MARO FASOULI
*Foto in evidenza: Maro Fasouli. Untitled, 2020, 700×300 cm. cloth, spray, pastel, thread
Maro Fasouli (Atene, 1980) si è laureata alla Scuola di Belle Arti di Atene ed è uno dei membri fondatori del gruppo artistico Under Construction (2008).
Tra le molte mostre, residenze e performance in Grecia e all’estero cui ha partecipato, sono da segnalare le due recenti personali: “Dal gomitolo al polso” presentata al Centro delle Arti dall’Organizzazione per la Cultura, lo Sport e la Gioventù del Comune di Atene e curata da Christoforos Marinos (2020), e “Picnic in North Korea”, alla CAN Christina Androulidaki Gallery. Nel 2021 ha ricevuto la Stavros Niarchos Foundation Artist Fellowship da ARTWORKS.
Abbiamo ‘incontrato’ i suoi lavori nello stand della Galleria Alibi a Roma Arte in Nuvola e, attraverso questa intervista, abbiamo cercato di capire quale ricerca e quali temi affrontino i suoi arazzi materici.
Come sei arrivata ad utilizzare il tessile e le fibre nella tua pratica artistica?
Dal 2007 la mia pratica è legata alla tradizione, all’arte e ai racconti folcloristici. Mi approccio a queste tematiche attraverso lo studio e la ricerca negli archivi. Nel 2014 ho studiato numerosi tessitori del secolo scorso. La mia prima preoccupazione è stata quella di comprendere la loro struttura e il loro linguaggio ma anche il motivo della loro redazione. A quel punto mi sono imbattuta in un libro sulla tradizione folcloristica scritto da uno dei più conosciuti autori sull’argomento (Michalis. G. Meraklis). Dopo una ricerca approfondita, ho trovato la maggior parte dei suoi scritti. Mi ci sono voluti alcuni anni per campionare ed elaborare tutte le informazioni in un corpo di lavoro.
Tessile e corpo: come si coniuga questo binomio nel tuo lavoro?
Il mio ultimo lavoro, From The Elbow to the Wrist, riguarda quelle pratiche di misurazione che coinvolgono parti del corpo. Attingendo alla tradizione della tessitura, che nel corso dei secoli è stata un campo privilegiato di occupazione femminile, il mio lavoro si concentra su come il corpo stesso sia usato come unità di misura. In particolare, il metodo che utilizzo è la pratica tradizionale di misurare arrotolando il filo intorno all’avambraccio – un metodo che è sia un mezzo di misura che un’unità di misura (l’equivalente di 64 cm). Concentrandomi sul processo di misurazione, metto in evidenza la pratica stessa del tessere, lasciando da parte gli aspetti decorativi legati al risultato finale, cioè il tessuto. Nelle mie sculture, elementi come le nappe di lana e i tagli (buchi), che nella tessitura tradizionale sono nascosti nel tessuto, così da occultare il processo di fabbricazione, rimangono invece visibili allo spettatore. Qui, le nappe o pezzi di tessuto non indicano la fine della tessitura, ma si trovano sparsi in tutto il pezzo, suggerendo un processo di costruzione che rende visibili i suoi elementi strutturali.
Questo mestiere tradizionale è rivisitato partendo dalla pratica stessa, portando in primo piano le connessioni tra pratiche corporee, lavoro e questioni di genere. Inoltre, col mio lavoro articolo un diverso tipo di vocabolario per descrivere il quadro estetico della tessitura tradizionale – qualcosa che mi ha sempre interessato.
Riferendomi alla cosiddetta xoana, figura apotropaicha che serviva come protezione contro ogni paura, mi concentro sul concetto di figura in generale, e sulla mia figura in particolare, completamente estesa, poiché la mia dimensione corporea determina la scala delle mie sculture. I miei materiali (filati, tessuti, canne) sono caratteristici di forme di arte popolare.
Quali tecniche utilizzi per realizzare i tuoi lavori?
Quando ho iniziato ad occuparmi di tessuti tradizionali ho stilato una lista di tutto ciò che dalla tradizione è proibito. Quando, per esempio, una tessitrice commetteva un errore di tessitura non conservava la tela per un uso inferiore e nemmeno la lasciava nel suo cassetto perché questo l’avrebbe messa in cattiva luce. Aveva due opzioni. O sciogliere l’intreccio fino all’errore e correggerlo, o buttare via tutto. La tecnica che uso si basa sugli errori del tessuto: i buchi, gli strappi, le nappe non utili; lavoro senza una bozza, senza avere un ritmo specifico di ripetizioni.
Come scegli i materiali?
L’idea principale è quella di lavorare sul patrimonio culturale tradizionale. Questa mia pratica iniziò alcuni anni fa, quando condussi un’indagine sull’architettura tradizionale greca (anonima) dei secoli precedenti.
Così, in ciò che faccio ora, accanto allo studio della tecnica dell’arazzo continuo con questa ricerca; creando un nuovo idioma che combina due principi contrapposti, l’interno e l’esterno. Collego il mestiere di costruire una casa, un’occupazione maschile, e l’arte della tessitura svolta dalle donne all’interno della casa. Così facendo, unendo queste due direzioni in un unico gesto, i confini di dentro e fuori, così come la discriminazione tra uomini o donne, non è più visibile. Perciò, nel mio lavoro, si trovano una varietà di materiali, texture e metodi. Legno e tessuto, chiodi e cucito, ferro, gesso e stoffe. Tutti questi materiali, trovati o acquistati, guidano la mia pratica di studio.
Quanto è importante la pratica ‘artigianale’ secondo te nel ‘fare arte’?
Nella mia pratica, le decisioni guidano il mio lavoro e viceversa. Intendo dire che non predetermino mai ciò che sto per fare abbozzando degli schizzi, come strumento di comprensione. Di solito ho un’idea generale, una vaga forma nella mente, e questo mi aiuta a determinare elementi base come l’altezza, la lunghezza ecc. Da questo punto in poi hanno luogo le decisioni riguardanti la forma e il colore. Questo modo di procedere offre un metodo di argomentazione che si rivela molto stimolante per la mia produzione artistica. Il lavoro artigianale è naturalmente il concetto portante che guida i miei pensieri, e forse anche la prima impressione che qualcuno ha guardando il mio lavoro, ma a me sembra una condizione di ambivalenza.
I tuoi lavori sono molto materici e abitualmente di grandi dimensioni. Questo ‘occupare lo spazio’ ha un significato anche concettuale per te? Quale rapporto si instaura tra le tue opere e lo spazio che le ospita?
Credo che questo lavoro debba essere visto in pienezza. Forme, colori e gesti suggeriscono la sensazione di non essere costretti durante la creazione, traendo vantaggio dalla vastità di opportunità e prospettive. L’idea di poter allungare le braccia e occupare lo spazio che mi circonda è allo stesso tempo liberatoria e familiare. Oltre a questo, trovo anche interessante usare il mio corpo come metro di misura; questa metodologia era molto comune in passato. Il titolo del mio ultimo lavoro implicava proprio questa idea, “dal gomito al polso”, ovvero un Cubito, un’unità di misura obsoleta. Pensando a questo, ai modi in cui ci tramandiamo vecchie abitudini nel corso degli anni, mi sembra che in fondo questo lavoro sia stato uno sforzo per riavvicinarsi alla storia tradizionale e al ruolo assunto dalla donna. Pertanto, ho sentito che dovevo proseguire ad un livello superiore.
Quali sono le tue fonti di ispirazione? Quali sono stati – se ci sono – gli artisti o i movimenti artistici che ti hanno influenzato?
Col mio lavoro, esploro la vicinanza tra la tessitura e l’architettura – una relazione che risale a secoli fa – e la funzione del tessuto come schermo protettivo fisso o movibile. Basta considerare le pioniere del Bauhaus, tra le quali spicca Anni Albers, per cogliere l’importanza della tessitura per l’astrazione modernista e per comprendere la natura mutevole e l’adattabilità di questa pratica corporea che pone la tattilità al centro. Scrivendo del lavoro di Albers, la storica dell’arte Briony Fer osserva un altro aspetto: “la tessitura diventa più di un mezzo – diciamo, come la pittura – e molto più espansiva, molto più strutturalmente incorporata nel suo ambiente”[i] . Infatti, a volte i miei arazzi ricordano i graffiti che abbondano nelle strade di Atene. Questo è ulteriormente evidenziato nel monumentale (3×7m), che ho prodotto appositamente per il Centro d’Arte, che è paragonabile a un dipinto murale.
[i] Briony Fer, ‘Anni Albers: Weaving Magic’, Tate Etc 44, Autumn 2018.
Cosa significa per te essere artista?
Essere un artista è in realtà un modo di comprendere. Ogni aspetto della vita quotidiana passa attraverso quel filtro e pervade ogni pensiero, ogni atto, ogni interazione. L’arte è davvero in ogni cosa perché proietta la domanda principale della vita. E se?
A quale progetto stai lavorando in questo momento? E quali progetti hai per il prossimo futuro?
Ultimamente, accanto alla tessitura che è costantemente presente nella mia pratica, ho affrontato il tema del linguaggio nella storia.
Sto lavorando con tecniche che esplorano nuove modalità di espressione rispetto a testi di imprecazioni e maledizioni che sono stati documentati in quanto tipologie del parlato folkloristico tradizionale: degli aforismi. Nel corso dei secoli, questi aforismi sono stati l’unica arma delle donne e sono serviti, a loro e ad altri gruppi di cittadini senza chiari diritti, come forma orale che custodiva l’ombra della magia. Il testo del racconto al quale sto lavorando in questo momento non mostra chiaramente i confini tra affetto e astio, maledizione e desiderio.