PROFESSIONE RESTAURO: NICOLETTA VICENZI
*Foto in evdenza: Microaspirazione arazzo Fortunato Depero
Ho conosciuto Nicoletta Vicenzi solo recentemente ma sono rimasta immediatamente affascinata dal suo lavoro di restauratrice di opere d’arte tessili. Romana, classe 1979, confessa che ha mostrato sin da piccola una propensione alla manualità sviluppata attraverso il piacere di giocare aggiustando e trasformando oggetti. Una passione dunque che la accompagna da tutta la vita e che si è focalizzata rapidamente sui tessuti fino a diventare la sua professione. Mi ha raccontato l’una e l’altra in questa lunga ‘chiacchierata’ per ArteMorbida.
Quali sono le ragioni alla base della tua scelta professionale?
Una ragione ponderata penso non ci sia mai stata. Mi sento più che altro di dire che si è trattato di un insieme di sogni, passioni, una spinta emotiva che mi ha portato negli anni a concretizzare il lavoro che avrei voluto fare nella mia vita.
Come sei diventata restauratrice di opere d’arte tessile?
È stato un percorso lungo e tortuoso ma che alla fine sono riuscita a realizzare.
Dopo il Diploma di maturità classica avevo già questo sogno nel cassetto ed ho avuto un momento di incertezza se intraprendere un percorso in un Istituto di Restauro o iniziare gli studi universitari; ho optato per questa seconda scelta. Mi sono iscritta alla Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali cercando di incentrare il più possibile il mio percorso di studi sul restauro e la conoscenza della materia.
Per questo ho collaborato vari anni con Il Laboratorio di Diagnostica per la conservazione ed il Restauro “Michele Cordaro”. Dopo la Laurea sono seguiti gli stage, la formazione post laurea e un Corso regionale di Catalogazione di Opere d’Arte tessile. Da quel momento ho capito che il mio sogno, la mia passione era occuparmi del restauro dei manufatti tessili e così ho concentrato le mie energie, ho seguito stage e mi sono formata “a bottega”, intraprendendo viaggi studio-lavoro in Italia, in Turchia e Marocco.
Oggi sono una Restauratrice abilitata all’esercizio della professione di restauratore di beni culturali con settore di competenza: materiali e manufatti tessili, organici e pelle.
Quali sono le tipologie di opere su cui intervieni? E quale il tipo di intervento più comune?
Con questo lavoro ho a che fare con le più ampie varietà di tipologie tessili, spaziando da manufatti di uso quotidiano alle opere d’arte. Mi sono occupata del restauro di abiti, di manufatti d’arredo (poltrone, divani, tappezzerie), di paramenti e accessori d’arredo liturgici, bandiere, divise militari, tessuti antichi, tappeti, frammenti tessili, opere d’arte contemporanea e molto altro.
Ogni restauro è un caso a sé stante e va analizzato e progettato nella sua singolarità ma sicuramente posso parlare di alcuni interventi che si effettuano nella stragrande maggioranza dei casi. Quando arriva un nuovo manufatto in laboratorio la prima operazione che eseguo è la raccolta delle informazioni riguardanti l’oggetto e il suo stato di degrado, anche grazie ad una dettagliata documentazione grafica/fotografica. In seguito una delle prime e più importanti operazioni è la microaspirazione del tessuto: la pulitura dei tessili è sempre un’operazione delicata e le metodologie che si applicano devono tenere rigorosamente conto della tipologia del manufatto, della composizione dei materiali e dello stato di conservazione.
Per questo eseguo dei saggi di pulitura che avvengono tramite metodo fisico, con l’impiego di apparecchi aspiranti a moderato flusso di aspirazione.
La spolveratura per aspirazione è in grado di asportare le particelle di piccole dimensioni, inoltre rimuove, con il mezzo fluido più innocuo -l’aria- la parte più superficiale dello sporco che forma una sorta di patina grigiastra.
Nel caso in cui è necessaria una pulitura più approfondita (che preveda quindi la presenza di acqua), vengono effettuati dei test di stabilità dei filati e in caso di esito positivo si procede ad un lavaggio (ma onestamente i manufatti che necessitano e soprattutto consentono di sopportare uno stress da lavaggio sono una piccola percentuale).
Un’operazione che invece viene eseguita quasi sempre è la vaporizzazione a freddo che consente di attutire le deformazioni presenti sulla superficie del tessuto: vengono così eseguite ripetute e graduali vaporizzazioni a freddo e in seguito il tessuto viene posizionato, con spilli entomologici, nella sua corretta forma su una superficie rigida, seguendo la direzione di ordito e trama.
Quando ho a che fare con la presenza di lacune, strappi o tagli, questi danni vengono consolidati attraverso l’inserimento di un tessuto di supporto (da applicare al di sotto della lacuna) fermato a punto posato con filati sintetici semitrasparenti di colore adeguato.
Qual è stato l’intervento o gli interventi di restauro più complessi o impegnativi della tua carriera?
Probabilmente il restauro del cosiddetto “pallio di Giovanni XXI” (XIII secolo seconda metà) conservato presso il Museo del Colle del Duomo (Viterbo).
Al momento del sopralluogo il manufatto era conservato all’interno di una scatola, ripiegato più volte su sé stesso. Il forte stato di degrado e l’ossidazione dei filati impediva totalmente di identificare la confezione e la forma originale.
Il pallio si presentava totalmente irrigidito, manifestando tutti gli elementi di degrado tipici dei manufatti tessili archeologici ma dopo un’attenta analisi del tessuto e numerose prove di intervento sono riuscita a manovrare il così fragile tessuto e ridistenderlo nella sua forma originale.
Un altro intervento molto complesso ma che mi ha regalato una grande soddisfazione è stato il restauro dell’abito della Madonna di Vallerano, Chiesa di Sant’Andrea Apostolo, Vallerano (Vt), XVIII secolo.
La Madonna vestita di Vallerano era costituita da un insieme di materiali polimaterici e le vesti, realizzate con materiali di grande pregio, riflettevano il gusto dell’epoca in cui sono state realizzate.
La complessità di questo lavoro era dovuta sia al pessimo stato di conservazione in cui verteva l’abito nella sua interezza (in larga parte in stato frammentario), sia alla notevole stratificazione di capi e biancheria intima sottostante l’abito.
Ho iniziato il lavoro pensando di avere a che fare con un abito settecentesco in cattivo stato di conservazione ma mi sono ritrovata a restaurare: l’abito settecentesco, una gonna in tessuto operato di un abito precedente, 2 sottogonne in tela di lino bianco, una sottoveste di lino bianco, rifinita da un merletto bianco a fuselli, una sottoveste di lino bianco e un corpetto di fine seicento.
La complessità di questo lavoro era dovuta sia al pessimo stato di conservazione in cui verteva l’abito nella sua interezza (in larga parte in stato frammentario), sia alla notevole stratificazione di capi e biancheria intima sottostante l’abito.
Ho iniziato il lavoro pensando di avere a che fare con un abito settecentesco in cattivo stato di conservazione ma mi sono ritrovata a restaurare: l’abito settecentesco, una gonna in tessuto operato di un abito precedente, 2 sottogonne in tela di lino bianco, una sottoveste di lino bianco, rifinita da un merletto bianco a fuselli, una sottoveste di lino bianco e un corpetto di fine seicento.
Chi sono abitualmente gli enti pubblici o i privati che si rivolgono a te?
I miei committenti sono per grande parte musei statali, pubblici, diocesani poi c’è una un’altra parte di privati e collezionisti ma sono una minoranza rispetto alla totalità delle commissioni.
Negli ultimi anni per avere qualche riferimento ho lavorato per Il Museo d’Arte Sacra della Marsica (Castello Piccolomini), Celano (AQ), la Camera dei deputati, Montecitorio, Roma, il Polo Museale della Puglia e del Castello Svevo di Bari, la Soprintendenza Speciale Archeologica Belle Arti e Paesaggio di Roma, la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per l’area metropolitana di Roma, l’Etruria meridionale e la provincia di Viterbo, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, il Museo Diocesano d’Arte Sacra di Tarquinia, il Segretariato Regionale MIBACT per il Lazio.
Quali sono le maggiori difficoltà che affronti nel tuo lavoro?
Sicuramente preventivare con esattezza quello che succederà nel corso di un restauro. Ci sono diverse incognite o forse le chiamerei più che altro soprese che emergono solamente quando si sta intervenendo sul manufatto. Per fare un esempio l’ultimo lavoro che ho effettuato è stato il restauro di un paravento giapponese dei primi del ‘900 e solo quando ho smontato i pannelli in tessuto e la fodera retrostante dalla cornice, ho potuto constatare che all’interno c’era un ulteriore telaio costituito da piccolissimi listelli di legno tagliati a mano completamente degradati e rotti in tutti i punti di giunzione, e questa scoperta mi ha costretto a ricreare il telaio originale, operazione che non avevo immaginato ad inizio restauro.
Poi c’è la difficoltà “grandi dimensioni”, mi capita di restaurare tessuti di grandi dimensioni o arazzi e in quel caso bisogna organizzare bene lo spazio, il trasporto, lavorare per porzioni di superfici e a volte costituire anche un gruppo di lavoro ad hoc.
In ultimo anche mi sento di dire che un’altra difficoltà è quella di far comprendere il valore di questo lavoro. Molto spesso viene visto come un lavoro di sartoria, artigianale e non è sempre immediata la comprensione di quello che ci sta dietro, degli studi, degli anni di esperienza, delle lunghissime ore che si passano in laboratorio per portare a termine un restauro ben fatto.
Qual è l’intervento di restauro che ti ha maggiormente gratificato?
Se devo essere sincera non ce n’è uno che non mi ha gratificata più degli altri. Ogni lavoro rimane nel cuore, veder “rinascere” un tessuto e donargli nuova vita mi regala sempre una soddisfazione inappagabile.
Quando passo settimane, a volte mesi, a lavorare su un manufatto lo conosco nei minimi dettagli e diventa per forza di cose un po’ parte di me.
Poi c’è un altro momento particolare che è quello di ri-conoscenza, di intimità e gratificazione che provo quando mi ritrovo, a volte per caso altre sapendolo, difronte a pezzi che ho restaurato anni prima, come è successo di recente per l’arazzo Guerra-festa di Fortunato Depero esposto nella mostra INTERTWINGLED -The Role of the Rug in Arts, Crafts and Design presso la la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma.
Recentemente hai affiancato al tuo lavoro di restauratrice anche una ricerca artistica che pur muovendo i passi dalla competenza tecnica mette a frutto un talento creativo che ha una sua cifra espressiva autonoma e diversa. Mi racconti questa nuova esperienza?
Nella mia vita ho sempre affiancato la creatività/l’arte al mio lavoro ma era più che altro una necessità.
Il problema è sempre stato il tempo, lavorando esclusivamente con tecniche manuali, con filati e tessuti, il tempo di realizzazione è veramente una parte consistente di questo percorso artistico.
Il lavoro di restauratrice mi ha regalato la conoscenza di un’infinità di tecniche artistiche tessili e questo assieme alla mia “necessità creativa” penso mi abbia portato quasi naturalmente alla creazione di manufatti tessili contemporanei.
Devo dire che sto ancora lavorando su questo percorso artistico perché purtroppo o per fortuna ho una gran necessità di sperimentare nelle forme, nelle tecniche, nei concetti ma spero davvero di poter affinare e svelare questa mia ricerca.