprire il disegno” racconta. Matteo si è ricordato di sua nonna, sarta e ricamatrice per le Sorelle Fontana, una casa di moda molto conosciuta negli anni 50 e 60. Matteo però non aveva mai ricamato. Totalmente da autodidatta ma con un background assorbito inconsapevolmente in famiglia, ha preso la lana acrilica e ha cominciato a coprire il disegno. Un filo sopra l’altro, come se fossero pennellate che si mettevano una sull’altra e che davano sempre piu’ volume.  Aggiungendo anche pezzettini di stoffa, e poi colorando e rimarcando con il filo. “Ci ho messo un mucchio di tempo” mi dice. “Lo lavoravo ovunque. Mi portavo dietro la cornicetta e la coperta da ricamare”. E poi sottolinea: “Sì, c’è voluto veramente tanto tempo. Ora ho imparato e l’esecuzione è più veloce”.

Dal primo all’ultimo arazzo

Ecco la cornice con cui lavora, con cui ferma, con delle puntine, il tessuto bianco su cui ha trasportato il suo tema ricorrente.  Sotto alla cornice vedete, nella foto, un altro arazzo, Untitled, uno dei suoi ultimi lavori, del 2018. Lo fotografo nel suo laboratorio. Ecco prima il disegno, appeso alla parete.

Ecco “Patchwork Ball – Le cose non crescono al buio”. Questo speciale sacco da boxe, o pungiball, ha una storia tutta diversa. “L’ho realizzato perché ero stufo di arazzi da appendere al muro” mi dice Matteo. Perché questo titolo?  “Le cose non crescono al buio” significa perché per ottenere qualcosa bisogna sudare e lavorare tanto”.  Vero! Come il ricamare, che è un gesto ripetitivo e lentissimo, se si fa a mano e con cura. A Matteo piaceva l’idea del pungiball perché  voleva creare un oggetto che si può prendere a pugni ma anche abbracciare al momento del bisogno. L’idea si è materializzata in un’esplosione di verdi, rosa, azzurri, gialli, marroni e ocra.  E’ venuta fuori un’opera viva.

Le cose non crescono al buio, 2012 150 x 50 cm Photo: Giorgio Benni Courtesy: Federica Schiavo Gallery and the artist

Questo arazzo è ancora ambientato in un modo lontanissimo: si ispira alla visione di San Francesco sul Monte della Verna, nel 1224. L’opera  ”La Verna”  è stata esposta fino a novembre nell’ex abbazia di cistercense di Fontfroide, nel sud della Francia, e ora acquisita dal Mrac, Museo di arte regionale contemporanea dell’Occitania (Francia). Narra la leggenda, che sul monte dove sorge ora il santuario della Verna, in provincia di Arezzo, San Francesco ricevette le stigmate due anni prima di morire. Ebbe una visione di Dio sotto forma di angelo Serafino crocifisso che imprime i segni della passione di Gesù. “Una visione anche terrificante. Perché il Serafino ha le ali di fuoco. Incontrando Dio San Francesco vede il fuoco, vede l’inferno”.  Matteo ha ricreato il punto di osservazione di San Francesco, escludendo la sua figura dall’immagine.  C’è la montagna un po’ a spirale, ci sono i fulmini che danno movimento. E poi c’è il fuoco che fa da sfondo ma che è anche protagonista. Ho inserito anche fili d’oro che danno un tono cangiante, riflettente la luce”.

La Verna, 2019 Wool, fabric 140 x 80 cm Photo: Matteo Nasini

il percorso d’artista comprende anche opere molto geometriche, architettoniche, come le istallazioni colorate e tirate tra gli alberi dell’Orto Botanico di Palermo.

Line 3, 2015 Wool Ambiental dimension Photo: Alessandro di Giugno Courtesy: Museo delle Palme and the artist

Ecco un’opera morbida, dolce. Al tatto e alla visione. Si intitola Sleepy Night. Nasce da un “sogno un po’ buffo” spiega l’artista. “Ho sognato una carovana in mezzo al deserto, nella notte.  Passa vicino a me ma io non la seguo. Tocco per terra e i sassi sono morbidi. Passa una persona che mi spiega che di notte i sassi sono così!. Allora mi sono svegliato con questa immagine di una “Notte Addormentata, Sleepy Night”, e realizzato una sorta di cielo che si addormenta sulla montagna. Ci sono pianeti, stelle, soli”. Ne è venuta fuori un’opera grande, sei metri, internamente di gomma piuma, esternamente ricamata a mano.

Sleepy Night, 2014 wool, fabrics, foam rubber 110 x 300 x 180 cm Photo: Giorgio Benni Courtesy: The Gallery Apart and the artist, Rome

Nel corso degli anni, 10 da quando ha lasciato l’orchestra di Riccardo Muti, Matteo Nasini ha esplorato vari modi di espressione con il tessuto e con la musica. In qualche caso li ha messi insieme come nel concerto sul “Neolitic Sunshine” e come in quello che ha organizzato alla Galleria d’Arte Moderna di Roma nel 2017 e che continua a mettere in scena:  Sparkling Matter.

“Ho progettato un software che trasforma i dati dell’attività cerebrale in segnali audio. Quindi ho collegato l’encefalogramma ad una persona addormentata.  16 elettrodi diventano 16 segnali audio che, a seconda della fase del sonno, creano armonie diverse. In certi momenti sono suoni molto dilatati. In altri più energici. Lo Sleep Concert inizia con una persona che si addormenta e poi chi vuole si aggrega.  Il primo a dormire – mi spiega Matteo – è “un’addormentatore professionista. Gli altri possono rimanere ad ascoltare le armonie create dal sonno del dormiente in tempo reale e propagate con gli altoparlanti”. Ogni altoparlante è associato a un elettrodo diverso dell’encefalogramma. 

Ecco un esempio dell’audio che ne può uscire fuori:

https://matteonasini.bandcamp.com/album/sparkling-matter

Non solo. Le onde cerebrali collegate sono diventate anche delle sculture. E per collegare il tessuto, nell’occasione sono state create da Matteo coperte con stoffe stampate in digitale dai suoi disegni e poi tessuti sul pile. Il progetto Sparkling Matter ha ricevuto il Talent Price 2016,  ed è stato presentato anche al Palazzo Fortuny durante la Biennale dell’Arte di Venezia nel 2017.