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Sidsel Palmstrøm, Ingunn Bakke, Siri Berqvam e Linn Rebekka Åmo a Contextile

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In qualità di media partner di Contextile, ArteMorbida ha avuto il piacere di incontrare e intervistare la curatrice Målfridur Adalsteinsdottir e le artiste Sidsel Palmstrøm, Ingunn Bakke, Siri Berqvam e Linn Rebekka Åmo. Un ringraziamento speciale va a Katrine Rørbakken Lund, coordinatrice della Soft Galleriet di Oslo per aver facilitato l’incontro.

In collaborazione con NTK – Norwegian Textile Artists Contextile ha organizzato la presenza della Norvegia come paese invitato alla Biennale di quest’anno in tre siti culturali all’interno della città di Guimarães: Museu de Alberto Sampaio, Palacete Santiago e Museu da Sociedade Martins Sarmento.

I 13 artisti tessili contemporanei norvegesi selezionati per partecipare alla mostra presentano progetti che includono diverse prospettive e coinvolgono alcune delle questioni più significative dell’arte tessile contemporanea norvegese.

Målfridur Adalsteinsdottir ha curato le mostre in collaborazione con Cláudia Melo, Janis Jefferies e Kiyoshi Yamamoto.

Secondo Målfridur Adalsteinsdottir: “Le opere abbracciano un ampio spettro tematico affrontando soggetti come il corpo, la natura, l’ecologia e l’ambiente. Alcune opere esplorano l’identità e l’appartenenza, mentre altre si focalizzano sul complesso rapporto fra l’uomo del nostro tempo e la natura. Mentre alcuni artisti realizzano opere poetiche e sognanti che favoriscono esperienze meditative e sensoriali, altri si basano su elaborati schemi matematici o ancora trattano il potenziale scultoreo dei tessuti, tracciano mappe o documentano. I riflettori sono puntati sull’ inquinamento generato dall’industria tessile, sulle difficili condizioni di lavoro degli operai di questo settore, sul consumo eccessivo o sul panorama politico del nostro tempo.”

Essendo NTK un’organizzazione democratica di artisti tessili professionisti, i curatori si sono preoccupati di riunire esempi che potessero offrire una panoramica dell’arte tessile contemporanea norvegese nelle sue varie sfaccettature, dimostrando la sua vasta attività e la sua forte posizione nella scena artistica mondiale.

Per approfondire la storia e il ruolo dell’associazione nel contesto dell’arte tessile norvegese e internazionale, nel numero cartaceo di ottobre della nostra rivista trimestrale, potrete leggere un esauriente articolo scritto da Katrine Rørbakken Lund (abbonatevi subito se non l’avete ancora fatto!).

Durante la nostra intervista a Guimarães, Målfridur Adalsteinsdottir ci ha spiegato che i primi contatti con Contextile erano iniziati già due anni fa, quando l’artista venne selezionata dalla giuria per partecipare alla mostra internazionale. Da questo primo incontro, un interesse reciproco ha preso piede sviluppandosi nella collaborazione che ha portato la Norvegia a diventare il Paese invitato a Contextile 2022.

Progettando online la maggior parte del design della mostra, Målfridur Adalsteinsdottir racconta di essere rimasta stupita dall’imponente bellezza dei palazzi designati a spazi espositivi. “La maggior parte degli spazi erano molto più interessanti di quanto sembrassero al computer, nei disegni o nelle foto”. Essere il Paese invitato “è stata una sfida, ma anche un’esperienza estremamente gratificante”, ammette.

Red Fungus di Siri Berqvam - Dettaglio Crediti Fotografici ArteMorbida

Un esempio della complessità installativa posta da alcune opere è “Red Fungus” di Siri Berqvam che interagisce con lo spazio, trasformando profondamente una delle sale del Palacete de Santiago. Metri e metri di viscosa e jersey sono cuciti a mano in infinite pieghe di colore rosso vivo, creando un’atmosfera gorgogliante, organica e misteriosa che avvolge gli spettatori in un’atmosfera surreale. L’installazione site-specific ha richiesto il tocco dell’artista che è intervenuta personalmente coprendo una grande parete e lasciando che i lunghi filamenti della scultura emergessero da essa per espandersi nello spazio.

Red Fungus di Siri Berqvam Crediti fotografici Artemorbida

“Nei miei progetti mi piace interagire con lo spazio, dissolvendone i confini. Le mie installazioni coinvolgono il pavimento, il soffitto e le pareti, in modo che i singoli elementi agiscano come un corpo unico. Intendo dare agli spazi architettonici un’accezione umana.”

Siri Berqvam parla dell’importanza delle connessioni, di un network visibile e invisibile, sia nella sua pratica che durante l’esperienza di Contextile: “Contextile mi ha trasmesso la sensazione di appartenere a una comunità e questo è molto importante”.

Red Fungus presenta una struttura composta di filamenti e lamelle concettualmente legata alle complesse reti di connessione dei miceli che si estendono invisibili nel sottosuolo.

“Per qualche tempo ho lavorato nella foresta e ho avuto il tempo di leggere e pensare. C’è qualcosa di misterioso nella vita sotterranea, nei funghi; ci sono tante cose che accadono in natura e all’interno del corpo umano che non sono visibili a occhio nudo”. Anche il Covid non è visibile, ma ha avuto e ha molte conseguenze. È importante portare a galla questi temi e renderli visibili. La vita dell’uomo dipende dalla vita microscopica di invisibili batteri e organismi. I funghi sono la base della vita; organismi incredibili che non sono né piante né animali ma qualcosa di diverso. E quello che noi umani chiamiamo world wide web, quando si tratta di funghi, può essere considerato un wood wide web: una rete di comunicazione sotterranea. Mi piace unire tutti questi pensieri sulle ramificazioni della natura e del corpo umano e combinarli in installazioni surreali. L’opera finale non parla necessariamente di un tema specifico, ma è una sintesi di impulsi che mi arrivano e che io trasformo”.

Red Fungus di Siri Berqvam Crediti Fotografici Contextile

Oltre ai tessuti, Berqvam utilizza diversi mezzi e tecniche che sceglie liberamente per adattarsi alle esigenze espressive di un concetto o di un’idea.

“Ho bisogno di questa flessibilità perché rappresenta una sfida continua, altrimenti mi annoierei. Ho bisogno di conoscere e imparare nuove tecniche, nuovi modi di ricamare, di cucire. Uso spesso tecniche lente e meditative. Lavorare a un ritmo lento mi dà il tempo di pensare. Il modo in cui la lentezza dei gesti influisca sul cervello e sui processi di pensiero è per me un aspetto molto rilevante”.

La natura e i processi lenti sono al centro dell’opera The revet (The reef) del 2019 di Linn Rebekka Åmo, esposta al Museu Martins Sarmento.

The Reef, 20019 di Linn Rebekka Åmo Crediti Fotografici Artemorbida
The Reef, 20019 di Linn Rebekka Åmo Crediti Fotografici Artemorbida
The Reef, 20019 di Linn Rebekka Åmo Crediti Fotografici Artemorbida
The Reef, 20019 di Linn Rebekka Åmo Crediti Fotografici Artemorbida

L’artista spiega: “Sono tornata a vivere nel nord della Norvegia dieci anni fa proprio per soddisfare il mio desiderio di stare il più possibile a contatto con la natura. La natura è una delle mie principali fonti di ispirazione. Leggo molto in merito e mi informo sull’impatto dell’inquinamento sull’ambiente. Ho visto diversi film sul mare e su come i suoi fondali siano pieni di rifiuti. È deprimente ma anche una fonte di ispirazione per il mio lavoro”.

“Quando cammino sulla spiaggia ho sempre con me un sacchetto per raccogliere i rifiuti. Questa serie è nata dalla riflessione sul legame tra natura e inquinamento. Le tonalità naturali stanno così bene insieme che quando si vede un piccolo pezzo di plastica o qualcosa che non appartiene alla natura questo risalta immediatamente. Risulta fuori luogo, sbagliato in un certo senso”.

Nella serie The Reef, materiali naturali come il lino e il cotone (per lo più riciclati) sono tagliati in forme organiche, stratificati e cuciti insieme per formare collage tessili racchiusi in formato quadrato. I toni tenui del rosa, del giallo, del marrone, del blu e dei grigi si uniscono, raffigurando tranquilli paesaggi astratti che ricordano le rive del mare nella luce della Norvegia del Nord. I suoi collage sono come “fotogrammi tratti dal fondo dell’oceano, come nei film. E ci sono così tante cose che non possiamo vedere perché si trovano laggiù negli abissi”.

Gli sfondi sono dipinti su un solo lato. “La vernice passa attraverso il lino, sporcandolo, ma penso che questo aggiunga qualcosa alla composizione che non è assolutamente perfetta, in contrasto con la perfezione della natura. Abbiamo fatto molte cose sbagliate verso l’ambiente e questo è evidente ovunque”.

Il punto di vista unico di Linn Rebekka Åmo sul paesaggio deriva dal periodo trascorso all’Accademia d’Arte di Bergen, durante il quale ha lavorato principalmente con la fotografia. La prospettiva della macchina fotografica è declinata nella morbidezza e nella familiarità dei tessuti; lo spazio esterno si avvicina e viene percepito come domestico e familiare.

Di fronte ai collage “oceanici” si trova l’opera Konstellasjon di Ingunn Bakke.

Dopo aver lavorato con materiali tessili per oltre 25 anni, Ingunn Bakke sperimenta ora nuovi materiali più rigidi, come il legno e il vetro.

L’opera esposta si basa su modelli geometrici disegnati e sviluppati al computer, trasferiti su MDF e tagliati al laser. I moduli sono dipinti a mano nei colori marrone e nero. Il progetto ha avuto origine da un viaggio di ricerca in Iran nel 2017 che l’ha portata a toccare diverse destinazioni lungo la Via della Seta in cerca di conoscenza e ispirazione e dove ha studiato i motivi persiani rielaborandoli in moduli per la nuova serie di opere.

“Molti dei pattern più avanzati e complessi del mondo si trovano nella cultura islamica. Nell’antichità, sulle vie della seta si scambiavano conoscenze, idee e merci dall’Impero persiano all’Europa collegando Oriente e Occidente. L’influenza sull’arte e sulla cultura europea è stata enorme”.

“Le forme di base del quadrato, del cerchio e del triangolo sono conosciute in tutto il mondo. Il modo in cui vediamo la natura intorno a noi e ci connettiamo al mondo in cui viviamo è universale. Parlando di pattern, è per questo che in Paesi diversi ci sono così tante somiglianze. Ed è questo l’aspetto fantastico del tessile, sia per quanto riguarda i modelli che i materiali. È così vicino a tutti noi”. La serie Konstellasjon combina nuove tecnologie e modelli decorativi tradizionali, unendo la cultura arcaica e quella moderna.

Il monumentale “Wall” di Sidsel Palmstrøm, realizzato dall’artista nel 2014 per la mostra personale “Skorpe” alla Galleri Format di Oslo, ed acquistato dal Nordenfjeldske Kunstindustrimuseum, è esposto in dialogo con “Waiting room – mounting” dello stesso anno

L’installazione presenta un grande squarcio aperto nella parete, da cui fuoriescono abiti compressi, e una sedia sospesa al soffitto con sopra una pila di tessuti. Gli abiti, di materiali e colori diversi, portano nell’agglomerato le loro vite precedenti.

Palmstrøm lavora concettualmente con i tessuti su diverse scale. Dagli oggetti alle installazioni monumentali, la morbidezza della materia tessile viene declinata in volumi solidi che raggiungono, attraverso la stratificazione e l’accumulo, un significato completamente nuovo. Sia a livello singolare che plurale, i tessuti strettamente legati alla storia dell’uomo possono diventare un veicolo per parlare di relazioni interpersonali e di strutture sociali più ampie una volta estrapolati da un contesto familiare e quotidiano. Nell’incontro di idee, materiali e tecniche, l’artista cerca un significato ulteriore al di là del visivo, del tangibile.

“Da alcuni anni utilizzo vecchi abiti buttati o regalati per creare diverse installazioni e sculture. Il tessile è connesso con tutti noi, come individui e come società”.

In questa installazione non si sa se il muro stia per essere spinto indietro o se stia per precipitare. Ho cercato di creare una sorta di tensione in cui non si sa cosa stia realmente accadendo. È solo un incubo? È qualcosa di personale o un simbolo di qualcosa di psicologico da affrontare? La mia riflessione tocca anche la collettività; potrebbe essere rappresentativa di tutti i rifugiati. Le persone sono sempre state alla ricerca di una vita migliore da qualche altra parte, per motivi politici o di altro tipo, o per fame. Volevo che questo pezzo potesse essere un commento critico all’eccessivo consumo dell’industria tessile che viene spostato dall’Europa ad altre parti del mondo. Così lontano dalla nostra vista, non vediamo tutta la povertà e lo sfruttamento ad essa collegati. Mi aspetto molto dal potere comunicativo di questo lavoro, ma non so se è veramente efficace”.

Palmstrøm si interroga sul valore comunicativo dell’uso dei tessuti perché, dice, “Possono risultare così didascalici. Ho raccolto una tonnellata di tessuti usati e buttati e ne ho fatto delle installazioni. Questo materiale è estremamente vicino a me e a voi. Il rischio è che l’opera risulti troppo ovvia e banale. Perciò, dopo alcuni anni in cui ho usato questi materiali, ho sentito il bisogno di cambiare. Negli ultimi cinque anni ho utilizzato altri materiali: la corda in combinazione con legno e pietra”. Le corde che utilizza provengono dall’albero di Abaca, che si trova nelle Filippine. “A volte”, spiega, “cerco di uscire dal mondo del tessile, ma quando ho un problema, torno sempre agli stessi strumenti. Quindi, quando lavoro, le mie domande sono: L’opera mostra veramente ciò che intendevo comunicare? Sono troppo ambiziosa? Sto davvero riuscendo a superare questo materiale e a elaborare i suoi problemi di fondo?”.

Chiudiamo il nostro resoconto dall’edizione 2022 di Contextile con le stimolanti riflessioni di Sidsel Palmstrøm sull’efficacia comunicativa del mezzo tessile e sulle sue implicazioni sociali e politiche; aspettiamo di tornare, tra due anni, per un’altra immersione profonda nel meglio dell’arte tessile contemporanea e delle ricerche ad essa correlate.

Elena Redaelli

English version Dal 2010 mi occupo di arte contemporanea realizzando progetti fra scultura tessile, arte ambientale e social practices. Negli ultimi anni il mio lavoro mi ha portato a vivere viaggiando con progetti e residenze artistiche nel mondo. Esploro processi di generazione e trasformazione della materia, applicando diversi livelli di controllo e indagando i limiti tra autorialità e partecipazione.Talvolta il materiale prende il sopravvento, altre volte sono i partecipanti di un progetto o l’ambiente stesso a farlo, risultando in un dinamico e continuo scambio. Il fare manuale è per me un processo d’interrogazione dell’ambiente e uno strumento per entrare in contatto con nuove persone e culture. Nei miei progetti applico una commistione di tecniche differenti prese dalla scultura, dall’artigianato, dal disegno e dall’ estetica relazionale. Ricerco e utilizzo tecniche antiche: tessitura a telaio, arazzo, crochet, feltro, ricamo, annodature e carta fatta a mano. Nelle mie installazioni, che si sviluppano su larga scala, unisco metodi di lavorazione lenta a nuove tecnologie. Tutto ciò che riguarda il tessile è sempre stato estremamente affascinante per me. Mi piace imparare e condividere idee e conoscenze sul vasto mondo delle fibre ed e’ quello che ho fatto durante i miei viaggi di ricerca tra Europa, Asia, USA e Africa.