Un’indagine intima sui corpi femminili attraverso la ri-scoperta degli oggetti emblematici del quotidiano: intervista a Rosita D’Agrosa.
*Foto in evidenza: Bowels project – mix media, istallazione , 2019. Courtesy Rosita D’Agrosa
Al centro del lavoro di Rosita D’Agrosa troviamo il corpo femminile e i cambiamenti a cui è sottoposto. Sculture tessili, installazioni site-specific e opere pittoriche si susseguono nella produzione dell’artista che mescola materiali e tecniche differenti, mantenendo una coerenza visiva e concettuale senza mai ripetersi. La presenza dell’oggetto e la sua capacità di trasmettere un significato sono aspetti fondamentali della sua ricerca artistica. Formatasi presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze, città dove vive e lavora, D’Agrosa ha partecipato a numerose mostre collettive e personali.
Nelle tue opere che si presentano sotto forma di serie, è ricorrente un riferimento, tanto delicato quanto esplicito, ad un elemento connesso alla dimensione corporea: perché hai scelto questo tema di indagine?
Gran parte della mia ricerca artistica ha come luogo d’indagine il corpo, nello specifico il mio corpo, un corpo femminile, nel tentativo di fare di quest’ultimo un ritratto di un’intimità libera e profonda. La rappresentazione della vulva: ricamata, realizzata con tessuti o dipinta, è diventata nel corso degli anni, insieme all’icona dell’utero o delle mutande, un emblema della mia poetica. Ho iniziato a indagare questo tema con la serie Mutatis MutandA, composta da 28 mutande come i 28 giorni del ciclo mestruale, in ogni mutanda l’elogio alla femminilità e al cambiamento compare sottoforma di metafora: un bocciolo di rosa, un cucchiaio, un ricamo o un disegno che allude alla forma della vulva, dell’utero o delle ovaie. La scelta di tale soggetto è stata poco ragionata, bensì una semplice intuizione: parlo del corpo femminile e di ciò che ruota intorno alla sua esistenza, della sua sessualità e della semplice quotidianità. Parlarne attraverso un’icona di genere è stato tutt’altro che svelare un tabù.
Riproduzioni di assorbenti, mutande e organi riproduttivi fanno parte delle tue opere. Come scegli i tuoi soggetti e come nasce l’opera d’arte?
L’opera d’arte ha origine dagli oggetti che utilizzo, i miei personali objets trouvés: tazzine, cucchiaini, mutande, porta cipria, specchietti, panni di lino (gli antichi assorbenti) o lenzuola del mio corredo familiare. Si tratta di oggetti già pregni di significato e di una loro storia. Mi permettono di reinventare intorno ad essi una poetica dell’ordinario. Servendomi di questi oggetti, estrapolati dal contesto quotidiano, la mia intenzione è quella di personificare la dimensione femminile intima, interione e personale: fil rouge che accompagna tutta la mia ricerca. Essi vengono lavorati e rielaborati attraverso pratiche tessili, come ad esempio, il ricamo o il crochet. Un altro elemento importante è proprio la tecnica tessile che lega l’oggetto al soggetto, ad esempio nella serie delle Colazioni sull’erba, ricamo degli uteri all’interno di tazzine da caffè esposte in piccole cloche come se fossero dolci esposti in una pasticceria. Spesso i soggetti nascono da riflessioni, fatti, accadimenti, legami e oggetti che animano la quotidianità della mia realtà, dunque, la mia è una semplice trasposizione di uno spaccato di vita, un frammento di esperienza depositato attraverso allegorie del mondo femminile, quasi come un gioco di parole o di associazioni.
Secondo te l’arte può essere uno strumento capace di affrontare tabù, preconcetti e gli stereotipi che ancora sopravvivono sull’universo femminile?
Sì! Sicuramente l’arte per un artista può essere uno strumento di comunicazione e di linguaggio attraverso cui rompere tabù, preconcetti e stereotipi, in particolar modo, quelli che purtroppo ancora sopravvivono sull’universo femminile. È proprio quello che nel mio lavoro tento di fare: abbattere muri, usare l’arte come strumento di espressione, di libertà, di dialogo, di narrazione e testimonianza.

Rosa pallido, fucsia, rosso sono tonalità ricorrenti nel tuo lavoro, quali significati hanno per te?
Le tonalità del rosso, magenta, del rosa mi rappresentano, permettendomi di ricreare cromaticamente una dimensione intima, corporale, carnale, organica. Utilizzo il rosso soprattutto per i lavori su carta intitolati Heart project che si presentano come fogli su cui deposito le mie “annotazioni emozionali”, la campitura ad acquerello è icona della ‘forma’ a cuore: il cuore sintetizzato in una macchia è rappresentato nell’attimo in cui si contrae nel battito cardiaco, conseguenza di una determinata emozione. Il rosa prende ironicamente il sopravvento nella serie delle sculture morbide intitolate Bowels project che ritraggono delle interiora: il nostro intestino idealizzato, raffinato, addolcito e ridicolizzato nella sua rappresentazione. Il colore, infatti, suggerisce una lettura giocosa dell’opera presentandosi come un enorme groviglio di tentacoli rosa che dalle pareti si riversa a penzoloni sul pavimento. Questi colori hanno delle connotazioni contraddittorie ed armoniche tra di loro, possono esprimere potenza e forza, delicatezza e intimità, carnalità, conforto, gioia, ironia e per me altro non sono che una serie di illimitata ‘ambienti’ di rappresentazione.
Nella serie Jaulas para pensamientos, sono presenti frasi come “Mi manchi” e “ti penso”. In una società in cui l’immagine sembra avere un ruolo determinante per gli individui, quale importanza attribuisci alla parola scritta e alla sua capacità di esternare le emozioni?
La parola scritta mi piace descriverla come “espressione grafica” del codice linguistico, essa permette al significato del contenuto scritto di rimanere immutabile e immobile nel corso del tempo. Grazie alla sua capacità di non perdere ma di acquisire importanza, la parola scritta diventa un “deposito” nel mio immaginario. Ho lavorato tanto in passato sul concetto di nota, appunto, annotazione… ci si annota tutto ciò che deve essere ricordato e che è importante. Nelle mie opere, la parola scritta è costantemente e ritmicamente presente: in primis come elemento grafico, come segno e per la funzione di essere una chiave di lettura del racconto, spesso è ricamata. A tal proposito nella serie Jaulas para pensamientos, ovvero “gabbie per i pensieri”, la parola scritta si trasforma in immagine, il messaggio è semplice, di facile lettura poetica. Nata nel 2020 durante il periodo del lockdown, questa serie è stata realizzata con l’unico materiale che avevo a disposizione in quel momento: la rete metallica, con un fine meditativo e terapeutico, ho iniziato a ricamare i miei pensieri, i miei sentimenti. Attraverso la tessitura, tutto ciò che in quel momento veniva represso e ingabbiato interiormente, si trasformava, diventando così un dono per l’Altro. Gabbie leggere, aeree, fiorite, come contenitore di messaggi (in bottiglia) da inviare alle persone amate. “MI MANCHI”, “TI PENSO”, “ODI ET AMO” sono tutti brevi messaggi di testo, come gli sms inviati dal cellulare con il fine di colmare virtualmente il grande vuoto che l’isolamento ci ha costretti ad assaporare.
Puoi raccontarci come è nata la serie Le colazioni sull’erba e cosa vuole comunicare?
La serie Le colazioni sull’erba trae ispirazione da due opere differenti: Le dejeuneur sur l’erbe di Manet e la surreale Colazione in pelliccia di Meret Oppenheim. Da entrambe le opere, ho estrapolato gli elementi chiave di rottura e scandalo che hanno contribuito a renderle “rivoluzionarie”. Per l’opera di Manet, l’omaggio al titolo era una facile e riconducibile allusione allo scalpore che l’opera aveva suscitato all’epoca. Il riferimento all’opera della Oppenheim è dovuto alla volontà di ricreare un senso di spiazzamento, di disagio, di desiderio e di repulsione. Ecco come le mie Colazioni sull’erba sono nate. Si presentano come microcosmi all’interno di piccole choche da petite patisserie: tazzine con all’interno un utero ricamato intitolato FIG. A, specchietti portacipria con il ricamo di una vulva con la citazione latina “Nosce te ipsum” (conosci te stesso), piattini da dolce con all’interno falene oppure spine da ingurgitare. Sono dettagli di storie intime.
Da artista, come percepisci l’arte contemporanea odierna? C’è qualche artista che ha condizionato la tua ricerca?
Credo di percepire l’arte contemporanea come se fosse in equilibrio su un filo sospeso nel vuoto. Solide fondamenta della mia ricerca artistica sono senza dubbio: Louise Bourgeios, Gina Pane, Marina Abramovic, Cy Twombly, Meret Oppenheim, Robert Gober, Marcel Duchamp, Tracey Emin, Christian Boltanki.
A cosa stai lavorando adesso e quali sono i tuoi progetti futuri?
In questo momento sto elaborando nuovi progetti e sperimentando nuovi approcci delle pratiche tessili. Sto sperimentando la completa decostruzione del mio lavoro, al fine di estrapolarne una piccola porzione dalla quale ripartire. Questa modalità “distruttiva” è ricorrente nel mio processo creativo. Contemporaneamente arricchisco di nuovi elementi le mie serie, li presenterò nei prossimi progetti espositivi in programma nel periodo autunnale.