SERENA NICOLI
*Foto in evidenza: Nudos 2020 Fine Art Pigment Print Hahnemüle ultra smooth 100% cotone (stampa 2022) cornice 31×46 cm Courtesy l’artista
Nata a Varese, classe 1985, Serena Nicolì si è diplomata in Arti Visive Contemporanee presso l’Accademia di Belle Arti Santa Giulia di Brescia, dopo gli studi e la Laurea in Relazioni Internazionali che per molti anni l’hanno portata a viaggiare e lavorare in diversi paesi del mondo (Spagna, Cina, America Latina). Questa cifra dinamica dell’esistenza ha profondamente influenzato la sua ricerca artistica che si sviluppa a partire dalla rilettura delle geografie biografiche, identitarie e culturali, sia personali e vissute, che collettive ed immaginate. Lavora con diversi tipi di materia, su cui imprime un’azione fortemente manipolativa e gestuale, con una particolare predilezione per le fibre tessili prevalentemente naturali, accostando anche materiali organici.
Ci ha raccontato di sé e del suo lavoro in questa intervista per ArteMorbida.
Il nodo è elemento base di molti tuoi lavori recenti. Cosa rappresenta per te?
Il nodo è il sistema emblematico della mia poetica visiva, del mio procedere. Rappresenta matericamente e simbolicamente l’unione, il legame fra due parti. Tuttavia, non costituisce un vincolo indissolubile. Per sua natura presenta al tempo stesso l’ambivalenza della connessione e dello scioglimento. La storia individuale e collettiva di tutti noi è fatta di legami, saldi o permeabili allo scorrere del tempo e delle relazioni umane. Un sistema di nodi e intrecci determina una trama particolare, come se fosse la narrazione di tutte quelle unioni che costituiscono il nostro universo collettivo.
Le fibre che prediligo annodare per i miei lavori sono le corde. Nel nostro ventre tutti noi portiamo la traccia di un cordone, simbolo di un legame e canale di trasmissione del nutrimento vitale. Lavorare con la corda significa agire umanamente nel segno di una traccia già esistente in noi, in ciò che si è delineato a partire dalla nostra origine e che rimane impresso nel nostro corpo per sempre.
Legare significa quindi per me tracciare degli itinerari esistenziali, cioè creare delle trame di materia e di vita. Annodare è un gesto che mi permette di entrare in una dimensione dialogica con il corpo, la materia e il tempo.


Fibre e tessuti sono tra i tuoi materiali d’elezione. Quando hai iniziato a sperimentare il medium tessile e quali sono i fattori che ne fanno il linguaggio espressivo più idoneo per la tua ricerca artistica?
Fibre e tessuti rappresentano per me una storia familiare. Mio nonno paterno commerciava biancheria nel secondo dopoguerra, quindi già da piccola sono cresciuta con l’idea e l’attenzione al tessuto di qualità. Poi, grazie alle esperienze professionali in America Latina, soprattutto in Ecuador, dove ho vissuto e lavorato per sette anni, sono stata a stretto contatto con le filiere di produzione di alcune fibre tessili locali: lana di ovini e camelidi. Frequentando poi l’Accademia Santa Giulia di Brescia, nel biennio specialistico in Arti Visive Contemporanee, il mio interesse si è diretto subito sul medium tessile. Lavoro da cinque anni con questi materiali, che grazie alla loro morbidezza si prestano ad un altissimo grado di flessibilità e manipolazione, permettendomi così di imprimere il gesto sulla materia in modo libero, forte ed evidente.
Chi e cosa ha influenzato o ispirato il tuo lavoro d’artista nel corso del tempo?
Personalmente sono molto affezionata ad alcuni grandi artisti, che nella storia passata o più recente hanno sfondato territori concettualmente inesplorati e le cui opere hanno grande forza comunicativa. Solo per citarne alcuni: William Morris, Sonia Delaunay, Eva Hesse, Joseph Beuys, Jannis Kounellis, Louise Bourgeois, Maria Lai e ai giorni nostri anche Mona Hatoum, Chiharu Shiota, Sissi.
Rispetto al cosa, invece, mi lega al mio modo di operare un sentimento atavico, quasi primordiale, non del tutto spiegabile a parole. Per esempio, rispetto al nodo, qualche studioso teorizza che l’uomo possa aver iniziato ad intrecciare fibre naturali, animali o vegetali, già prima della scoperta del fuoco. Difficile a dirsi, ma questa primordialità del gesto io la sento come una necessità espressiva impellente e insostituibile. Forse il nostro essere artisti ha davvero origini molto lontane nel tempo.
Corpo, materia, cambiamento: come sono declinati questi tre elementi nella tua pratica artistica?
Il corpo è la mia unità di base, fisica e concettuale. Di fatto il mio lavoro parte spesso da una ricerca biologica e se questa non si concretizza con l’uso di un materiale organico, ne presenta comunque un forte rimando nella forma o nella formalità. Per esempio in alcuni lavori di ricamatura, al posto del filo ho usato i miei capelli; mentre in altri, le corde annodate mi hanno permesso di comunicare una certa visceralità. La materia dunque, più che prestarsi al concetto, di fatto è un tutt’uno con esso. Il cambiamento per me è un movimento. Nel mio lavoro di annodatura non è evidente solo il risultato, ma anche la traccia del processo, del gesto che trasforma. Questo per me è il moto interiore dell’animo dell’artista che si manifesta concretamente.

Come si è evoluto e come è cambiato il tuo ‘fare arte’ dagli esordi ad oggi?
Nei primi anni ho sperimentato molti mezzi espressivi, mescolando spesso materiali e utilizzando tecniche diverse. La pittura e il tessuto, per esempio, hanno per me ancora un confine molto labile, sottile, permeabile. In alcune mie sculture tessili, è come se dipingessi senza la pittura, solo con le corde, ricercando quel bilanciamento compositivo-cromatico, che avrei cercato anche nella pittura.
Attualmente sto lavorando anche ad una ricerca che avvicina sempre di più corpo e fibre tessibili, in un un’unione che lascia ancora grandi spazi di libertà espressiva, attraverso il medium performativo.
Cosa significa per te essere un’artista?
Essere. Vivere. Sentire. Amare. Soffrire. Comunicare. Trasformarsi. Giocare. Stupirsi. Produrre. Legare. Abbandonarsi.



Quanto è autobiografica la tua arte? E che rapporto c’è fra arte e vita per te?
La mia produzione parte quasi sempre da una nota autobiografica, da quel vissuto intimo e personale che fa parte della storia di ognuno di noi. Si potrebbe dire che il mio lavoro indaga le geografie biografiche, le morfologie dell’anima e le relazioni di vita, attraverso quelle trame che io realizzo con la materia e che corrispondono essenzialmente ad una narrazione dell’esistenza. In sostanza per me arte e vita coincidono eternamente.
L’opera più intima, più ‘tua’ che hai realizzato?
120 fiori: è un’opera autobiografica, composta da centoventi piccole sculture bianche in tessuto, disposte a parete, a pavimento o pendenti dal soffitto. Questi fiori rappresentano una persona o un gruppo di persone unite fra loro. È un’opera che riflette le mie relazioni parentali, sentimentali, d’amicizia. Sessanta corolle sono unite fra loro in piccoli gruppi con i gambi annodati. Ogni nodo rappresenta un’unione reale della mia vita, omaggiando anche legami già perduti. Per realizzare il lavoro ho preso anche alcuni nodi della nautica e li ho rifatti volutamente in modo inesatto, per rendere l’idea di quelle relazioni che nella nostra vita consideriamo sbagliate e che, facendo comunque parte del nostro percorso, non vanno negate. Sessanta sono invece le corolle libere, non ancora annodate, che simboleggiano quei rapporti da stabilirsi in futuro, o quelli sospesi, ancora da capire.

Nuovi progetti all’orizzonte?
Sì, esporrò in alcune mostre collettive, in cui avrò il piacere di condividere uno spazio fisico e intellettuale con altri artisti. Credo profondamente nei processi partecipativi come luoghi privilegiati di maturazione, per questo stabilisco spesso collaborazioni con altri colleghi. Sto lavorando anche ad un progetto che riunisce varie arti: quella visiva e quella musicale, con l’ausilio di altre sensibilità artistiche.
I prossimi mesi vedranno una mia partecipazione alla mostra collettiva Nodi a Puegnago del Garda (11 settembre-9 ottobre), voluta da Francesco Visentini, presidente dell’UCAI e curata da Anna Piergentili, dove oltre alle opere esposte, realizzerò una performance per il finissage.
Sarò presente anche a Paratissima a Torino (2-6 novembre), all’interno della mostra Savoir Faire, uno dei sei progetti della sezione Nice&Fair, con la mia opera di ricamatura con i capelli Amore sprecato, nella mostra curata da Federica Tomatis e Ksenia Yarosh.
In vista del prossimo anno, una personale: un grande sogno e un grande lavoro. Non vedo l’ora!