Interviste

RACHEL HEFFERAN

English (Inglese)

*Foto in evidenza: Pellicle Cartography, 2021. Jacquard tessuto a mano. Cotone, lana filata a mano, mohair e cimose. 36,5 x 80, foto cr. Robert Antor, copyright Rachel Hefferan

Traduzione a cura di Elena Redaelli

Rachel Hefferan, artista originaria del Midwest suburbano degli Stati Uniti, si è laureata presso la University of Michigan e ha conseguito il suo MFA presso la School of the Art Institute di Chicago. Attualmente vive e lavora nel Michigan rurale occidentale.

Tessitrice, contadina, ambientalista e appassionata di fermentazione, Hefferan, usando il telaio come strumento metaforico a metà tra scienza e magia, crea arazzi, astrazioni intrecciate che rappresentano e celebrano la bellezza e la complessità della vita microbica e del suo processo di scomposizione e rinnovamento della materia, come in Honeycomb, opera costituita da tre diversi lavori in cui si può osservare una immagine tessuta della comunità microbica che si è formata dopo aver messo a coltura una piccola sezione di favo, una sezione centrale che riproduce fotogrammi di vita microbica vista nell’acqua presa da un contenitore con del muschio e il fondo dell’opera, un disegno della capsula di Petri con colture cellulari di capelli.

Muschi, licheni, funghi e muffe con le loro attività metaboliche di trasformazione e decostruzione, sono quindi la principale fonte di ispirazione dell’artista che, grazie alla mediazione della tessitura crea un nuovo quadro di riferimento, trasformando il microscopico in macroscopico.

http://rachelhefferan.com/

2018. Jacquard intrecciato a mano. Cotone, poliestere Mill Ends, 41"x48", foto cr. e copyright Rachel Hefferan

Come e quando ti sei avvicinata all’arte tessile, in particolare alla tessitura?

Il mio primo incontro con le arti tessili è avvenuto quando frequentavo l’Università del Michigan. Una mia cara amica aveva frequentato un corso con Sherri Smith che all’epoca si teneva una volta a semestre e riuniva studenti di primo livello a studenti avanzati interessati a continuare con l’utilizzo del medium tessile.

Credo fosse l’autunno 2010, o forse la primavera 2011, ero al secondo anno. Sherri non aveva alcun collega di facoltà in questo settore, ed è rapidamente diventata il mentore più terrificante e accattivante che io abbia avuto in quel periodo – penso che tutti i suoi allievi che ho incontrato condividessero questo sentimento[E1] . Gli studenti del primo anno dovevano realizzare una serigrafia di tre metri, tessere un tessuto, e creare un progetto “off loom” (senza telaio) che poteva essere cucito, all’uncinetto, lavorato a cesto, qualsiasi cosa. Sherri era interessata alla scienza, alla natura e a tutto ciò che aveva a che fare con il tessuto. Lei era intensamente critica e invitava a una profonda riflessione critica e concettuale. Sono stata immediatamente affascinata dai processi del tessuto come espressione artistica e ho continuato a seguire il corso. Dopo aver terminato il primo semestre era possibile ripetere il corso per ottenere crediti come studente avanzato. Sherri lasciava che i suoi studenti avanzati perseguissero perseguendo il loro maggiore interesse. All’inizio, facevo un sacco di stampe serigrafiche, in realtà…

Mi sembrava la tecnica più immediata e accessibile; avevo sempre amato disegnare, quindi penso che sia stata una progressione naturale a partire da ciò che già sapevo fare. Quando mi sono laureata, creavo sculture all’uncinetto ispirate alle strutture dei semi e alle divisioni cellulari. Nel 2013, dopo aver concluso il mio corso di laurea, mi sono sentita un po’ persa nel mio lavoro artistico. Mi sono trasferita in un piccolo appartamento con il mio compagno e ho comprato un economico, ma grande, telaio a quattro licci. Lavoravo per un pittore durante il giorno e sul telaio, dopo il lavoro, imparavo attraverso tentativi ed errori. Volevo capire come combinare l’uncinetto, il lavoro scultoreo, con la bidimensionalità della tessitura. Questo è il momento in cui ho davvero iniziato a imparare a tessere. Ho cominciato a fare lavori enormi, dei pannelli, con fenditure da arazzo in cui lavoravo nuovamente con l’uncinetto. Ho fatto lavori in cui mi fermavo per lavorare all’uncinetto i fili di trama nel mezzo della riga e poi continuavo a tessere quello stesso filo.

Divenni sempre più interessata ai pattern nel tessuto come una sorta di disegno lineare che poteva progredire e modificare – come la crescita in una cellula, o il decadimento di una struttura. Preparare l’infilatura di un telaio e poi tesserci sopra era eccitante, non appena iniziavo un lavoro avevo sempre dieci idee sulla prossima opera che avrei creato. Dopo aver tessuto per otto anni, ho deciso di fare un master in belle arti – dopo aver passato così tanto tempo a produrre manualmente volevo davvero rientrare a far parte in un gruppo di pensatori creativi che si pongono domande sull’arte. Volevo studiare con un telaio Digital Jacquard e sono approdata alla School of the Art Institute di Chicago. È stato lì, nel 2018, l’autunno del mio primo semestre, che ho tessuto la prima opera della serie di lavori che continuo a sviluppare ancora oggi. Questo corpus di opere è emerso dagli stessi luoghi di ogni altra tessitura che abbia mai fatto. Vale a dire, il mio interesse nel percorso che prende un filo, lo sviluppo del modello, la crescita, il processo microbico e la decomposizione mi hanno portato al punto in cui mi trovo ora con il mio lavoro.  Penso che questo sia davvero ciò che mi ha fatto continuare a tessere, cioè il continuare a imparare come tessere.

Brettanomyces II, 2019. Jacquard intrecciato a mano. Cotone, Poliestere, Lana, Rayon Mill Ends, 42" x 66", foto cr. Olivia Alonso Gough, copyright Rachel Hefferan

Qual è la tua principale fonte di ispirazione? In che modo la tessitura ti permette di esplorare temi e concetti attorno ai quali ruota la tua pratica artistica?

Per molto tempo il mio lavoro si è concentrato sulle forme che si verificano a livello cellulare durante i processi di crescita e decomposizione. Più recentemente ho scoperto che sono interessata a una condizione intermedia tra le due – questa è la parte del ciclo di vita di un organismo che avviene dopo il deperimento per svilupparsi in una nuova crescita. I materiali e i composti elementari sono riciclati più e più volte in natura, di solito dai funghi. I funghi effettuano questa trasformazione in molti ambienti e spazi. Comunemente si pensa solo ai funghi, ma il regno dei funghi include anche i lieviti. Il mio interesse per il lievito è iniziato otto anni fa, quando il mio compagno ha iniziato a produrre birra in casa. A mano a mano che ha iniziato a produrre più birra, la cosa ha occupato sempre più tempo, e anche io ho iniziato a interessarmi a quello che stava succedendo. Non bastava comprare il lievito al negozio, perché il lievito è su ogni superficie, lo si può “catturare”.  La cattura del lievito selvatico è diventata interessante per sviluppare sapori inaspettati. Alcune delle birre formavano comunità di lieviti visibili sulla fermentazione – queste comunità microbiche hanno sempre catturato la mia attenzione. Corpi vitali, sani e gorgoglianti che galleggiavano in cima al liquido, alcuni di loro sembravano tessuti stropicciati. Essendo una persona che passa molto tempo a guardare e a pensare ai tessuti, avevo il desiderio di toccarli, anche se questo non era possibile perché avrei introdotto nuovi batteri attraverso le mie mani e interrotto la fermentazione. Le pellicole sono estremamente delicate. Così ho iniziato a fotografarle. Ho accumulato un album di foto digitali nel mio telefono senza avere idea di cosa ne avrei fatto. La prima pellicola che ho tessuto aveva un aspetto molto diverso dalla traduzione visiva che attuo ora – avevo tessuto quella pellicola in modo da poterla toccare, o addirittura avvolgermi in essa. Questo processo mi ha completamente coinvolto, le mie tessiture hanno cominciato a cambiare e più imparavo sulla funzione di queste comunità microbiche nel trasformare il materiale da un composto all’altro, più emergevano le metafore. Oscillavo avanti e indietro tra l’imparare e il comprendere il tessuto e i metabolismi dei microbi per approfondire, così, anche il mio.

Local Cultures è un lavoro che hai iniziato nel 2018 e costituisce, se ho capito bene, una sorta di work in progress ancora nel 2022. In cosa consiste questo lavoro e quali prevedi possano essere i suoi futuri sviluppi?

Sì, Local Cultures è un lavoro iniziato nel 2018 che cambia attivamente, lo sto attualmente rivisitando per la mia mostra al Saugatuck Center for The Arts durante la prima metà del 2022. Il lavoro è iniziato come uno studio avvenuto tramite l’esplorazione delle tinture naturali e come una sorta di diario visivo di quei colori che potevano essere ottenuti dall’acqua di scarto della mia cucina o da oggetti alimentari che normalmente avrei compostato. Alcuni esempi erano l’acqua dell’ammollo dei fagioli secchi o i funghi raccolti nei boschi della mia casa in Michigan.

L’opera include sia un tessuto bidimensionale che grandi sezioni lavorate all’uncinetto – è appesa sulla parete in modo da creare un drappeggio, una presentazione molto diversa da quella delle mie tessiture di pellicole. Penso a questa differenza nella forma come alla totalità di un tessuto in grado di imitare il linguaggio visivo della natura rispetto a un’immagine la cui costruzione rende una metafora del processo.

Dall’apertura della mia mostra, within. | woven worlds, ho modificato il lavoro ogni due settimane e continuerò a farlo fino alla chiusura della mostra a giugno. Le integrazioni hanno incluso una serie di cose che sono cambiate nella mia vita quotidiana dal 2018, un esempio importante è una tessitura che contiene il filo proveniente dalle mie pecore, così come dalle pecore dei miei amici – una comunità che comprende sia animali che esseri umani e che è diventata della massima importanza per me. C’è una tessitura fatta con le fibre delle pannocchie di mais, provenienti dall’orto dello scorso autunno, che ho appeso ad asciugare nella mia casa (dopo che il mais era stato rimosso). Lo scopo di questa rappresentazione è quello di riprodurre il cambiamento nella mia comunità così come gli input del mio corpo. Mentre aiutavo i miei genitori a pulire il loro congelatore ho trovato una tintura di noci che avevo fatto nel 2014, ho intenzione di usare anche questa. Quando sarà abbastanza caldo da permettermi di usare il mio studio di tintura all’aperto, comincerò a usare le bucce di cipolla, i noccioli di avocado e altri prodotti alimentari che ho accumulato per ottenere più colori da intrecciare nel lavoro.

Local Cultures, 2018. Tessuto a mano, uncinetto. Lana, iuta, coloranti naturali, filo di rame recuperato, 51" x 70" x 10" (dimensione variabile), foto cr. Jenny Rafalson, copyright Rachel Hefferan
Local Cultures-detail, 2018. Handwoven, Crochet. Wool, Jute, natural Dyes, salvaged Copper wire, 51” x 70” x 10” (size variable) photo cr. Jenny Rafalson, copyright Rachel Hefferan
Local Cultures-detail, 2018. Tessuto a mano, uncinetto. Lana, iuta, coloranti naturali, filo di rame recuperato, 51" x 70" x 10" (dimensione variabile), foto cr. Jenny Rafalson, copyright Rachel Hefferan

I titoli delle sue opere consistono spesso in formule chimiche. Puoi spiegare la ragione di questa scelta?

I titoli che rimandano alla chimica sono una traduzione diretta delle specie che ho usato come fonti iconografiche per costruire la tessitura, ma sono anche simboli di un linguaggio visivo che permette all’osservatore di comprendere quali sono i miei interessi. Le astrazioni sono un modo così bello di coinvolgere la metafora e l’immaginazione. Attribuire alle mie opere i nomi delle specie dei lieviti sembrava la scelta più giusta per identificarle come esseri viventi che hanno un nome e si distinguono nel mondo… però allo stesso tempo questo non esprimeva il livello di curiosità che ho nei confronti di questi organismi. Le strutture sono catene polipeptidiche, ad ogni peptide è assegnata una lettera da usare come abbreviazione, in modo che vi si possa fare riferimento più rapidamente – A, D, E, ecc.

A causa di questa abbreviazione, il processo può essere eseguito al contrario – si può prendere una parola e creare una catena polipeptidica per rappresentarla, probabilmente questa struttura peptidica non esisterà (ma chi lo sa!). Le catene polipeptidiche sono un linguaggio chimico che può essere letto in maniera indipendente da qualcuno, diciamo da un chimico (come mio marito), senza andare su Google. Vedendo uno strano polipeptide, lui direbbe: “Ehi, cos’è questo?” e starebbe lì a sillabarlo. Mio marito, Nick, è stato un’incredibile fonte di ispirazione ed è un’influenza costante per la mia comprensione del processo microbico. Le catene polipeptidiche sono qualcosa a cui penso come un linguaggio (uno di quelli che ho bisogno di un software per poter parlare), anche la tessitura è un linguaggio, uno che può essere scritto in quadrati in bianco e nero denominati armature, passi e legature. Così le catene peptidiche sono un cenno al mio partner, Nick, ma anche a coloro che sanno parlare quella lingua.

Che tipo di routine hai quando inizi un nuovo progetto/lavoro? Com’è una giornata tipica nel tuo studio?

Sono sicuramente un tipo di persona iper-concentrata, quando mi addentro nella realizzazione di un’opera, finché non la finisco, il processo è molto logorante. Tra un momento e l’altro del fare, assorbo immagini/pensieri/idee come una spugna. Le annoto e potrei non guardarle mai più, ma l’atto di scrivere mi aiuta a ricordare. Il lavoro, di solito, inizia con un’immagine di partenza che potrebbe essere una foto scattata da me, un disegno di qualcosa che vedo o che ho immaginato – a volte è qualcosa che viene da altre persone con interessi simili ai miei. Ultimamente le mie immagini di partenza sono tratte dalle pellicole di lievito, una comunità microbica vivente visibile a occhio nudo che, di solito, si sviluppa sopra una fermentazione. Ho lavorato in una distilleria di sidro e alcune delle immagini sono state scattate grazie ai produttori di sidro che mi hanno dato una dritta su dove indirizzare il mio sguardo. Ho anche aiutato a produrre molta birra fatta in casa, sottaceti, crauti, formaggio di anacardi, kombucha. Per un po’ ho messo sotto il microscopio di Nick qualsiasi cosa mi venisse in mente. Faccio molti disegni e scarabocchi. Quando si tratta di concretizzare queste immagini sul telaio, di solito ho un obiettivo preciso da ottenere tramite il mio attrezzo – un ‘e se’ che arriva in modo naturale dall’esperimento precedente. Penso a un telaio come a uno strumento, un dispositivo che può essere usato e adattato per un apprendimento interattivo – questo vale anche per la ricerca scientifica. ‘What if’ (la variabile) può essere la dimensione dei fili, il modo in cui i disegni o fili di trama si incontrano (o forse non si incontrano).

Al momento, lo studio dove lavoro è una stanza interna che occupa circa 1/2 del fienile della nostra proprietà. Di solito porto con me uno dei miei cani e camminiamo attraverso il giardino fino alla porta sul retro. In questo momento, è inverno, accendo una serie di scaldini e mi cambio le scarpe per tenere la neve lontana dal telaio. Mi piace ascoltare dei libri, sia di narrativa che di saggistica, mentre lavoro al telaio. Mi piacciono i libri fantasy come Storm Light Archives di Brandon Sanderson e i romanzieri di fantascienza come Andy Weir, ma mi piace anche ascoltare Michael Pollan o Clara Parkes. Spesso mi si chiedono informazioni sui filati che utilizzo e su come scelgo il colore.

Per me il colore non è rappresentativo del soggetto che voglio rappresentare, è un modo per diversificare il disegno e la profondità – per questo, non deve essere mimetico rispetto a ciò che vediamo. I colori usati possono dirci di più su come le cose sbiadiscono, si fondono o addirittura si respingono, come l’olio e l’acqua. Ho sempre usato qualsiasi filato si trovi in giro, avvolgo molte più bobine di quelle che mi servono e le allineo in ordine, in progressione, per vedere cosa succede e per avere un punto di riferimento rispetto a ciò che verrà dopo. Questo è utile perché, quando stai tessendo, puoi vedere solo la piccola sezione del lavoro davanti a te prima che venga avvolta sul subbio anteriore. Quando ho accesso ad un TC2 – come alla scuola di specializzazione o durante una residenza, i pattern sono pre-programmati in un file che viene letto dal telaio. Posso fermarmi e fare dei cambiamenti, e lo faccio, ma la tessitura va molto veloce. Potrò fare dei ritocchi solo dopo averla vista completata, e solo nel lavoro successivo. Su un telaio artigianale, mentre sto lavorando posso modificare la mia idea originale, il processo è più lento e, per me, ogni movimento è più consapevole. Sono fortunata ad aver avuto la possibilità di lavorare alternativamente con entrambi questi strumenti.

2020. Cotone intrecciato a mano, lana, 40"x 41", foto cr. e copyright Rachel Hefferan
Animalcule, Atlante, 2021. Jacuqrd intrecciato a mano. Estremità del mulino in cotone, lana e poliestere, cerchio della botte del vino, 28 "x 28" x 2", foto cr. e copyright Rachel Hefferan

Ci sono artisti contemporanei che senti vicini alla sua ricerca e al suo linguaggio?

Mi interessano molto gli artisti che hanno superato il confine di un rapporto metaforico con la realtà. Voglio essere chiara sul fatto che credo fermamente che l’arte estetica/metaforica abbia valore e importanza come strumento per capire e relazionarsi con il mondo che ci circonda, ma non posso fare a meno di desiderare personalmente di fare qualcosa che diventi, a tutti gli effetti, una sorta di metrica o bioinformatica. Cose che possano far scaturire un vero e proprio progresso scientifico attraverso la collaborazione con la scienza ambientale o con quella che io definisco “pratica d’uso” – una situazione in cui la collaborazione con ingegneri, biologi o tecnici sia generativa e applicata da entrambe le parti a ciò che ci circonda. Whitefeather Hunter, è un’artista per la quale ho molto rispetto e ammirazione, con il suo attuale progetto sulle bioplastiche, il progetto di microtessitura e la congrega della bioarte.

Mi interessa il progetto di ricerca collaborativa di Elisa Palomino sulla concia sostenibile della pelle di pesce teso a promuovere la sostenibilità e a valorizzare l’importanza di questo materiale attraverso la storia dell’uomo e il suo significato per noi oggi, in un’epoca di sprechi così epici nel settore tessile.

Ancora, la ricerca e la collaborazione di Isaac Facio nel progetto ‘The Fabric of the Universe’ sulla rappresentazione della materia oscura come una bioinformatica tridimensionale che ha dimostrato come i tessuti possano aiutare a visualizzare le informazioni e creare comprensione, questo è qualcosa a cui aspiro. Sono anche estremamente attratta dai lavori dei tessitori che creano tessuti dimensionali, elaborati e talvolta stratificati che dimostrano la loro comprensione e relazione con lo strumento, e ce ne sono troppi da nominare.

Animalcules 2, 2021. Handwoven Jacquard, 37"x32". Cotton, Hand Spun Wool, Mohair, & Mill Ends, photo cr. Robert Antor, copyright Rachel Hefferan
2021. Jacquard intrecciato a mano, 37"x31". Cotone, lana, foto cr. Robert Antor, copyright Rachel Hefferan

C’è un progetto, un lavoro che ti sta a cuore e che non hai ancora avuto modo di realizzare?

Ho sempre voluto realizzare un’opera d’arte che consistesse interamente di fibre provenienti dai miei animali – ho pecore e capre. Una parte importante e sostenibile della mia pratica attuale è anche l’utilizzo di filati di seconda mano o di scarto. C’è un aspetto molto speciale, secondo me, nel fare qualcosa che proviene interamente dagli animali di cui mi prendo cura. Toso da sola i miei animali e filo a mano la loro lana – non sono ancora sicura di come sarà quest’opera d’arte e non sono sicura che sarà ‘sugli’ animali stessi, ma sarebbe qualcosa che vivrei come un risultato.

Kombucha Flat, 2018, Jacquard intrecciato a mano. Cotone, lana, 41"x42", foto cr. e copyright Rachel Hefferan

A cosa stai lavorando in questo momento?

Attualmente sto realizzando una tessitura sul mio telaio a 12 licci usando un cartone (un’immagine di riferimento) che presenta l’altra metà di una pellicola che ho già tessuto per un lavoro precedente. Un pezzo gemello di Firma Calva, questa volta tessuto con un doppio ordito molto denso. Avevo intenzione di usare questo tipo di ordito anche per il primo pezzo, ma avendo una grande sezione di ordito rimasta da un lavoro precedente, avevo dovuto modificare il progetto.

In termini di ricerca, mi sono ispirata molto al bandeggio cromosomico – e alla traduzione dei cromosomi colorati in immagini delle bande (che è il modo in cui li comprendiamo come distinti). Sono particolarmente interessata ai 27 cromosomi di Ovis aries (pecora) – non sono ancora sicura di cosa realizzerò la tessitura ma le bande, come marcatori distintivi, si prestano alla semplicità della striscia sul telaio. Così come le influenze del cibo e delle bevande fermentate si sono insinuate nel mio lavoro e nel mio processo, mi aspetto che le vicissitudini del mio bestiame stiano per fare il loro ingresso nel mio lavoro in studio.

Maria Rosaria Roseo

English version Dopo una laurea in giurisprudenza e un’esperienza come coautrice di testi giuridici, ho scelto di dedicarmi all’attività di famiglia, che mi ha permesso di conciliare gli impegni lavorativi con quelli familiari di mamma. Nel 2013, per caso, ho conosciuto il quilting frequentando un corso. La passione per l’arte, soprattutto l’arte contemporanea, mi ha avvicinato sempre di più al settore dell’arte tessile che negli anni è diventata una vera e propria passione. Oggi dedico con entusiasmo parte del mio tempo al progetto di Emanuela D’Amico: ArteMorbida, grazie al quale, posso unire il piacere della scrittura al desiderio di contribuire, insieme a preziose collaborazioni, alla diffusione della conoscenza delle arti tessili e di raccontarne passato e presente attraverso gli occhi di alcuni dei più noti artisti tessili del panorama italiano e internazionale.