Interviste

Servet Koçyiğit

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*Foto in evidenza: Soft Landing, vista della mostra Istanbul Modern 2020, 420x360cm (quattro parti 210x180cm ciascuna). Ricamo in seta su trapunta di raso, foto del Museo moderno di Istanbul


Servet Kocyigit artista originario di Kaman, Turchia, classe 1971, si è formato presso la Gerrit Rietveld Academy di Amsterdam. Attualmente vive e lavora ad Amsterdam.

I lavori di Kocygit sono stati esposti in numerose mostre collettive e personali in Brasile, Cina, Francia, Germania, Italia, Polonia, Israele, Paesi Bassi e Turchia tra gli altri.  Importanti riconoscimenti sono stati tributati al suo lavoro, come lo “Shpilman International Prize for Excellence in Photography 2016” e il “The New Best Photographer of the Year “, Lianzhou Foto Festival China (2012).

Da circa un decennio il lavoro di Kocygit si concentra sul concetto di mappatura e attraverso le sue opere, ne esplora e documenta le molteplici sfaccettature.

Con le mappe tessili, partendo da opere come “This is my island”, fino ad arrivare alle più recenti della serie “Mapping Refugee Camps”, l’artista mette in discussione i modi in cui vengono create le attuali geografie e riflette sulla frattura esistente tra il modo in cui rappresentiamo il mondo e il mondo reale.

I tessuti, intrisi di identità, memoria e storia, rappresentativi di culture diverse, del loro evolvere e modificarsi nel tempo, sono parte integrante della sua pratica artistica e contribuiscono alla creazione di quelle geografie immaginarie con cui ridisegnare e risignificare le nozioni di appartenenza, identità e confine.

http://servetkocyigit.net/

Everything, 2009, 160x320x10cm, uncinetto fatto a mano, rocchetti di cotone, telaio. Copyright Servet Koçyiğit

Come ti sei avvicinato all’arte e quale è stato il tuo percorso di formazione?

Ho una formazione completamente diversa, ho studiato Ingegneria, una scelta più realistica da fare da ragazzo. Ma sono anche stato un bambino estremamente creativo e ho sempre voluto studiare qualcosa con più creatività, il cinema per esempio. Per pura coincidenza sono finito alla Gerrit Rietveld Academie di Amsterdam. La loro apertura mentale mi lasciava esterrefatto, la formazione se paragonata agli studi di ingegneria era molto poco strutturata. Cercavano di insegnare il pensiero creativo più che insegnare arte. Era un ambiente estremamente progressista. Mi sono anche trovato immerso in una cultura diversa dalla mia e in un ambiente internazionale, mi sentivo fortunato ad essere lì e mi è piaciuta tantissimo questa esperienza, che ha ancora una forte influenza sul mio lavoro di oggi.

Everything-dettaglio, 2009, 160x320x10cm, uncinetto fatto a mano, rocchetti di cotone, telaio. Copyright Servet Koçyiğit

Che tipo di ricerca caratterizza la tua produzione? Cosa influenza maggiormente il tuo immaginario e la tua pratica artistica?

La ricerca è una parte importante della mia produzione artistica. Per alcuni artisti lo è ancora di più, c’è molta arte che si basa sulla ricerca, per altri invece ha meno importanza, io mi trovo un po’ nel mezzo.

Ho un istinto innato nel collegare e comprendere un soggetto, ma non voglio limitarmi a creare qualcosa che si basi unicamente su questa ricerca. Se possibile mi piace sviluppare nuove idee, nuove prospettive e un approccio personale alla materia.

Molte cose solleticano la mia immaginazione. Qualcosa di molto visibile in evidenza davanti a tutti, per esempio. A volte è una piccola storiella, altre un panorama mozzafiato. La mente di un artista è come un quaderno, aggiunge piccoli punti di informazione e continua a costruire fino a quando non sarà pronto ad usare il prodotto finale.

Island Close To Sky 1, This Is My Island mostra personale 2015, Ricamo su tessuto, 120x120 x4cm. photo cr. Chromaistanbul, copyright Servet Koçyiğit
Island Close To Sky 1-detail, This Is My Island mostra personale 2015, Ricamo su tessuto 120x120 x4cm., copyright Servet Koçyiğit
Lullaby, 2020 160x3cm Trapunta in raso, copyright Servet Koçyiğit
Lullaby, 2020 160x3cm Trapunta in raso, copyright Servet Koçyiğit

Qual è il legame tra la tua pratica artistica, il territorio e la cultura della tua terra? Quanto è biografico il tuo lavoro?

Non mi identifico più con una particolare geografia o cultura. Sono un ospite e vengo ospitato da persone meravigliose in giro per il mondo. Fluttuo fisicamente e mentalmente fra culture e lungo il percorso ho collezionato ciò che mi piaceva di più e che si spera mi abbia reso un uomo migliore.

È ovvio che porterò sempre qualcosa della mia infanzia, del luogo da cui provengo, con me. Solo io posso visitare le cose del mio passato che mi suscitano interesse. Tuttavia, le mie opere sono molto autobiografiche, anche se non disprezzo l’arte anonima, quell’arte in cui non si vede l’artista che l’ha concepita o che è molto astratta. Metto sempre qualcosa di me nelle mie opere, mi piace questo collegamento manifesto fra l’arte e l’artista. È una scelta che mi viene naturale, non potrei mai esimermi dal creare arte biografica – l’arte e la vita cammineranno sempre a braccetto.

Agent Orange, 2016, 120x170x4cm, collage tessile, pittura, ricamo, bottoni,copyright Servet Koçyiğit
Golden Lining, 2016, 120x170x4 cm, collage tessile, pittura, ricamo, bottoni copyright Servet Koçyiğit

Mapping Refugee Camps è una serie di opere che hai iniziato durante la pandemia. Come è nato questo progetto e di cosa parla? Lo vedi come una sorta di work in progress oppure è una serie che consideri conclusa?

L’arte è un processo molto organico. Non ho creato Mapping refugee camps dalla sera alla mattina, sono 10 anni che elaboro i processi di mappatura. Forse la prima opera della serie “This is My Island” che risale al 2013, era più intuitiva. Era una mappa fatta di Kefiah usate nel Medio Oriente, ma la mappa non mostrava il Medio Oriente. Da lì è partita l’idea delle “Mappe non geografiche” che si interrogavano su come le mappe vengono concepite, quale è il vero significato di terra e confine. Mi sono presto reso conto che tutte le mappe sono sbagliate, non sono fatte per le persone, ma per dividere le persone.

Dopo aver prodotto un gran numero di opere di questa serie, ho capito che lo stesso valeva per i campi dei rifugiati: sono dei “non luoghi”, dei “limbo” “senza geografia”. Esistono nella realtà ma ufficialmente sono solo degli insediamenti temporanei privi dello statuto di città o villaggio, sebbene alcuni di essi esistono da molti anni. Le persone che vi abitano non sono riconosciute come cittadini del Paese in cui si trovavano i campi.

Per questa serie ho usato le cosiddette “borse degli immigrati”, borse che di solito le persone portano con sé quando sono in viaggio. Finora ne ho realizzate 3 della serie, ma dubito di aver finito.

Quale è il significato e la funzione che il medium tessile riveste nell’ambito della tua ricerca? Quando hai iniziato ad includere i tessuti nel tuo lavoro?

Il tessile, l’artigianato e l’uncinetto hanno una lunga storia nel mio lavoro. Li ho usati a turno in modo diverso per opere diverse; i primi lavori all’uncinetto erano opere concettuali. L’uncinetto, attività ripetitiva e lenta, gioca con il linguaggio stesso. Per la serie delle mappe, ho utilizzato ogni volta tipi diversi di tessuti, tutti con storie interessanti alle spalle. Tessuti che rappresentano un gruppo di persone, che hanno un significato storico. Per esempio, il tessuto che ho usato per “Road Kill” nel 2019 proviene dal Sudafrica e si chiama shwe-shwe. Andando ad analizzare la storia di questo tessuto si scorge anche la storia del colonialismo e la storia di come le culture sono state alterate dal colonialismo. Un tessuto dal design occidentale definisce la cultura in altre geografie.  Una storia simile è quella di “Vlisco”, prodotto e disegnato da un’azienda olandese ma conosciuto come materiale africano. È diventato una parte importante della cultura. Per questi motivi la mappatura e il tessile si sono sovrapposti per me.

Road Kill, 2019, 180x235cm, Tessuto, vernice, bottoni. Produced by CoHERE, copyright Servet Koçyiğit
Road Kill-detail, 2019, 180x235cm, Tessuto, vernice, bottoni. Produced by CoHERE copyright Servet Koçyiğit
21.674 People, 2006, 4x12m, uncinetto fatto a mano, 27th Sao Paulo Biennale,copyright Servet Koçyiğit
21.674 People-detail, 2006, 4x12m, uncinetto fatto a mano, 27th Sao Paulo Biennale copyright Servet Koçyiğit

Soft Landing è l’opera creata durante l’International Artists Residency Program del 2019 ad Istanbul, in collaborazione con artigiani locali produttori di trapunte e ricami tradizionali turchi. Puoi raccontarci qualcosa di più di questo lavoro e dell’intero progetto? Più in generale, che impatto hanno avuto, nel tuo percorso personale e professionale, le molte residenze d’artista a cui hai preso parte?

È stato un progetto molto interessante e divertente, organizzato dal Museo moderno di Istanbul.  Un gruppo di artisti internazionali è stato invitato a Istanbul e si è messo in contatto con gli artigiani locali per lo sviluppo delle opere. Istanbul ha una storia molto lunga e un artigianato eccellente: io ho scelto di lavorare con un produttore di trapunte tradizionali turche realizzate in raso. È una delle tradizioni che è ormai quasi in via di estinzione. Ho anche fatto ricerche sulla storia della città e sul lavoro di Piri Reis, un famoso marinaio/cartografo turco. Ho prodotto opere che combinano la fabbricazione di quilt e la cartografia nello stile del XIV secolo con un tocco moderno. La cartografia di quel periodo utilizzava molte immagini anziché grafici, e rappresentava non solo i luoghi, ma anche alcune storie che li riguardavano. È così che è stato realizzato “Soft Landing” nel 2020. C’erano anche diverse signore che ricamavano le immagini che avevo disegnato con la seta sul raso.

Mi piacciono molto le residenze: penso che sia un ottimo modo per capire le culture del mondo. Inoltre, si adattano bene al tipo di lavoro che svolgo.  Si ha la possibilità di trascorrere un po’ di tempo in un paese diverso, di parlare con le persone e di produrre qualcosa insieme. Non si tratta solo di opere d’arte, ma anche dell’intera esperienza di entrare in contatto con persone di diverse aree geografiche. Ho imparato molto da questa esperienza, la mia residenza a Johannesburg ha avuto un grande impatto sul mio lavoro. Non avrei mai potuto comprendere appieno la portata e la profondità del colonialismo senza essere lì.

Soft Landing, 2020, 420x360cm (quattro parti 210x180cm ognuna), ricamo in seta su trapunta di raso. Vista della mostra Istanbul Modern, Photo Credit Istanbul Modern
Soft Landing-dettaglio, 2020, 420x360cm (quattro parti 210x180cm ognuna), ricamo in seta su trapunta di raso, copyright Servet Koçyiğit
Soft Landing-dettaglio, 2020, 420x360cm (quattro parti 210x180cm ognuna), ricamo in seta su trapunta di raso, copyright Servet Koçyiğit

Ci sono artisti contemporanei che senti vicini alla tua ricerca e al tuo linguaggio?

Amo l’arte e seguo molti artisti, ma la cosa che trovavo strana da studente d’arte era che tutto era molto ‘occidentalizzato e americanizzato’ (e ancora lo è). Per chi proviene da un background diverso e da una cultura diversa, a volte è molto difficile relazionarsi. Per esempio, posso apprezzare esteticamente il lavoro di Richard Serra, ma non lo sento vicino a me. Io non sono nato in un Paese industrializzato, vengo da una zona rurale, non uso ferro nel mio lavoro. C’è una certa estetica occidentale che viene accettata come “buona”, tutto il resto viene respinto.

Ero davvero alla ricerca di artisti che non provenissero dall’Occidente quando ho scoperto artisti come Helio Oiticica, Lygia Clark e David Madella. Erano consapevoli dell’arte occidentale e lavoravano negli Stati Uniti e in Europa. Ma hanno cercato di portare qualcosa dalle loro culture: è stato molto incoraggiante per un giovane artista come me.

Tsonga, 2017, 150 x 200 x 4 cm, collage tessile, pittura, bottoni, copyright Servet Koçyiğit
Tsonga-detail, 2017, 150 x 200 x 4 cm, collage tessile, pittura, bottoni, copyright Servet Koçyiğit

C’è un aspetto del tuo lavoro che non è stato ancora raccontato? C’è una domanda che non ti è stata ancora posta e che ritieni invece importante per descrivere te e la tua arte?

Lavoro nell’arte da quasi 25 anni ed ho prodotto molte opere in questi anni. A volte i miei punti di vista o i miei interessi sono cambiati. Tuttavia, riesco a scorgere i collegamenti e a vedere da dove nascono i miei lavori. Spero che il pubblico riesca a guardare ai miei lavori nella loro totalità tanto quanto riesce a capire il singolo lavoro.

Sunset, 2012, 128x218cm, uncinetto fatto a mano, cornice, copyright Servet Koçyiğit
Sunset-detail, 2012, 128x218cm, uncinetto fatto a mano, copyright Servet Koçyiğit

Maria Rosaria Roseo

English version Dopo una laurea in giurisprudenza e un’esperienza come coautrice di testi giuridici, ho scelto di dedicarmi all’attività di famiglia, che mi ha permesso di conciliare gli impegni lavorativi con quelli familiari di mamma. Nel 2013, per caso, ho conosciuto il quilting frequentando un corso. La passione per l’arte, soprattutto l’arte contemporanea, mi ha avvicinato sempre di più al settore dell’arte tessile che negli anni è diventata una vera e propria passione. Oggi dedico con entusiasmo parte del mio tempo al progetto di Emanuela D’Amico: ArteMorbida, grazie al quale, posso unire il piacere della scrittura al desiderio di contribuire, insieme a preziose collaborazioni, alla diffusione della conoscenza delle arti tessili e di raccontarne passato e presente attraverso gli occhi di alcuni dei più noti artisti tessili del panorama italiano e internazionale.