SCARPÈT una calzatura sempre di moda
Gli scarpét 1 (scarpes, scarpez, scarpetti) sono semplici calzature di stoffa, senza tacco, tipiche della tradizione popolare della Carnia: un’area montana nella Regione Friuli-Venezia Giulia (nord- est dell’Italia). Si tratta di pantofoline chiuse o pianelle, comuni in tutta l’area alpina e presenti anche in pianura, indossate da secoli da donne, uomini e bambini e confezionate in casa con gli stracci vecchi che non potevano essere riciclati per un uso diverso. Espressione di una cultura dove non esistevano sprechi e dove i rifiuti erano una risorsa, gli scarpes per la classe meno abbiente erano un lusso, duravano una vita e venivano indossati solamente per le occasioni importanti, come feste o nozze, mentre per il lavoro erano in genere usati pesanti zoccoli (dalmine) di legno. Spesso però i piedi, soprattutto quelli dei bambini, erano scalzi (discolz). La suola era costituita da uno strato di circa un centimetro di tessuti sovrapposti (blecs), cuciti insieme con un ago appuntito ed un filato molto robusto. Questa fase del lavoro era particolarmente faticosa, richiedeva molta pazienza ed una certa forza. La tomaia, cucita saldamente alla suola, era in panno, fustagno o velluto, di colore scuro e rifinita con bordure in colore contrastante. La parte anteriore era spesso ricamata con filati di lana o seta colorati. Impreziosivano e abbellivano l’accessorio, semplici motivi geometrici oppure delicati mazzetti di fiorellini, stelle alpine, spighe di grano, che resi in modo naturalistico comunicavano messaggi positivi e di buon auspicio. La forma di base era uguale, ma non priva di leggere differenze: piccoli fiocchi, coccarde, bottoni o strisce di tessuto increspato guarnivano la tomaia, la punta poteva essere rotonda, appuntita o rialzata verso l’alto. Quest’ultima caratteristica agevolava il cammino in terreni accidentati e scoscesi. La scollatura tondeggiante era più o meno pronunciata e poteva essere arricchita con un pic (graziosa punta modellata), oppure con un corto gambale (scarpeti cu la gugia) in lana o cotone bianco greggio lavorato a maglia (la parte alta del calzetto pesante) trattenuto sul collo del piede da un grazioso nastrino colorato.
1 Sull’argomento: Michele Gortani, L’Arte Popolare in Carnia, il Museo delle Arti e Tradizioni Popolari, Società Filologica Friulana, 1965; Attraverso l’abito. Modelli, tessuti, decori, accessori, di G. Morandini, C. Romeo e L. C. Tommasi Crudeli, in Modi di vestire, modi di essere. Abbigliamento popolare e costumi tradizionali del Friuli, a cura di G. P. Gri, pp. 49-155, Tavagnacco (Udine) 2003; E. Brunello e C. Romeo, Collezioni Tessili di Cjase Cocèl, in Feagne, Roberto TIRELLI (a cura di), Numero Unico della Società Filologica Friulana, pp. 169 – 211, S. Dorigo della Valle (Trieste) 2007; C. Romeo, Il costume popolare, in Nuove lezioni di lingua e cultura friulana, a cura di F. Vicario, Società Filologica Friulana, pp. 41-80, Pasian di Prato (Udine) 2006.
Stafèt viêrt mieçe pÎt da festa – Museo Cjase Cocèl Fagagna – Udine
L’origine di queste calzature è molto antica, culture diverse molto lontane fra loro nel tempo e nello spazio, pur non essendosi mai incontrate hanno adottato lo stesso tipo di calzatura, la loro foggia infatti scaturisse in modo naturale da necessità oggettive e dalle potenzialità dei materiali reperibili sul territorio. Anche, poco lontano da Udine, a Fagagna, San Daniele e Gonars, fin dai primi del Novecento vengono prodotte le graziose scarpette friulane tradizionali, simili a quelle della Carnia, ma in queste zone si chiamano stafèt sierât o viêrt (mieçe pÎt); foderate e rinforzate sotto la suola con materiale resistente (frammento di copertone di ruota di bicicletta); nella versione maschile, verso il collo del piede, presentavano un nastro elastico che consentiva ampia libertà di movimento. Gli stafètùs per i più piccoli erano stretti ai piedini con la tirelute, una cinghietta chiusa da un bottoncino.
Stafèt sierât femminili da festa sec.XIX – Museo Cjase Cocèl Fagagna, Udine
Oggi, sono diversi gli artigiani che propongono al mercato contemporaneo gli intramontabili scarpét riscuotendo un discreto successo e certamente provando grande soddisfazione e orgoglio per il privilegio di appartenere a una terra tanto bella e ricca di tradizioni.
Presso IL CAVALIR Ecomuseo della Gente di Collina di Fagagna (Friuli, Italia), nel Laboratorio “Arte della Tessitura”, istituito per la riscoperta dell’arte tessile tradizionale del Friuli, è stata prodotta una serie di calzature che pur ri-proponendo quelle tradizionali soddisfano un gusto moderno. I tessuti per le tomaie di seta, lino e cotone, sono stati eseguiti su telai a mano a 16 e 12 licci. I disegni (piccolo operato) s’ispirano a quelli degli antichi tessitori carnici del Settecento, ben documentati nei manoscritti degli artigiani (dal sec XVIII agli inizi del Novecento) che il Laboratorio sta studiando da qualche anno. La confezione delle calzature è stata fatta a mano da un artigiano friulano. Le tessitrici sono Flavia Assini, Franca Fiascaris e Angela Gorasso, la docente è Carmen Romeo.
Le fotografie sono dell’archivio fotografico di Carmen Romeo.