TRADIZIONE E IDENTITA’ CONTEMPORANEA NELLE OPERE DELL’ARTISTA IRANIANO CC
CC, nome d’arte di Alireza Asbahi, è nato nel 1969 nel distretto di Emamzadeh Hassan, Teheran, in una famiglia piuttosto numerosa. Frequenta la scuola fino alla quinta elementare, quando il padre muore lasciandogli la responsabilità di capofamiglia. Seguendo le orme del genitore che era sarto, CC diventa operaio in un’azienda di produzione di abiti nel distretto di Salsabil/Jumhori. La sua passione per il tessile e l’artigianato lo conduce nel bazar dei tappeti alla ricerca di manufatti e kilim originali che comincia a collezionare e in seguito a commercializzare al Jome Bazaar finché, nel 2019, quest’ultimo viene chiuso ed interdetto ai venditori. Nel frattempo però ha comprato una macchina da cucire speciale per riparare vecchi tappeti strappati e inizia a sperimentare una tecnica simile al patchwork. I primi risultati non lo soddisfano: la macchina non funziona come vorrebbe e inoltre procurarsi i mezzi fondamentali per il suo lavoro di ricerca artistica è al di sopra delle sue possibilità. Intanto comincia a lavorare ad opere che attingono dall’iconografia tradizionale del Leone e del Sole, indagandone l’estetica ed il simbolismo intrecciati con la storia iraniana sin dall’epoca pre-islamica. Queste nuove opere, nel 2019, vengono all’attenzione di Morteza Zahedi, fondatore della Outsider Inn Gallery di Teheran, prima e unica galleria iraniana specializzata in Art Brut che diventa il riferimento internazionale per il lavoro dell’artista grazie anche alla collaborazione con la newyorkese Cavin Morris Gallery.
Il lavoro di CC parte dalla ricerca di vecchi tappeti e kilim non più utilizzabili, strappati o danneggiati dopo il lavaggio o che non possono più essere riparati: su queste basi interviene tagliando e cucendo diversi frammenti tessili, creando opere a metà tra l’outsider art e la reinterpretazione dei temi popolari e tradizionali dei tappeti attraverso l’estetica e i contenuti concettuali della contemporaneità. Temi decorativi dalla semantica ormai sbiadita e consumata acquisiscono nei suoi lavori una cifra attuale che non esclude le radici culturali di cui si nutre ma getta un ponte verso il presente ed il futuro.
Traspare nei suoi lavori un elogio della trasformazione che nell’upcycling dall’etnico all’etico, dal manufatto artigianale all’opera d’arte, apre la riflessione sul cambiamento e sul valore della possibilità: possibilità di scegliere dove andiamo – che non cancella da dove veniamo – e di cosa vogliamo diventare – che non cancella chi siamo e chi siamo stati. Nell’alchimia creativa dei suoi lavori, la stratificazione di frammenti diversi di tessuto rimanda alla ricchezza multiforme che le diverse esperienze conferiscono ad ogni storia – individuale, collettiva, universale – e che la capacità di ‘cucirle’ insieme (e ri-cucirle), dando valore e spazio ad ognuna di esse, può trasformare in un’opera d’arte.