Interviste

MANISH NAI

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*Foto in evidenza: Manish Nai, Untitled, 2017, Compressed Used Clothes and Wood, set 5 each piece 120 x 3 x 3 inches. Courtesy, The Sculpture Park at Madhavendra Palace, Nahargrah Fort, Jaipur, Curated by Peter Nagy

Artist portrait: Photo Credit Anil Rane.

Manish Nai (Gujarat, India, 1980) ha conseguito un Diploma in Disegno e Pittura presso la L.S. Raheja School of Art di Mumbai, città dove a tutt’oggi vive e lavora.

Utilizzando materiali di uso comune nella realtà indiana come la iuta, gli indumenti usati, i giornali, Nai ne indaga la natura intima accumulandoli, comprimendoli, ricontestualizzandoli. La quotidiana banalità dei singoli elementi custodisce memoria del tempo, dei luoghi e delle persone, una cifra che l’artista restituisce sfruttandone i segni e le tracce e trasformandoli in una grammatica estetica e formale delle opere.

Attraverso l’esaltazione delle qualità intrinseche del materiale e delle sue caratteristiche cromatiche, Nai crea lavori eterogenei ed eclettici in cui un minimalismo rigoroso e il riecheggiare dei canoni dell’arte povera sono declinati attraverso un registro che trova nella propria identità culturale un equilibrio formale totalmente nuovo, originale e personale, un linguaggio in cui coesistono allo stesso tempo sintesi contemporanea ed esuberanza barocca, ordine e caos. Una dualità che già nella scelta di impiegare materiali umili e di scarto per la sua pratica artistica allude alle molteplici contraddizioni e tensioni – sociali, ambientali, culturali – che attraversano il suo tempo.

Le sue opere sono state inserite in mostre alla Devi Art Foundation, New Delhi (2019); Museo Bhau Daji Lad, Mumbai (2017, 2019); Sito Para, Hong Kong (2018); Museo d’Arte Moderna, Varsavia (2018); NTU CCA, Singapore (2018) e al The Sculpture Park at Madhavendra Palace, Jaipur (2017), solo per citarne alcuni tra i più recenti.

Ha esposto in mostre personali, tra le altre, a Kavi Gupta Chicago e Art Basel Miami, alla Galerie Karsten Greve di Parigi (F) e Cologna (D), alla Galerie Mirchandani + Steinruecke di Mumbai, al Het Noordbrabants Museum nei Paesi Bassi, alla Fondation Fernet-Branca di St. Louis (F) e recentemente alla Galleria Nature Morte di New Delhi e alla Richard Taittinger Gallery di New York, USA.

Manish Nai, Untitled, 2018, Used clothes and wood, 126 x 3 x 3 inches (each), set of 8. Connecting Threads - Textiles in Contemporary Practice at Bhau Daji Lad Museum, Curated by Tasneem Zakaria Mehta and Puja Vaish, Image courtesy - Dr. Bhau Daji Lad Mumbai Museum. Photo credit: Anil Rane.

Il tempo è uno dei temi della tua ricerca artistica e i segni che lascia dietro di sé nel suo scorrere e trascorrere diventano poesia di forme e contenuti nelle tue opere. Cos’è il tempo per te e come si trasforma in opere d’arte?

Mumbai, la mia città e la mia casa, è la mia fonte di ispirazione primaria, la casa è dove ho trovato la juta che ho adoperato nelle mie opere, la città la mia ispirazione visiva quotidiana. Sono interessato all’osservazione, a capire come le cose cambiano nel tempo e grazie alle difficoltà, e a cercare di riportare queste mancanze/elementi di stress nelle mie opere in modo semplice, per esempio documentando cartelloni pubblicitari vuoti, lamiere in metallo ondulate dismesse da baraccopoli ormai demolite, vestiti usati, quotidiani, vecchi imballaggi smaltiti, vecchi libri. L’uso di questi materiali nel mio lavoro vuole rappresentare i tempi particolari che stiamo attraversando.

Trees of Life_ NTU CCA Singapore, Manish Nai, Untitled, 2018, Compressed indigo jute cloths and wood, total 99 pieces, each 203.2 x 7.62 x 7.62cm, installation dimensions variable, Credits- Courtesy the artist and Kavi Gupta Gallery, Chicago

La juta e i tessuti sono tra i materiali che utilizzi, anzi riutilizzi: lavorare con materiali che hanno già una loro storia, già usati, vissuti, ha a che fare più con la sperimentazione delle possibilità del materiale stesso oppure proprio con il significato che quel vissuto gli conferisce?

Ho studiato pittura e nel 2000 durante il mio ultimo anno di studi artistici ho cominciato ad usare il tessuto di juta come superficie su cui dipingere, al tempo non sapevo che il tessuto di juta avesse una sua storia coloniale, la utilizzavo solo perché mio padre lavorava con gli imballaggi e la usava insieme ad altri materiali fibrosi, per questo ogni giorno ne avevo a disposizione una grande quantità in casa, era naturale per me. D’altra parte in Asia la juta viene utilizzata a volte come una sacca in materiale industriale non solo nella vita casalinga ma anche nei negozi di alimentari, nelle costruzioni ecc.. Sono venti anni ormai che utilizzo soprattutto la juta come medium per il mio lavoro, ne ho esplorato le molteplici caratteristiche, ma sento che mi può dare ancora tanto. Per me la juta ora è molto più che un semplice materiale.

Manish Nai, Untitled, 2015, Natural and dyed jute cloth, Gateway tracing paper and paint on canvas, 10 panels, 156 x 232.5 inches, 396.2 x 590.5 cm, Image Courtesy Gallery KaviGupta, Chicago.

Il tempo è intimamente legato alla memoria. Cos’è la memoria per te e in che modo e in che misura entra nella tua arte?

Per esempio, i cartelloni pubblicitari vuoti che ho cominciato a documentare durante la crisi perché le agenzie pubblicitarie ne rovinavano molti senza poi usarli per la pubblicità. Ho portato alla ribalta pannelli che difficilmente abbiamo la possibilità di vedere dietro le pubblicità che ospitano. Sono spesso a tinta unita e tinti a mano, vengono smontati e riassemblati in base al requisito della dimensione del cartello, mi piace documentare questo risultato sverniciato e arrugginito, pronto per essere riassemblato e dipinto da me oggi. In India c’è ancora l’abitudine di leggere i quotidiani la mattina a colazione, e ne vediamo in tantissime lingue, più di 70. Ho cominciato a collezionare questi giornali e ad utilizzarli dopo un processo di compressione ad acqua, e trattandosi di semplice carta e inchiostro il contenuto viene lavato via mentre rimane il processo di compressione, che rappresenta il mio lavoro, quello che voglio esprimere con essi è che il processo stesso del creare è il linguaggio del mio lavoro e lo caratterizza. Allo stesso modo, a casa, mia madre tende a riutilizzare le cose, per questo motivo collezionava abiti usati per prenderne di nuovi, una vecchia tradizione indiana, così ancora una volta ho trovato il mio nuovo medium in casa. Ho iniziato utilizzando gli abiti usati dei miei familiari, in un secondo momento ho scoperto il grande mercato dell’usato per abiti vecchi e dismessi. È per me un modo unico di collaborare, questi abiti vecchi non solo rappresento la vita domestica del ceto medio ma sono anche un’istantanea collettiva della società e del consumismo che stiamo sperimentando in quest’epoca.

Manish Nai, Untitled, 2015, Jute thread on pillar, 84 x 18 x 18 inches, 213.6 x 45.7 x 45.7 cm, Image Courtesy Gallery KaviGupta, Chicago.

Come nascono e si sviluppano i tuoi lavori?

Cerco di guardarmi intorno e cerco di inserire ciò che vedo nelle mie opere senza ragionarci troppo e questo mi consente di trasformare il materiale in qualcosa di diverso. Questa sperimentazione dura a lungo, cerco di inserire questo esercizio nella mia routine in studio fino a che non vedo altre opzioni per il mio lavoro.

Manish Nai, Digits - Billboard series, 2016 Lucia pigment on Hahnemuhle paper, dimensions variable Set of 65, Ed. of 3, Manish Nai, Untitled, 2017, Used clothes and wood, 400 pieces 152.4 × 7.6 × 7.6 cm / 60 × 3 × 3 in each. Courtesy to Foundation Ferenet Branca Solo Show.

Alcuni tuoi lavori realizzati con i tessuti sono tridimensionali o grandi installazioni, quasi immersive. Che rapporto si instaura tra l’opera e lo spazio che la ospita?

I bastoni fatti di abiti usati o altri tessuti juta sono ancora nuovi nella mia pratica artistica per quanto concerne la loro esposizione, quindi c’è molta collaborazione con gli esperti dell’esposizione. Tuttavia, vedo un grande potenziale nell’esposizione delle arti visive e ritengo sia un’opportunità unica che ha l’artista per prendere coscienza dello spazio che lo circonda e di come utilizzarlo.

Manish Nai, Untitled, 2017, Used clothes and wood, 400 pieces 152.4 × 7.6 × 7.6 cm / 60 × 3 × 3 in each. The Idea of the Acrobat, Courtesy: Gallery Nature Morte, Bikaner House, New Delhi, 2020, Photo credit - Jeetin Jagdish Sharma.

I tuoi lavori sono una sintesi tra la varietà di forme, materiali e colori dei found objects e la geometria essenziale del minimalismo. Come si coniugano questi diversi elementi? È una trasformazione del caos in un ordine leggibile?

Mumbai è una città congestionata, è tutto così alto e pesante e per reazione mi sento costretto ad essere minimale e semplice. Inizialmente utilizzavo la juta come superfice per dipingere e ho continuato a farlo per alcuni anni, fino a che ho realizzato di riuscire a realizzare i miei disegni tirando via i fili dal tessuto in juta intrecciato. Così ho cominciato a raccogliere e mettere da parte i fili di juta tinta e i vecchi filati adagiandoli uno accanto all’altro distesi, pensando di poterli utilizzare prima o poi nel mio lavoro. Quando mi sono accorto che il filo aveva assunto la forma squadrata della scatola che lo conteneva, lo spazio negativo dei miei dipinti è diventato lo spazio positivo della scultura.

Manish Nai, Untitled, 2017, Natural and dyed jute cloth, gateway tracing paper and paint on canvas, 336.55 x 599.44 cm, 132.5 x 236 inches, 10 panels, Courtesy: Karsten Greve Paris.

Qual è l’aspetto del tuo lavoro artistico che più ti coinvolge – emotivamente, intellettualmente, spiritualmente?

La curiosità è la colonna portante della pratica artistica, anche se sono aperto a tutti gli ambiti della vita in modo che il pubblico possa sempre dialogare con le mie opere.

A cosa serve l’arte, secondo te?

È la gioia di esplorare territori sconosciuti mentre lavoriamo e portare al pubblico alcune scene di vita quotidiana che trascuriamo nella vita di tutti i giorni.

Barbara Pavan

English version Sono nata a Monza nel 1969 ma cresciuta in provincia di Biella, terra di filati e tessuti. Mi sono occupata lungamente di arte contemporanea, dopo aver trasformato una passione in una professione. Ho curato mostre, progetti espositivi, manifestazioni culturali, cataloghi e blog tematici, collaborando con associazioni, gallerie, istituzioni pubbliche e private. Da qualche anno la mia attenzione è rivolta prevalentemente verso l’arte tessile e la fiber art, linguaggi contemporanei che assecondano un antico e mai sopito interesse per i tappeti ed i tessuti antichi. Su ARTEMORBIDA voglio raccontare la fiber art italiana, con interviste alle artiste ed agli artisti e recensioni degli eventi e delle mostre legate all’arte tessile sul territorio nazionale.