T/Essere fili tra le aule di Brera
di Lorella Giudici*
Nelle storiche aule di Brera, a qualche metro da quello che un tempo era lo studio di Francesco Hayez, si intrecciano fili colorati, con lana e cotone si dà forma ad “arazzi” dalle trame indissolubili e dai significati profondi, si tessono opere a più voci, per le quali la relazione tra le tante mani che le creano è uno dei requisiti fondamentali. Si chiamano “Opere condivise” e sono il linguaggio specifico dell’Arte Terapeutica, il biennio di specializzazione istituito all’Accademia di Brera dal 2004 con l’obiettivo di formare Artisti Terapisti che possano operare in ambito sanitario, sociale ed educativo. Una figura professionale sempre più richiesta da quelle realtà che lottano contro il disagio, la malattia, il recupero oppure da quelle aziende, associazioni, scuole e comunità che vogliono puntare su una formazione che metta al primo posto il benessere e la capacità di reinventarsi aprendo le prospettive di relazione a metodi insoliti e a nuove soluzioni operative.
Si tratta di una modalità del fare del tutto originale, che parte da una profonda conoscenza dei linguaggi dell’arte per arrivare a cogliere la potenza maieutica che s’instaura tra la materia (qualsiasi essa sia) e gli individui che partecipano al processo artistico. Il risultato di questo percorso creativo sono opere corali che hanno scelto il filo e i tessuti per veicolare contenuti intensi. Ed è proprio di questi che vogliamo occuparci nel nostro scritto, di quegli intrecci e di quelle tessiture che negli anni hanno visto nascere opere come Pelle d’oca (un gigantesco “mantello” tessuto da 30 allievi), Un filo di voce (un allestimento di reti trapunte da una settantina di studenti) o Filogenesi: un enorme “tappeto” di oltre cinquanta metri quadri nato dal lavoro di 80 artisti nel laboratorio della professoressa, artista terapista, Daniela Zarro.
Detto ciò, non bisogna però pensare che il fare fenomenologico sia superiore al contenuto espressivo, tutt’altro, in un processo così complesso e lungo, la materia s’interfaccia continuamente con la vita e con l’arte. Prendiamo, ad esempio, Pelle d’oca, un’opera che ha visto la luce nel 2013: un grande e soffice tondo, fitto di nodi, di fili e di frange di lana colorata, versatile quanto basta per poter essere steso a terra come un accogliente e soffice nido oppure indossato come un mantello sciamanico, come il piumaggio di un meraviglioso uccello, ma è anche lì a ricordare che dietro a quella semplice locuzione così spesso usata, “pelle d’oca”, c’è il variegato mondo delle emozioni, tradite proprio dall’improvviso e incontrollabile comparire di brividi lungo la schiena che richiedono un abbraccio rassicurante o il calore di quel vello di gomitoli che simbolicamente lo racconta.
Pelle d’oca
Di sapore diverso è Un filo di voce. Per un’altra rete (2017) migliaia di fili attraversano le trame delle reti che s’intrecciano al racconto confidenziale e polisemantico che prende il via dai gesti e dalle energie delle mani che si sono avvicendate su quei reticoli. Ai tramagli, che in alcuni punti restano visibili, si aggrappa saldamente il ricamo con le sue matasse dai colori vivaci, con le sue forme che si generano tra gli spessori o si mimetizzano tra ragnatele colorate. È un groviglio di suggestioni, di gesti e di relazioni tessute attraverso il lento e ritmico scambio degli aghi, da una parte all’altra della rete (fisica, concettuale, emotiva), con l’instancabile annodarsi dei fili e il costruirsi di trame complicate e inattese. Ogni centimetro quadrato è un tacito dialogo con se stessi e con l’altro, è un implicito baratto con chi sta dall’altra parte e ricambia le azioni, condivide l’esperienza e il desiderio (istintivo o conscio che sia) di incagliare nelle maglie di quelle menaidi i pensieri e le trepidazioni più profonde, più immediate o semplicemente più scomode. Sono trame che nascono dall’impulso di “scrivere” un racconto che da singolo si fa corale, potente, inarrestabile. A guardarle vengono in mente le parole di Voltaire sull’amore: “L’amore è un canovaccio fornito dalla natura e ricamato dall’immaginazione”.
In un’epoca in cui “essere in rete” è sinonimo di scambi virtuali, un lavoro come questo è invece l’incontro-scontro tra la materia e la vita, tra uno sciame di attorcigli e le figure – reali o immaginarie – che da essi si generano.
Un filo di voce. Per un’altra rete
Infine, Filogenesi è un racconto che parte dalla terra, da una prospettiva che dalle radici va verso il cielo. È una germinazione, un respiro che pulsa, è la mappatura delle vita, di una natura che è forza e metamorfosi, rigenerazione e rinnovamento, in un processo evolutivo continuo.
Sono tutti pezzi uno diverso dall’altro, ma nei quali leggere oltre che il rapporto con il gesto e la materia, anche il senso della ricerca che vuole perlustrare l’uomo e la sua vicinanza alla terra e alla natura.
Filogenesi
*LORELLA GIUDICI (1965). È professore di storia dell’arte contemporanea all’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano. Dopo una laurea in Lettere Moderne con indirizzo storico-artistico all’Università Statale di Milano e una in pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera, cura mostre e si occupa dell’arte tra ottocento e novecento, con particolare interesse al periodo tra le due guerre. È membro del comitato scientifico della Fondazione Remo Bianco, della Fondazione Sangregorio e dall’Archivio Dadamaino. Tra le tante pubblicazioni e curatele si ricordano: Edgar Degas. Lettere e testimonianze, Abscondita, Milano 2002; Medardo Rosso. Scritti sulla scultura, Abscondita, Milano 2003; Giorgio Morandi. Lettere, Abscondita, Milano 2004; Remo Bianco. Al di là dell’oro, mostra al Complesso del Vittoriano, Roma, dicembre 2006-gennaio 2007, catalogo Silvana Editoriale, Milano 2006; Gauguin. Noa Noa e lettere da Thaiti (1891-1893), Abscondita, Milano 2007; Lettere dei Macchiaioli, Abscondita, Milano 2008; La Giostra dell’Apocalisse, mostra alla Rotonda della Besana, Milano 2008, catalogo Silvana Editoriale; Giuseppe Ajmone. Gli amici di Corrente e il Manifesto del Realismo, Fondazione Corrente, Milano 2018; Remo Bianco. Le impronte della memoria, Museo del ‘900, Milano, catalogo Silvana Editoriale, Milano 2019.