MARA DI GIAMMATTEO
*Foto in evidenza: “L’Insostenibile leggerezza dell’essere”, arazzo (realizzato durante i mesi di confinamento per Covid 19 ed incompiuto causa rottura di un subbio del telaio, metafora dei giorni vissuti in cui non si potevano chiamare persone che venissero a casa ad aggiustare le cose, per questo motivo sono stata costretta a chiuderlo così, incompiuto), 85 x 29 cm, 2020. Copyright Mara Di Giammatteo
Artista visiva e tessile, docente di Pittura, Tessitura e Tintura naturale, Mara Di Giammatteo si è diplomata in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna alla Scuola di Concetto Pozzati.
La sua ricerca si fonda sullo studio degli idiomi e delle tradizioni, i suoi linguaggi di elezione sono il ricamo e la tessitura. Nelle sue opere la parola acquisisce una densità di significati che si accompagna al valore estetico del significante. Tra i temi trattati la memoria risulta essere quello principale, una sorta di fil rouge che lega tutte le sue creazioni.

Arte e tradizione: in che modo questi due elementi si combinano nella tua ricerca?
Attraverso il linguaggio o, per essere più precisi, attraverso la scrittura. Prendo in prestito una citazione di Roland Barthes in cui egli afferma che “Il linguaggio è una pelle: io sfrego il mio linguaggio contro l’altro. È come se avessi delle parole a mo’ di dita, o delle dita sulla punta delle mie parole”. Ecco, la mia ricerca sulla memoria si snocciola da sempre così, attraverso la scrittura: sono un’artista visiva che scrive, da sempre.

Quale ruolo e valenza assume la parola nelle tue opere?
Inizialmente la parola ha costituito il corpo della mia pittura, come un’impronta gestuale, una traccia; ricreavo nuove scritture anche attraverso le cancellazioni ripetute. Successivamente ho integrato la mia ricerca con il recupero di alcuni canti tradizionali, cantando io stessa e tornando alle mie origini, andando a ritroso in un’indagine antropologica che mi legava al mio territorio, inteso non solo in senso familiare e “biologico”, ma soprattutto culturale. In quegli stessi anni (parliamo degli anni ‘90) la mia pratica si è orientata maggiormente alla creazione di installazioni concettuali e sonore nelle quali la tradizione era legata al rapporto che stabilivo tra la mia ricerca e la cultura popolare rintracciata nelle fonti scritte-orali. La fase successiva del mio percorso si è diretta verso l’arte antica della lavorazione della lana, elemento che apparteneva come sapere e mestiere ai miei nonni che abitavano alle pendici del Gran Sasso. È così che ho approfondito le mie conoscenze relative alla tessitura ad arazzo e alle tinture naturali. Utilizzare le piante tintorie tipiche dei luoghi della mia infanzia mi permette di scandire il tempo: ogni mese dell’anno è caratterizzato da uno o più colori a seconda che sia il momento della fioritura o della raccolta. La mia ricerca ora è orientata a questo: al ritmo lento, alla scrittura mediante il ricamo e alla tessitura.

Venendo al tema della memoria e ai linguaggi impiegati, in che modo e misura essere stata l’assistente di Christian Boltanski ha lasciato un segno nella sua poetica?
L’incontro con Christian Boltanski, seppur durato il brevissimo tempo dell’allestimento di una mostra, è stato magico! Di lui ricordo soprattutto la condivisione del silenzio, del tempo di ascolto necessario per entrare in contatto con le sue opere, la consapevolezza dell’essere “qui e ora”, in quel preciso momento, in quei precisi spazi dove poi pian piano ogni giorno, le centinaia di scatole trovavano il loro ordine monumentale. Ecco, il silenzio e l’ascolto, sono stati gli elementi che ho condiviso maggiormente con lui, anche se al di fuori del lavoro era una Persona estremamente simpatica e molto alla mano, lo ricorderò sempre così come una mia anima Guida. Non è stato facile non lasciarsi contaminare dalla sua poetica.

Nei tuoi lavori mostri un’elevata sensibilità e attenzione nel testimoniare ciò che è stato e che rischia di non essere più. Quest’ultimo aspetto è stato recentemente applicato anche alle tematiche ecologico-ambientali: come e perché?
Lavorare da oltre 30 anni sulla poetica della memoria porta ad un certo punto a diventare tu stessa memoria e scrittura, a guardare tutto il lavoro svolto fino a quel momento e domandarsi ciclicamente: cosa ne resta? Cos’è che rimane nel tempo? …C’è bisogno che un’opera sopravviva nel tempo? Le mie creazioni sono affidate alla memoria del sapere delle mani e le mani si muovono al ritmo del cuore che prende e rilascia parole, forse anche quelle del passato, di chi mi ha preceduto.
Viviamo in un mondo di devices, siamo soffocati da scarti e rifiuti e forse l’arte, gli Artisti, possono – ora più che mai – comunicare con i propri lavori che c’è bisogno di cambiare la nostra vita, le nostre abitudini, le nostre scelte il più velocemente possibile.
Il nostro lavoro, se resta nel tempo, deve rispondere a questo cambiamento, recuperare il temps perdu, che come sostiene U. Galimberti: “è un tempo dove fenomeni socio-antropologici ed estetici s’intrecciano; un tempo divenuto instabile e non proiettabile; un tempo che non può essere ritrovato ma deve semmai essere abbandonato per venire in seguito ri-creato con le dovute spaziature e le dovute pause, che ne permettono la decantazione. E perché ciò avvenga, occorre innanzitutto, che l’uomo recuperi la nozione e la concezione dell’intervallo, presente nei ritmi della natura, nelle stagioni, nei ritmi corporei. (…)
Passato, presente, futuro: che valore attribuisci allo scorrere del tempo? In che modo passato e presente si intrecciano e convivono nelle trame delle tue opere?
Se penso al mio lavoro, lo vedo come una tela infinita; intreccio scrittura ininterrottamente, aggiungo o sottraggo elementi, domando al mio fare le stesse cose da sempre e poi ricomincio. È un viaggio senza fine dove il passato alimenta il presente e il presente intreccia il futuro che presto diventerà passato e materiale utile per un ciclo che si autorigenera…chissà fino a quando!
La tua pratica è fortemente radicata nel territorio nel quale si sviluppa: puoi descriverci questo aspetto?
Il mio lavoro e la mia vita si svolgono principalmente tra le montagne abruzzesi e il territorio bolognese. Mi interessa molto, merito anche della collaborazione attivata da qualche anno con il Museo della civiltà Contadina di Bentivoglio (BO), conoscere e recuperare i saperi legati alla filiera ed alla coltivazione della canapa sativa. Grazie a questa fibra versatile i nostri antenati contadini creavano tutto ciò di cui avevano bisogno, dai tessuti al cordame, ne sfruttavano le proprietà tintorie e quelle fitoterapiche, ne traevano l’humus migliore fertilizzare i campi. La natura è un serbatoio di saperi, occorre trovare il modo di recuperarli, riconoscerli e mutuarli come possibili piccole soluzioni di cambiamento e di miglioramento per ripristinare l’essere umano nella sua dimensione di terrestre in questo piccolo mondo, finché siamo ancora in tempo… Siamo ancora in tempo?

Per concludere, che direzione sta prendendo la tua ricerca più recente?
Nonostante nell’ultimo anno mi sia dedicata più al ricamo delle parole che non alla loro tessitura al telaio, probabilmente come conseguenza della scelta tematica delle mostre alle quali ho lavorato, mi interessa molto spaziare tra i due linguaggi, superare i confini tra iconografia e logos, come avvenuto con l’arazzo S’incomincia dove il codice qr tessuto in grandi dimensioni, se letto da un cellulare a debita distanza, apre il link ad un video di una Poetessa del Gran Sasso alla quale è dedicata la mia opera.