Lia Porto
*Foto in evidenza: LA PIEL QUE ME ABRIGA (THE SKIN THAT WARMS ME UP). Acrilico, pittura dimensionale per tessuti, ricamo a mano, ritagli, cucito a mano, su tessuto, 120 x 110 cm, 2022, ph.cr. Ignacio Iasparra, copyright Lia Porto
Artista visuale di origini argentine, Lia Porto, consegue una laurea in materie giuridiche che la porta ad esercitare, in una prima fase della propria vita, la professione di avvocato. Successivamente l’artista decide di lasciare spazio alla vocazione per l’arte. La pittura diventa il punto di partenza di un nuovo percorso di studi presso laboratori di pittura ma anche di arte tessile e incisione.
Decostruendo la tradizionale nozione di pittura, Porto crea opere tessili stratificate e complesse, con cui affronta questioni legate all’identità culturale, alle influenze transculturali, ai ruoli di genere, alla memoria, alle norme sociali.
Le sue opere sono state esposte in numerose mostre internazionali in Argentina e Stati Uniti, ottenendo importanti riconoscimenti e premi.
http://liaporto.com/
https://www.instagram.com/liaporto_art/?hl=es-la

Come è iniziato il tuo percorso nel mondo dell’arte? Quando hai capito di essere un’artista?
Ho iniziato a esprimermi attraverso la scrittura fin da bambina. Ricordo che scrivevo poesie già a 7 anni. A 12 anni ho scritto un libro con un amico intitolato Poemas de a dos. Era un libro molto semplice, una specie di raccolta con le nostre poesie e alcune illustrazioni realizzate da una coppia di amici.
Per molti anni mi sono sentita una poetessa, ma a un certo punto ho sentito che le parole erano insufficienti e ho iniziato a dipingere. La scoperta della pittura è stata un punto chiave della mia vita, una scoperta sorprendente.
Quali sono le tematiche che indaghi attraverso il tuo lavoro di studio e ricerca artistica?
Ho sempre pensato molto alla natura e a come agiamo essendo parte di essa, come abitiamo il mondo, come coesistiamo. Per molti anni ho lavorato con alcuni aspetti utopici della natura. Poi, man mano che ho decostruito la nozione di pittura nelle sue forme tradizionali e ho incluso il tessile nella mia pratica, ho anche approfondito la mia esplorazione di altri aspetti della natura, come il suo rapporto con il mondo domestico, che è per me uno spazio primordiale ed essenziale. I tessuti mi permettono di entrare in contatto diretto con gli elementi che derivano da questo spazio. Sono molto consapevole dell’informazione incorporata nella materia. Utilizzando materiali di recupero, apro un dialogo con ciò che è impresso nel materiale stesso.
In alcuni recenti lavori ho esplorato crocevia culturali e influenze transculturali. Il mio obiettivo era di testare nelle opere la possibilità di coesistere collaborando, e l’idea di ampliare la gamma di un particolare elemento culturale entrando in contatto con qualcosa di diverso. Allo stesso tempo, sono convinta del fatto che gli elementi che ho raccolto e utilizzato nelle opere portino con sé ricordi impressi dall’uso. Quindi non lavoro solo con ciò che è visibile (come le immagini di un tessuto) ma anche con ciò che non è così evidente, come le emozioni e i ricordi che vi sono incorporati. Nel mio lavoro le opere hanno un proprio anacronismo, il mio intento è di estraniarli dal tempo cronologico. Appartengono a un presente che riunisce il passato e il futuro.
La mia esplorazione concettuale lavora su più livelli: dagli aspetti legati agli scambi culturali e alle influenze transculturali, alla memoria, al ruolo di genere, alle norme sociali e all’estetica.
In quale modo l’eredità culturale italiana della tua famiglia materna ispira la tua pratica e si riflette nel tuo lavoro?
I miei nonni erano italiani, avevo un rapporto molto stretto con mia nonna. È venuta a mancare quando avevo solo 4 anni. Al tempo abitavamo nella remota Patagonia, nell’Argentina del Sud. Avevamo in casa tutte le sue cose italiane, molti tessuti, la maggior parte fatti a mano: bellissime coperte, tende, tovaglie e persino i suoi abiti. Li consideravo il mio tesoro, e li ho sempre tenuti con me, anche i più piccoli ricami o i pizzi. Solo più tardi, quando ho iniziato a dipingere, mi sono resa conto di quanto fosse importante quel retaggio. La mia pratica pittorica veniva ispirata da quegli ornamenti e ricami, ma era nelle mie opere tessili, quando usavo quei tessuti ereditati, che si sviluppava maggiormente il legame intimo con il mio retaggio italiano, non era solo per la bellezza e la qualità di quei tessuti, ma soprattutto per il loro valore in quanto testimoni della vita e del tempo. Riconoscere il valore di questo materiale di casa come vettore di informazioni culturali ed emotive fa definitamente parte del significato del mio lavoro.

Le tue opere, pittoriche e tessili, sono ricche di immagini, ornamenti, citazioni e colori, hanno un forte impatto visivo e offrono interessanti punti di osservazione. Quale è il significato e il ruolo della decorazione, dell’ornamento in generale, in tutto il tuo lavoro? Questa estetica, densa di riferimenti, da dove trae origine?
Il ruolo principale nel mio lavoro lo svolge l’ornamento più che la decorazione. L’ornamento è un linguaggio visivo connesso ai ritmi e ai cicli della natura. Il termine greco “kosmos” comprende “universo”, “ordine” e “ornamento”. In un certo senso, l’ornamento è una forza che raccoglie e trasforma gli elementi in conflitto e crea una prospettiva del mondo in generale. Mi interessa anche la sua condizione di dipendenza, l’ornamento è sempre legato a qualcosa, manifesta interdipendenza, ha bisogno di un supporto. Come spiegavo prima, l’interdipendenza fa parte della mia ricerca visiva.
Per quanto riguarda invece l’origine della mia estetica così semanticamente densa, ritengo scaturisca dalla natura del procedimento che utilizzo e da come creo le mie opere. È un procedimento complesso, in qualche modo collegato al movimento naturale delle cose e a come crescono in natura.

Il processo di creazione di un’opera è per te un fatto istintivo o è più frutto di un preciso progetto?
Vedo il processo creativo più come un dialogo. In gran parte rimane a me sconosciuto, ma allo stesso tempo è fatto di passi stabiliti. Non perché abbia già un’idea di come si svilupperanno le cose, ma perché dedico tutta la mia attenzione al procedimento in sé.
Puoi parlarci di La Toma, installazione esposta nella mostra del 2018 curata da Chiachio e Giannone presso la Galería Pasaje di Buenos Aires? Qual è la genesi di quest’opera e quali i temi che esplori attraverso di essa?
L’installazione è una sorta di scena in cui la vegetazione sta per prendere possesso di una casa, e anche se non c’è un vero movimento si può percepire o dedurre che continuerà a farlo. L’elemento centrale è l’assenza, ed è a causa di questa assenza che il mondo naturale invade questo spazio. Stavo esplorando la nozione di permeabilità che collega il mondo naturale e la domesticità. Dal punto di vista umano, è un’esperienza di qualcosa che è fuori controllo. Da un’altra prospettiva c’è anche un riferimento ai ritmi e ai cicli, in particolare al ciclo della vita e della morte.
Quando ho iniziato a lavorare a La Toma stavo facendo una ricerca su rami e radici, in particolare osservando come interagivano con i confini e i limiti (come le recinzioni della strada). Ho scattato molte foto, ho fatto dipinti e disegni. Stavo anche realizzando alcuni pezzi ricamati a mano su tappeti. Avevo due vecchie poltrone a casa e ho iniziato a lavorarci. È stato un lavoro di un anno. Ho fatto tutto da sola usando solo le mani, ho ricamato le poltrone e le tende e ho creato molte radici nere usando tecniche di avvolgimento a mano, e poi ho lavorato sul tappeto, con alcuni dipinti e ritagli. Per l’installazione ho voluto inserire una teiera, due tazze e tanti vecchi libri, molti dei quali presi dalla casa dei miei genitori. Quando Chiachio e Giannone mi hanno invitato a far parte di “Tarea”, la mostra alla Galeria Pasaje 17, hanno voluto che l’installazione fosse in primo piano, in modo che potesse essere vista anche dalla finestra dalle persone che camminavano per strada. Come se gli estranei potessero intravedere una casa fuori controllo.

Quale tipo di relazione tra pittura e ricamo, esplori attraverso le opere della serie Embroidery? Questi lavori sono stati in qualche modo un punto di partenza per poi sviluppare il tuo lavoro tessile?
Considero la serie Embroidery (2010) come una delle prime esplorazioni esplicite di quell’ibridazione tra pittura e tessuto che ho ulteriormente sviluppato. Quella serie comprendeva un gruppo di grandi dipinti in cui lavoravo con immagini organiche integrate con una sorta di ricamo pittorico. C’è stato un altro momento chiave in questa esplorazione, nella realizzazione di una serie chiamata Pinturas con pliegues (2018-2020), quando ho tolto alcuni dipinti dalla loro cornice e ho iniziato a tagliarli e piegarli come se fossero tessuti.
A quali progetti stai lavorando in questo periodo?
Sto ultimando un’opera di grandi dimensioni a cui sto lavorando da molti mesi e sto anche sviluppando un’installazione.