MARY GRISEY
*Foto in evidenza: Cloth Dripping, lino tessuto a mano e tinto a mano, corda, garza, ruggine, colorante acido, tè nero, noce canaletto, terracotta e suono, 2016. Photo Credit: Yuula Benivolski, copyright Mary Grisey
Mary Grisey, (classe 1983) fiber artist con sede a Los Angeles, California, si è laureata nel 2006 in Belle Arti presso il Marist College di Poughkeepsie, NY, ha poi proseguito i suoi studi ottenendo il BFA in Fiber and Material Studies, presso The School of the Art Institute di Chicago e un Master in Fine Arts alla York University di Toronto, Canada.
Le grandi installazioni di Grisey esplorano il tema della metamorfosi, del divenire inteso come continuo cambiamento che crea e distrugge. La connessione tra fisico e metafisico è la guida, l’ispirazione e il fondamento della sua ricerca artistica e spirituale e si ritrova compiutamente espressa nelle monumentali architetture tessili, intensamente corporee, emotive ed evocative, opere che si affacciano sul confine tra materia-essenza, corpo-anima, immanenza-trascendenza.
https://marygrisey.com/home.html

Come e quando ti sei interessata all’arte tessile, in particolare alla tessitura? Qual è stato il suo percorso formativo?
Sono cresciuta osservando mia madre, abile sarta, che si teneva occupata creando e cucendo gli abiti per la famiglia. Aveva una stanza intera piena di stoffe e filati e mi piaceva esplorarla da bambina, per questo è stato quasi naturale approdare al tessile. La stoffa ha un’abilità unica nel raccontare, trattenere la memoria e la storia.
Appena nati veniamo avvolti nella stoffa, siamo protetti e tenuti al caldo in essa, e sepolti in essa. Nella mia pratica artistica mi interessa molto esplorare la particolare risonanza energetica propria dei tessuti.
Il mio percorso formativo è iniziato nel 2004 al Marist College, una scuola di arti liberali a nord di New York. Durante i due anni di studio, mi sono formata come pittrice. Pensavo che questa sarebbe stata la mia strada, ma alla fine sentivo che la superficie piatta e la forma della tela erano troppo limitanti per ciò che volevo esprimere nel mio lavoro. Volevo creare sculture e installazioni di grandi dimensioni in cui lo spettatore potesse immergersi completamente.
Dal 2007 al 2009 ho conseguito il Master presso la School of the Art Institute of Chicago (SAIC) nel programma Fiber and Material Studies. È qui che ho imparato a tessere su un telaio a levata da pavimento e mi sono innamorata di questo modo di lavorare. La tessitura ha una qualità meditativa infinita: i modi per esplorare questo medium sono tantissimi e ho scoperto che era il modo migliore per esprimere i concetti e le idee che mi appartengono.
Nel 2012 ho frequentato un Master della York University a Toronto e sono stata selezionata per una borsa di studio completa come studentessa internazionale. La maggior parte del mio lavoro di tesi per il Master riguardava l’esplorazione delle tessiture fuori telaio. Ho creato pesanti tessiture in corda su larga scala piantando una serie di chiodi direttamente nel muro del mio studio, utilizzando corda di sisal tinta a mano per l’ordito e la trama. Si trattava di un lavoro molto fisico e intensivo, di un processo che richiedeva la partecipazione di tutto il mio corpo.

Oltre a essere un artista visiva, sei un Medium Multidimensionale, Psichico e Spirituale. In che modo queste attività/esperienze influenzano la tua ricerca e pratica artistica?
Non considero l’arte e la mia pratica spirituale come due entità distinte. Tutto ciò che faccio è espressione della mia esperienza al mondo e di come posso darle un significato. Come i rami di un albero, tutto ciò che faccio è collegato fino alle radici. La mia pratica spirituale è più un servizio alla comunità – un modo per aiutare gli altri a trovare la propria strada e a guarire. La mia pratica artistica invece è un modo per ricongiungermi con la mia anima – un modo per capire meglio chi sono. L’unire queste due pratiche vuol dire fare in modo che si nutrano l’un l’altra.

Cosa intendi quando parli di “channeled art”?
Channeled art (l’arte canalizzata) è una particolarità della mia pratica: si tratta di pezzi su commissione che creo per i clienti basandomi su visioni e messaggi psichici che ricevo per loro. Queste opere possono essere dei talismani per una loro crescita interiore, per renderli più forti, per proteggere i loro spazi sacri o anche solo qualcosa di speciale per ricordare loro quanto sono forti. Credo che il processo artistico sia un viaggio canalizzato, intuitivo in cui l’artista si muove in uno spazio liminale fra il terreno e l’ultraterreno.
Il termine “arte canalizzata” rimanda al movimento spiritualista tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900. Con “canalizzato” si intende il raggiungere uno stato di consapevolezza elevata in cui la mente si muove simultaneamente verso l’interno e l’anima interiore si espande verso l’esterno con lo scopo di diventare un tutt’uno con la dimensione spirituale. L’arte canalizzata è una modalità per esprimere la connessione e il ponte con gli stati più alti della coscienza. Storicamente è stata chiamata anche arte dello spirito o automatismo.
Per realizzare le tue opere utilizzi un’ampia gamma di materiali di diversa provenienza e tipologia. Qual è il loro valore (simbolico, metaforico…) e significato all’interno della tua ricerca e pratica artistica?
Una delle cose che mi piace di più fare è andare in un mercato dell’antiquariato o in giro nella natura e trovare oggetti che hanno in sé un certo tipo di energia che si sposa con un particolare progetto a cui sto lavorando. Mi piace molto incorporare questi oggetti di recupero nelle strutture tessute a mano della mia opera per migliorarne la frequenza energetica. Mi sento attratta dall’uso di molti materiali presi dalla natura – è come uno specchio della nostra umanità, il nostro mondo naturale.
Lavorare per lo più con materiali naturali è qualcosa che mi attira, come uno specchio della nostra umanità e del nostro mondo naturale. I materiali che scelgo sono spesso soggetti alle intemperie del tempo o sono io a stravolgerne la qualità tingendone la superficie, bruciandoli, incidendoli o seppellendoli. Il processo e l’atto creativo del mio lavoro sono spesso più importanti del risultato.
The Things That Were, the Things That Are, the Things That Ever Will Be. Come è nato questo lavoro e a cosa si ispira?
Nella primavera del 2019 ho ricevuto la notizia che a mia madre era stato diagnosticato un cancro terminale. A quel tempo ero incinta della mia prima figlia, Sofie. Questo lavoro è stato direttamente ispirato dall’imminente morte di mia madre e dalla nascita di mia figlia. Nei sogni e nelle meditazioni ho avuto visioni di un aiuto angelico che ha ispirato la forma dell’opera, che fluttua nello spazio con le ali. Forse mia madre era questo essere angelico e tessuto e le visioni profetizzavano che quest’opera si sarebbe manifestata in una forma tangibile solo dopo la sua morte.
Un’opera o un progetto che ha svolto un ruolo essenziale nella tua crescita artistica?
L’opera Sung From the Mouth of Cumae, ha rappresentato un importante punto di svolta nella mia pratica artistica. Il titolo dell’installazione si riferisce a Cuma, una colonia greca in Italia fondata nell’VIII secolo a.C. Era il luogo di uno dei più famosi oracoli del mondo antico, si diceva che lì la Sibilla Cumana, una sacerdotessa, cantasse profezie dall’antro di una grotta. Al momento di creare quest’opera, ho vissuto un ricordo spontaneo di una vita passata che corrispondeva a questo luogo e a questo evento storico. Ho incorporato il suono in quest’opera installativa per creare un’atmosfera più coinvolgente ed emotiva che racchiudesse questo ricordo di vita passata e attivasse tutti i sensi: vista, olfatto, tatto e suono. Il suono era un insieme di voci che cantavano nascoste all’interno del vaso di ceramica, che a loro volta riecheggiavano le profezie cantate dall’oracolo. Le tessiture alte e figurate emulano una presenza aleggiante del mondo degli spiriti, che assiste la Sibilla come medium per cantare i suoi oracoli. Il mio obiettivo era quello di creare uno spazio di mistero e misticismo con l’eco delle voci spettrali, immerso nelle tessiture sospese, che offrisse un valore spirituale o un’esperienza meditativa per lo spettatore. La grotta di Cuma fungeva da punto di collegamento fisico con il regno spirituale; per gli spettatori della galleria, la materialità dell’opera d’arte è il ponte verso l’effimero, il mistero e l’emozione. Forse, nell’esperienza di quest’opera, si può trovare la propria verità e il proprio oracolo all’interno dello spazio liminale.

Ci sono artisti contemporanei che senti vicini alla tua ricerca e al tuo linguaggio?
Petah Coyne – per l’uso di materiali organici che si basano sulla fugacità della vita e della morte.
Berlinde DeBruyckere – Per il suo lavoro sul corpo umano in forma abietta.
Guadalupe Maravilla – Per il contesto spirituale e interattivo della sua opera scultorea.
Diana Al-Hadid – Per l’uso della narrazione e delle installazioni immersive basate su riferimenti storici.

Quali sono gli aspetti più impegnativi che ti trovi ad affrontare nel creare un’opera?
Attualmente il mio ostacolo e la mia sfida più grande sono trovare lo spazio e il tempo per fare arte. Sono una neomamma con un altro figlio in arrivo ed è stato davvero difficile trovare il tempo e l’energia per dedicarmi allo studio lontano dal caos familiare. Nutro moltissimo rispetto per le madri che sono anche artiste. Diventare madre è stata la cosa più trasformativa e selvaggiamente radicale che abbia mai fatto nella mia vita e sicuramente darà un nuovo significato alla mia pratica artistica.

Progetti futuri?
Ho diverse idee in mente. Alcune di queste idee includono l’attenzione al corpo umano in relazione ai temi della nascita/vita/morte, installazioni tessute a mano su più larga scala e, più recentemente, ho pensato di riportare la pittura a olio nella mia pratica. Mi piacerebbe anche continuare a creare “arte canalizzata” su commissione per i clienti che la desiderano.