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Loredana Longo – Second Life

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Sahrai Milano, dal 28 marzo al 11 aprile 2022
Via A. Manzoni 45, Milano

Second Life è una mostra presentata nello showroom Sahrai London nel 2019, curata da Marina Dacci e riallestita nello spazio Sahrai di Milano in occasione della settimana dell’arte e Miart 2022.
In collaborazione con la Galleria Francesco Pantaleone.

Nella ricerca di Loredana Longo, già dal 2000 si è affiancato l’uso esplicito del linguaggio scritto in dialogo con quello iconografico attraverso interventi gestuali e performativi. I primi lavori sui tappeti risalgono al 2013, specificamente legati alle problematiche del Mediterraneo.

Forse però il primo antecedente di questi lavori è rintracciabile nella serie del 2011-2012: Floor. Le ragioni e la nascita di queste opere si legavano alla cementificazione e alla speculazione selvaggia o alle private violenze domestiche, ma sui pavimenti in cemento affioravano abiti da lavoro o vestiti neri femminili che richiamavano corpi assenti.

Gli abiti richiamano corpi, ma anche il linguaggio, codice primario dell’uomo, richiama corpi di persone, identità e relazioni. Le frasi selezionate dall’artista evocano persone specifiche, perlopiù politici occidentali, che hanno segnato la nostra cultura e si sono radicati nell’immaginario popolare. A ben pensare le frasi sono iconografie: ritratti delle personalità che le hanno scritte o pronunciate, in modo così potente che possiamo visualizzare i loro corpi, i loro gesti.

Si tratta di dichiarazioni di sapore “libertario” trasferibili nelle praxi di vita quotidiana: speranza, futuro migliore, collaborazione, aspirazione verso la libertà, tolleranza e rispetto, che dalla sfera politica e sociale possono slittare, in chiave proattiva, nell’ambito squisitamente personale.

Ma anche aforismi che, depauperati e banalizzati rispetto al contesto in cui sono stati pronunciati, hanno assunto anche il sapore di veri e propri slogan rientrando nell’ambito del marketing pubblicitario. Questi motti, si innestano in un “territorio” preesistente: il tappeto orientale. Il tappeto non è un territorio neutro, il tappeto non è la tela vergine del pittore. E’ un luogo “inquinato” dal suo vissuto come oggetto, come luogo/simbolo tout court che raccoglie i passi e le azioni dell’uomo sia nei luoghi dell’intimità domestica sia in quelli deputati alla condivisione sociale e spirituale.

Nella fase della sua produzione il tappeto accoglie l’energia e la perizia delle mani degli artigiani che l’hanno realizzato, perlopiù femminili, e presenta segni e decorazioni tratti da precisi valori culturali e visivi delle comunità in cui è stato realizzato. Il tappeto è anche un elemento immaginifico nelle narrazioni orientali capace di trasferirci in altri luoghi, di darci nuovi occhi sul mondo.

…Ci viene insegnato che nella lingua araba classica una radice comune lega tappeto e farfalla e certo non soltanto per la fascinazione dei colori. Il tessere e l’annodare alludono di per sé alle vicende ordite per gli uomini da invisibili mani…il tappeto vola perché è terra spirituale, i disegni del tappeto annunciano quella terra, ritrovata nel volo spirituale…(cit. Cristina Campo: Gli Imperdonabili).

Un’incursione artistica sul tappeto può essere tentativo di dialogo e scambio, ma anche azione violenta di sovrapposizione. Possiamo considerare il lavoro di Loredana Longo, in qualche modo un’opera collettiva che nasce dal contributo dell’artigiano che ha creato il tappeto e l’intervento dell’artista: un incontro di due diverse sensibilità e intelligenze della mano, due differenti linguaggi che si abbracciano o si scontrano…un lavoro che in entrambe le circostanze si misura con la dimensione del tempo nel processo della creazione e dei valori ad esso sottesi.

Nel progetto di Loredana Longo la scelta dei tappeti e delle frasi da fissare, l’individuazione del lettering – in relazione alla iconografia del tappeto – costituiscono passaggi topici: visuali e concettuali. La frase viene abbinata al manufatto, il testo e il suo posizionamento vengono studiati nel rispetto della sua struttura decorativa con la ricerca di un preciso ritmo nell’organizzazione spaziale del linguaggio.

Successivamente lo sposalizio avviene col fuoco che sottrae materia: una sottrazione del manto dal sapore violento. Le mascherine apposte nel processo di combustione, delimitano e circoscrivono il suo cammino.

Questa incisione è forse il tentativo di imprimere con forza i propri codici sulla tradizione di un’altra cultura?

L’estrazione cronachistica delle frasi, che segnano momenti particolari della vita politica contemporanea, si tingono di diverse sfumature e assumono il sapore di riflessione interrogante, attraverso un gesto purificatore impresso dal fuoco. L’approccio di Loredana Longo è alquanto interessante e provocatorio. L’artista realizza artefatti che possono essere letti in modi opposti: il tappeto diventa pagina testuale, testo di buona pratica nella propria esperienza quotidiana, un mantra da osservare, da ripetersi ogni giorno “per non dimenticare” oppure essere una provocazione su come ci si possa accontentare di cercare una verità in frasi /slogan da “consumare”.

L’opera, dunque, è una finestra che apre molti scenari e può disvelare molteplici significati: tutto sta sempre negli occhi e nel sentire di chi guarda. (Marina Dacci)

Grazie alla Galleria Francesco Pantaleone Milano / Palermo per la collaborazione.