Interviste

LIZ COLLINS

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*Foto in evidenza: Studio portrait, 2021. Photo by Joe Kramm


 

Liz Collins è un’artista multimediale con sede a Brooklyn, New York, ha conseguito un BFA e successivamente un MFA in Textiles al RISD. Dopo la laurea, ha lanciato il suo marchio di moda incentrato sulla maglieria che dalla presentazione in passerella a New York durante la settimana della moda ha raggiunto in pochi anni un successo internazionale e riconoscimenti dai media per la sua cifra innovativa.

Nel 2003 Collins è entrata a far parte della facoltà tessile di RISD, passando alla creazione artistica e alla consulenza e sviluppo del design per altri marchi. Il suo brand di moda si è trasformato in un’impresa basata su progetti, con occasionali incursioni nelle capsule collection. Nel 2013, lascia la facoltà per approfondire il suo percorso nell’arte e nel design. Da allora ha insegnato al SAIC, al MICA, al Pratt, al Parsons e al Moore College tenendo anche lezioni come artista e critica ospite in molte scuole. La sua ricerca si snoda in maniera fluida tra arte e design con una particolare predilezione per il medium tessile. Sue mostre personali si sono tenute a New York City – al Museum of Arts and Design, LMAK, Heller e BGSQD e alle fiere d’arte NADA, Collective e Spring Break – e in diverse sedi istituzionali e gallerie in ambito nazionale ed internazionale, tra cui Tang Museum (Saratoga Springs, NY), AMP (MA), Knoxville Museum of Art (TN), Gallery DLUL (Lubiana) e Rossana Orlandi (Milano). Innumerevoli le partecipazioni a progetti collettivi dal MoMA di New York alla NoLAB di Istanbul, a Kristin Hjellegjerde di Berlino fino alla Luis de Jesus di Los Angeles.
Il suo lavoro ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, tra cui una borsa di studio MacColl Johnson, una della Foundation for Contemporary Arts & ArtistRelief e il CeCARtsLink Grant che le ha consentito di realizzare la performance/installazione KNITTING NATION a Zagabria, in Croazia.
Collins è un Queer Art Mentor, membro dell’Advisory Board di Fire Island Art Residency e membro del Comitato Esposizioni del Leslie Lohman Museum. Nel 2021, il Museo Tang ha pubblicato la monografia Liz Collins Energy Field.

Plaid, 14,5 x 14 pollici, 2021, acrilico, cashmere, cotone, lurex, seta, lana. Images courtesy of the artist and Candice Madey Gallery
Brick Plaid, 14 x 13,5 pollici, 2021, cotone, mohair, seta, lana. Images courtesy of the artist and Candice Madey Gallery
Forcefield, 14 x 16 pollici, 2021, cashmere, cotone, lurex, seta, lana. Images courtesy of the artist and Candice Madey Gallery
Neverland, 15.5 x 14 inches, 202, cashmere, cotton, lurex, mohair, silk, woolNeverland, 15,5 x 14 pollici, 202, cashmere, cotone, lurex, mohair, seta, lana. Images courtesy of the artist and Candice Madey Gallery

Arte, moda, design e una pluralità di materiali e tecniche: in tutto questo il tessile è sempre presente. Cosa rende questo medium così speciale per te?

Sento che c’è tantissima magia nei tessuti, un’abbondanza di possibilità che non si esaurisce mai… sia nei materiali che nelle tecniche, c’è il potenziale sia per un’estrema intricatezza e complessità che per i gesti liberi e il caos… la malleabilità, il colore e una vasta gamma di texture e forme, tutto questo in un solo ambito mi sembra infinitamente stimolante.

Comunque, suppongo che lo stesso si possa dire di qualsiasi cosa, ogni artista può dire queste cose sulle aree di interesse e sulle ossessioni che lo spingono a creare. Ma quello che mi stai chiedendo riguarda me, il mio operare in aree diverse (arte, design) e sempre con i tessuti.

Ho imparato a conoscere i tessuti molto presto e penso che una delle verità fondamentali di me stessa sia legata al mio lignaggio familiare e all’affinità per il tessuto che scorre nelle mie vene. Discendo da persone che hanno fabbricato stoffe o fatto cose con le stoffe, quindi il tessuto è parte della mia eredità. Mia nonna era solita lavorare a maglia al cinema quando era una giovane donna negli anni ’20. L’altra mia nonna aveva un negozio di vestiti. Mio padre realizzava vele da regata con una macchina da cucire industriale. Sono cresciuta in un ambiente dove l’artigianato e il fai-da-te erano molto presenti. Mi sono appassionata all’uso di filati e stoffe, e anche se da giovane ho esplorato molti altri metodi per fare arte, dalla fotografia alla ceramica; nella tarda adolescenza quello che ho scoperto nel tessile mi ha aperto un mondo veramente magico e pieno di processi alchemici che mi avrebbero garantito una vita piena di creazione, in molte forme.

CRONEY, 2021, nylon, rete metallica, vernice al lattice, sedie ikea, rayon. CRONEY Una trasformazione di un vecchio gazebo allo Stoneleaf Retreat a Upstate New York, foto di Joe Kramm.

In questa fluidità di ambiti in cui hai lavorato qual è la differenza da un punto di vista dell’espressione della tua creatività e del tuo talento tra moda, arte e design?

Ho sempre avuto un’affinità con le persone creative che si muovono da un’area all’altra in modi che sembrano estesi, naturali e profondamente intuitivi e ho sempre sentito questo in me… che nell’arte c’è tanta libertà – si può davvero fare tutto, e non ci sono limiti. Quindi sta al creatore trovare gli spazi che si adattino alle idee. Il design ha spesso dei requisiti legati all’uso, per essere sicuri, ma c’è così tanta area grigia in quel concetto… quindi spetta alla persona che ha avuto le idee risolvere i problemi per soddisfare le esigenze di quell’oggetto o esperienza. Applico spesso il pensiero del design nelle mie installazioni artistiche perché sono spazi sociali e quindi legati all’uso – non mi sembra diverso o separato dal lavoro che sto facendo in questo periodo. Le cose che faccio e ho fatto in precedenza sono tutte parti di un lungo continuum di creatività; intrecciandosi meravigliosamente una cosa alimenta l’altra e le idee si muovono da un ambito all’altro.

A New York abbiamo appena avuto una meravigliosa mostra di Sophie Taueber Arp al MoMA che, insieme a Sonia Delaunay, è una delle persone a cui ho fatto riferimento e che ho ammirato per aver lavorato in modo solido attraverso le discipline nell’arte e nel design, con particolare attenzione ai tessuti. Vedo in loro ciò che vedo in me stessa, cioè una capacità di cambiare forma, di provocare e applicare le mie idee a qualsiasi area da cui mi sento attratta con passione, amore e visione.

Installation view: Strainer (version 3), 2017, nylon ropes, mdf, latex paint, part of the Energy Field installation. Image courtesy of the artist and The Tang Museum

Il colore è indubbiamente l’altra caratteristica immancabile dei tuoi lavori. Cos’è il colore per te, che significati ha nella tua pratica artistica e come scegli i colori delle tue opere?

Il colore è qualcosa di profondamente intuitivo per me. Credo che la sensibilità al colore possa essere trasmessa attraverso il proprio patrimonio genetico, proprio come altre caratteristiche, e credo di avere in parte acquisito il senso del colore di mia madre.

Perché amo così tanto il rosa caldo? Perché mi fa sentire così viva e mi dà così tanto piacere quando lo vedo? Perché torno ad esso ancora e ancora? È troppo? … Mi faccio molte domande sul colore e sono perennemente curiosa di sapere perché uso le stesse tavolozze e ho certe fissazioni. L’altro giorno ho ordinato un gran numero di filati per fare nuovi lavori per una prossima mostra personale, vi ho visto gli stessi colori che uso sempre: rosso, rosa, grigio, nero, viola, blu. Erano di nuovo lì. Lavoro anche con altri colori e mi piace quando un progetto mi costringe a cambiare le mie abitudini. Ho visto alcuni dei miei lavori migliori nascere nel momento in cui mi sono dovuta limitare a un colore o a un gruppo di colori che normalmente non avrei usato.

Approccio la creazione dei miei lavori e progetti partendo da un sentimento – cosa sto provando in questo momento (che include ciò a cui sto pensando) e che aspetto ha? E il colore viene da lì. Ho visto una grande mostra sul tema del colore a Torino alla GAM e al Castello di Rivoli qualche tempo fa che mi è rimasta in mente. La mostra si basava e prendeva le mosse da Thought-Forms, il brillante progetto teosofico di Annie Besant e C.W. Leadbeater del 1901, dove sentimenti e stati emotivi venivano rappresentati da illustrazioni-pitture astratte colorate e legate alla spiritualità, alla metafisica e al cosmo. Era la prima volta che mi avvicinavo a quel lavoro a quelle filosofie, scoprendo che traducevano in parole e immagini molte delle cose che avevo sempre sentito. Per me il colore è spirituale e questo include l’essere connessi alla natura e l’esperienza di essere vivi. Quindi, per dirla in termini semplici, il colore per me è un’espressione della mia esistenza e della mia forza vitale.

Frozen, 2020, 74 x 87 inches, silk, linen, steel. Image courtesy of the artist and R & Company. Photo by Joe Kramm

I tuoi lavori spaziano fino a installazioni tridimensionali anche di grandi dimensioni o allestimenti articolati che mutano completamente la percezione dell’ambiente. Che rapporto hanno le tue opere con lo spazio?

Quando ho iniziato a lavorare con lo spazio e ho smesso di fare vestiti, mi sentivo come se lo spazio fosse il mio nuovo corpo – che invece di offrire esperienze intime alle persone, stavo facendo un passo indietro per consentire un tipo di intimità diversa e meno personale. Quando metti qualcosa sopra il tuo corpo, il contatto è così intimo e diretto, così tattile e anche così specifico. In una stanza o in uno spazio, c’è la possibilità per un’esperienza multisensoriale che può essere percepita da più persone, oltre che dal singolo. Lo spazio diventa un contenitore di tante cose. Mi piace l’idea del contenitore che contiene energia e oggetti, e può provocare diversi livelli di esperienze per coloro che vi entrano.

Una delle mie prime volte in cui mi sono davvero confrontata con l’architettura, in un modo che ha cambiato le mie percezioni e idee, è stata per una mostra all’ICA di Boston chiamata Dance/Draw, curata da Helen Molesworth, per la quale ho fatto due versioni del mio progetto KNITTING NATION. La mostra era, in generale, sui corpi che fanno dei segni nello spazio; questo tema è diventato davvero importante per me, l’ho preso come una linea guida per il mio lavoro. Ho iniziato a vedere le macchine da maglieria e le magliaie come un apparato e una sorta di strumento di tracciatura 3D. Esse potevamo realizzare un materiale che potesse funzionare come un colore malleabile ed essere mosso in tutte le direzioni.

Voglio che le mie installazioni vengano percepite come mondi ulteriori e che lo spettatore sia agitato e comodo, sedotto e mistificato, curioso e rilassato. Per me, sono come sogni, fantasie che fondono le mie ossessioni e la mia predilezione per quelle cose che richiamano lo spazio domestico, in modo che ci si confonda un po’. Mi interessa il disorientamento e quello che succede alla percezione quando le cose vengono dislocate in modo che il fruitore possa per un momento sentirsi libero e provare meraviglia vedendo le cose in un modo nuovo eppure incredibilmente familiare.

Shapeshifter 2, 100 x 36 x 1,75 pollici, 2020, filato acrilico & vernice, rayon, flashe, legno
Shapeshifter 4, 60 x 30 x 1,5 pollici, 2020, filato acrilico & vernice, rayon, flashe, legno

Tra le diverse sperimentazioni di tecniche e materiali c’è la carta con cui hai realizzato opere molto diverse, alcune tessute altre tridimensionali. Mi racconti questo progetto e queste opere?

Sono stato invitato a produrre un’edizione in carta di cellulosa con il Brodsky Center, uno studio di carta e stampa che ha ora sede a Filadelfia al PAFA, mentre prima si trovava in New Jersey alla Rutgers.

Da decenni, il Brodsky produce edizioni su carta in collaborazione con artisti. Questa è stata una residenza che ho sviluppato nel corso di 3 soggiorni, nell’estate del 2021.

Per questo lavoro, che per me implicava l’uso di un nuovo mezzo e processo, ho deciso di ricreare una versione di un lavoro su carta che avevo fatto nel 2013, un pezzo importante che stava cadendo a pezzi.

L’opera, (filo e nastro su carta) era stata realizzata per progettare una superficie tessuta che stavo sviluppando con Pollack per una collezione chiamata “Makers”. Il tessuto doveva essere un drappeggio con lunghe fibre che sarebbero state tagliate dopo la tessitura per ottenere lunghe frange.  Ho allestito una soluzione sul muro con dei chiodini fuori dai bordi del foglio in modo da poter avvolgere il filo sulla superficie della carta e farlo aderire man mano. È stato un bel lavoro e ogni fase è stata interessante. Ho fatto molte fotografie durante il processo di realizzazione.

Non sono mai tornata a ripetere quel processo e purtroppo il pezzo di carta si stava disintegrando, dopo averlo mostrato un paio di volte e non essendomene presa cura correttamente – arrotolandolo e non trasportandolo adeguatamente.

La creazione di quest’opera è stata un’esperienza molto formativa per i lavori successivi, da tempo volevo rifarla. Così, i processi di lavorazione della carta mi sono sembrati l’occasione giusta per creare un facsimile.

Al nuovo pezzo è stata aggiunta un’impronta lasciata dal filo nella carta, il che rende l’aspetto molto speciale insieme alla fusione degli elementi dovuta alla natura della polpa di cellulosa.

Volevo anche ampliare sperimentando con lavori colorati dove i pezzi sarebbero stati più simili ai miei dipinti intrecciati, così ho spinto l’idea in quella direzione facendo altri 2 pezzi più grandi e con più colori.

I pezzi sono disponibili attraverso il Brodsky Center.

Fractured/Smolderin, 57 x 30 pollici, 2021, Carta di cotone fatta a mano con pittura di polpa di cotone, filati di rayon incorporati e polpa di cotone pigmentata. Edizione unica di 2 varianti. Realizzazione della carta in collaborazione con Nicole Donnelly. Pubblicato dal Brodsky Center at PAFA, Philadelphia. Donnelly. Published by the Brodsky Center at PAFA, Philadelphia
Fractured/Portal, 2021 Handmade cotton paper with cotton pulp painting, embedded rayon yarns, and pigmented cotton pulp Approximately 57 x 30 inches overall Unique edition of 2 unique variants. Collaborative papermaker: Nicole Donnelly. Published by the Brodsky Center at PAFA, Philadelphia. Photo courtesy of the artist and the Brodsky Center at PAFA, Philadelphia. Photo by Adrian Cubillas. Copyright of the artist and the Brodsky Center at PAFA, Philadelphia.

Cos’è l’arte secondo te? E cosa significa per te “fare arte”?

Mi piace cercare le definizioni delle parole perché mi aiutano a ricordarmi il loro significato; a volte non sono neutre o oggettive e quindi, in qualche modo, sono rivelatrici. Nel caso di “arte”, il dizionario Merriam Webster dice che arte significa: “qualcosa che è creato con immaginazione e abilità e che è bello o che esprime idee o sentimenti importanti.”

Questo è divertente per l’uso della “o” tra “bello” e “che esprime idee o sentimenti importanti”, che implica che non si possono avere entrambi! Questo riporta a un aspetto con cui mi scontro spesso come persona che lavora in quelle che alcuni chiamano “Arti Decorative” e che è stata educata in un sistema patriarcale in cui la bellezza e la decorazione erano considerate meno valide. Ora sto attraversando un processo di decolonizzazione della mia creatività, poiché ho scoperto che ci sono cose dentro di me che ho imparato a scuola e che mi impediscono di sentirmi completamente libera, anche se in sostanza sono e mi sento libera in superficie. La scuola d’arte è stata un’esperienza potente, trasformativa ed essenziale per me, ma è stata anche accompagnata da idee e giudizi che ho assunto come una sorta di “polizia del pensiero”. Non è qualcosa di percepibile dal mio lavoro ma la verità è che ho imparato ad avere un’IDEA che guida la creazione dell’opera. Nonostante anni di lavoro con il mio forte e talvolta dominante intuito, che mi porta a fare ciò che voglio, ho ancora tracce di questa modalità che mi pesano e ostacolano la mia creatività.

Fare arte significa tante cose per me, ma al centro c’è il fare manuale e la trasformazione del materiale. Mi riconosco nell’idea di alchimia – per me e per molti altri c’è magia in questo processo. Si tratta di esprimere la mia esperienza di essere un essere, di vivere la vita, di vedere le cose, del regno dei sensi, del mondo che ci circonda. Mi sento come se fossi una spugna che assorbe tutto e poi lo spreme e quel liquido prende forma diventando la mia arte. In realtà, sono talmente fissata col liquido e sul fare opere che sembrano cascate, docce e altre forme che spillano liquido, che mi chiedo se forse questa idea della spugna strizzata sia ciò di cui sto cercando di parlare.

L’arte è fare domande, avere conversazioni, iniziare rivoluzioni, andare indietro, andare avanti. La creatività è uno dei nostri migliori attributi – l’istinto e la capacità di fare ed esprimere. Stavo per dire qualcosa sugli umani, ma penso a tutte le espressioni artistiche fatte da altre specie, e penso ancora che è qualcosa che gli esseri fanno: creare ed esprimere. Sono qui per fare questo, e non posso immaginare di vivere in altro modo.

Installation view: Stretched Markers, 2020, silk, dimensions variable. Image courtesy of the artist and the Addison Gallery

Un percorso artistico molto dinamico il tuo e sempre coronato dal successo. Chi è oggi Liz Collins e quali sono i progetti per il futuro?

Grazie! Anche se ho avuto molti fallimenti e sono stata rifiutata in molte occasioni, sembra che la parvenza di successo abbia incorporato quelle realtà che ogni artista affronta nel presentare il proprio lavoro al mondo, competendo per risorse e opportunità. Così oggi sono un artista professionista, motivata e ambiziosa eppure umiliata dalla realtà del mondo in cui lavoro. Mi sento orgogliosa e grata per la vita che posso vivere come artista, perché c’è così tanta libertà e gioia, e così tante persone meravigliose coinvolte in questo campo, che sono così impegnate con il passato, il presente e il futuro. È un modo eccitante di vivere e un mondo stimolante in cui vivere, nonostante la sua instabilità finanziaria.

Oggi mi trovo nel continuum che ho menzionato all’inizio di questa intervista – facendo nuovi lavori che attingono da quelli passati e portano avanti le cose in versioni più grandi e più dilatate, sono idee che si evolvono nel tempo. Di solito mi destreggio tra più progetti che vanno dal breve al lungo termine, e in questo momento sono impegnata in un paio di grandi progetti che arriveranno più avanti nel corso dell’anno. Ho una mostra personale al Luis de Jesus Los Angeles nel giugno 2022 con nuovi lavori chiamati “Shapeshifters” e una grande mostra personale che aprirà in ottobre al Rochdale Art Museum nel nord dell’Inghilterra, curata da Julia Bryan-Wilson, che sarà una sorta di retrospettiva di metà carriera. Un’altra cosa molto eccitante in arrivo nel 2023 è la nuova mostra di Lynne Cooke sul design tessile e l’arte astratta che aprirà al LACMA di Los Angeles, e poi andrà alla National Gallery of Art di Washington DC, in cui avrò diverse opere.

Barbara Pavan

English version Sono nata a Monza nel 1969 ma cresciuta in provincia di Biella, terra di filati e tessuti. Mi sono occupata lungamente di arte contemporanea, dopo aver trasformato una passione in una professione. Ho curato mostre, progetti espositivi, manifestazioni culturali, cataloghi e blog tematici, collaborando con associazioni, gallerie, istituzioni pubbliche e private. Da qualche anno la mia attenzione è rivolta prevalentemente verso l’arte tessile e la fiber art, linguaggi contemporanei che assecondano un antico e mai sopito interesse per i tappeti ed i tessuti antichi. Su ARTEMORBIDA voglio raccontare la fiber art italiana, con interviste alle artiste ed agli artisti e recensioni degli eventi e delle mostre legate all’arte tessile sul territorio nazionale.