Interviste

FIONA DAVIES

English (Inglese)

*Foto in evidenza: Blood on Silk: Surgery, 2013, nastro, tela, pittura e legno, 525 x 360 x 20cm Crediti fotografici Alex Wisser


Fiona Davies è un’artista visiva australiana la cui ricerca indaga in maniera transdisciplinare i processi, sistema e dinamiche legati alla morte medicalizzata in terapia intensiva.

Dopo aver ottenuto un B.Sc dall’Università del New South Wales, un Bachelor in Arti visive e un MFA presso Monash University, le è stato assegnato un PhD basato sulla sua pratica dall’Università di Sydney.

I più significativi eventi e mostre ai quali ha preso parte nel 2022 includono la curatela e partecipazione a Carnivale Catastrophe a Cementa22 e la performance al Lumiere Festival of the Moving Image al Mount Victoria.

Nel corso dell’ultimo biennio ha partecipato a numerosi eventi internazionali online tra cui l’Unfix Festival Glasgow UK, l’Athems Digital Arts Festival e al Limestone Coast International vVideo Arts Festival, al BMCC e Unus Multorium al Plas Bodfa nel Galles, Regno Unito. Nel 2019 ha esposto, tra gli altri, al Museo statale della seta di Tbilisi, in Georgia.

Ci ha raccontato il suo percorso e il senso del suo lavoro in questa intervista densa e fitta di contenuti, emozioni e riflessioni.

Memorial/ Double Pump La Place II, 2010, carta di riso e seta, inchiostro, filo, suono, dimensioni variabili, installata presso la School of Physics dell'Università di Sydney, Australia. Crediti fotografici Alex Wisser

Come sei arrivata all’arte?

Non mi ricordo un momento in cui io non sia stata consapevole o coinvolta con l’arte. Ho sempre voluto fare arte. Fin da piccola, forse a sei o sette anni, ho scoperto il piacere di esplorare e capire i materiali. Ero molto interessata ai mosaici e mia madre mi portava a casa strani piatti di ceramica colorata che trovava al negozio dell’usato. Io li rompevo in piccoli pezzi che poi ricostruivo con la tecnica del mosaico. Uno dei grandi piaceri di quel periodo era selezionare i materiali, dividerli in barattoli di vetro e giocarci mettendo colore contro colore, forma contro forma. Credo di aver realizzato solo due o tre opere con il mosaico. Di certo mi sono dedicata a capire il materiale di quei piatti rotti di ceramica smaltata e colorata – di come il colore si trovasse solo sulla superficie e non scendesse lungo i lati, a meno che non si guardasse il bordo del piatto. Così, credo per caso, ho trascorso un paio d’anni della mia vita cercando di capire un determinato materiale tramite il gioco. Questo approccio si è rivelato molto utile nella mia pratica, negli anni a venire.

Ho scoperto per la prima volta il tessile come mezzo artistico all’età di nove anni, quando la mia prozia Judith mi insegnò a tessere su un telaio Inkle e in seguito mi introdusse al telaio da tavolo a quattro licci. Dopo la scuola superiore ho studiato Tecnologia Tessile all’Università con una laurea in Scienze Applicate e, solo verso i vent’anni, sono passata allo studio delle arti visive. Lo studio del tessile all’università si concentrava su soggetti quali la produzione di massa, t, e sull’uniformità del prodotto finale. Questo approccio mi aveva portata a svalutare l’importanza del fatto a mano. Solo dopo diversi anni di studio nel campo delle arti visive mi sono sentita di nuovo a mio agio nel lavorare con fibre e tessuti.

Memorial/ Double Pump La Place II, 2010, carta di riso e seta, inchiostro, filo, suono, dimensioni variabili. Crediti fotografici Alex Wisser

Sei un’artista interdisciplinare che utilizza materiali e tecniche differenti. Quando scegli il medium tessile per i tuoi lavori? Quali sono le ragioni dietro a questa scelta?

Spesso, nel mio lavoro mi concentro su un paesaggio emotivo. Il ruolo dei materiali diventa quello di contribuire a veicolare il significato di specifiche condizioni e contesti. I tessuti sono così radicati nelle nostre vite che possono essere considerati simultaneamente da molteplici punti di vista tra cui la precarietà del lavoro, in particolare nelle industrie di produzione dell’abbigliamento, l’uso eccessivo delle risorse in termini di fast fashion e il riciclo inefficace, il significato intrinseco dell’abbigliamento per cui uniformi specifiche come il camice del medico o la vestaglia del paziente influiscono sulla risposta a quell’individuo, e come una vasta gamma di tessuti scientifici sia in grado di adattarsi a specifiche esigenze dell’utente.

Ad esempio, all’inizio di quest’anno ho realizzato un lavoro sul rapporto uomo/cavallo durante i massicci incendi australiani del 2019/2020. Volevo trovare un materiale che fosse adatto alla realizzazione di una serie di costumi da cavallo che facessero riferimento al cavallo pallido della morte del libro dell’Apocalisse nel Nuovo Testamento e al costume disegnato da Janine Jenet per il film Il testamento di Orfeo di Jean Cocteau del 1960. Volevo un tessuto che avesse vissuto una catastrofe climatica. Alla fine ho trovato una stoffa di seta che era stata danneggiata durante un’inondazione monsonica eccezionalmente forte a Kolkata. Come per gli incendi, anche questo evento poteva essere attribuito all’impatto del cambiamento climatico. Il tessuto, non era più desiderabile dal mercato, ma l’esperienza di essere stato sommerso dall’acqua dell’inondazione e danneggiato aggiungeva a quest’opera il significato che quel materiale portava con sé.

Memorial/ Double Pump La Place II, 2010, carta di riso e seta, inchiostro, filo, suono, dimensioni variabili. Crediti fotografici Alex Wisser

La tua ricerca sul confine sottile tra vita e morte in un contesto come quello ospedaliero è all’origine di una serie di installazioni tessili. Come è nato questo progetto? Come si è sviluppato ed evoluto nel corso del tempo?

Questo progetto, Blood on Silk, è stato sviluppato in seguito ai quattro mesi e mezzo in cui mio padre è stato ricoverato in terapia intensiva, prima della sua morte e quindi della serie di tre installazioni che ho realizzato dopo il suo decesso.

In un’unità di terapia intensiva si trovano pazienti in condizioni critiche, al limite tra la vita e la morte. Mi sono molto interessata al processo di transizione dalla vita alla morte all’interno di un ambiente ospedaliero, e in particolare in un’unità di terapia intensiva dove la morte viene medicalizzata, cioè diventa un problema medico.

Come familiare di un paziente in terapia intensiva, all’inizio non sai cosa sta succedendo, non capisci il sistema. Durante quei quattro mesi e mezzo fui emotivamente, intellettualmente e creativamente coinvolta in quella situazione e nel passaggio dalla vita alla morte.

Così, quattro o cinque anni dopo la morte di mio padre, iniziai a realizzare opere relative a quel periodo. Decisi di realizzare tre installazioni in luoghi o siti che ritenevo importanti per il modo in cui lui pensava a sé stesso. La prima installazione fu realizzata nella chiesa di Aberdeen, la città in cui sono cresciuti entrambi i miei genitori. Situata nella campagna del New South Wales, in Australia, era una città cresciuta attorno alla lavorazione della carne e diventata, in seguito, un sobborgo dormitorio per le miniere di carbone della Hunter Valley. Attualmente è una città prevalentemente operaia.

Questa installazione, cruda ed emotiva era composta da tre opere indipendenti. La prima era un’opera tessile dove una coperta grigia ricamata con i numeri della frequenza cardiaca, della pressione sanguigna e dell’ossigenazione, come registrati dai monitor a bordo letto dell’ospedale, veniva avvolta intorno agli inginocchiatoi della chiesa.

Per il secondo lavoro rimossi un banco dalla chiesa. Al suo posto misi tre piccoli letti/tavoli in alluminio su cui applicai una rete da letto vecchio stile. Vi appesi 22 cestelli cattura-grassi e una friggitrice su cui fissai dei bottoni rossi a formare 23 piccole croci. Esse provenivano da una storia o da qualcosa che ricordavo solo in parte. Non ricordo se la storia fosse vera, se l’abbia inventata o se la ricavai unendo un paio di storie diverse. Credo che fosse qualcosa che mi era stato raccontato una mattina molto presto, dopo che ci chiamarono per chiederci di presentarci all’ospedale perché il personale pensava che papà stesse per morire. Quando arrivammo, il suo trend era tornato positivo e credo che l’infermiera mi disse di avergli somministrato 23 unità di sangue, che poi si era riversato nella cavità dello stomaco. Improvvisamente mi resi conto di come la sua sopravvivenza dipendesse dalle donazioni di sangue di 23 persone. In seguito mi sembrò una quantità straordinaria di sangue da pompare in un solo paziente.

Blood on Silk: Last Seen, 2017 Silk, video, oggetti di recupero 13 x 23 x 14 m come da installazione nella Turbine Hall Casula Powerhouse Arts Centre, Australia. Crediti fotografici A. Todic

L’altra opera era costituita da due piccoli carrelli portastrumenti spinti tra i banchi come se fossero membri della congregazione. Su uno di essi era stata posizionata una serie di fotografie disposte come se fossero strumenti medici. Le fotografie ritraevano il paesaggio un po’ desolato delle strade intorno all’ospedale. In quel periodo diversi edifici erano in fase di ristrutturazione e nessuna struttura dà il meglio di sé durante i lavori. La malinconia e la disperazione che provavo si riflettevano nella documentazione di questi segni di abiezione nella struttura fisica che sosteneva la vita di mio padre.

Il giorno dell’inaugurazione della mostra nella chiesa coincideva con il primo giorno della locale Festa della Zucca, la gente poteva quindi entrare e vedere la mostra senza darle troppa importanza. Durante quel primo giorno raccontai la storia della morte di mio padre e i visitatori, in cambio, mi raccontarono le loro storie, soprattutto se legate alla morte dei loro padri. Da quell’esperienza ho imparato a valorizzare la funzione dell’arte, che può fungere da catalizzatore per conversazioni su argomenti molto profondi, di cui normalmente non si parla. È stato come se le persone volessero parlare delle loro morti con qualcuno che pensavano fosse interessato. Penso che la questione fosse molto semplice; fu una condivisione di esperienze simili. Siamo diversi per molti aspetti: età, razza, sesso, idee politiche, idee religiose, molte cose, ma tutti comprendiamo l’importanza del passaggio dalla vita alla morte come esperienza di vita.

La terza e ultima installazione si trovava presso la School of Physics dell’Università di Sydney. Mio padre faceva parte di questa facoltà come fisico e ne era molto orgoglioso. Nell’atrio della facoltà c’è un piccolo museo di oggetti che sono stati usati per osservare e misurare i fenomeni in vari modi. Mentre stavo sviluppando il mio progetto lì, incontrai un fisico, l’ormai defunto dottor Peter Domachuck, che stava lavorando a un modo per determinare le proprietà del sangue senza doverlo estrarre dal corpo. Grazie alla sua ricerca, si sarebbe potuto evitare di prelevare campioni di sangue e inviarli a un laboratorio per essere analizzati. Una proprietà del sangue che viene comunemente determinata senza bisogno dell’estrazione è l’ossigenazione. Per questo processo, avrebbe dovuto utilizzare la fibroina, che è un componente della seta.  Decidemmo quindi di collaborare e, in seguito, si aggiunse anche una scrittrice, la dottoressa Leanne Hall. Non realizzammo nulla di particolare ma, invece, andammo a pranzo insieme per parlare ribadendo ancora una volta l’importanza della conversazione nel mio lavoro. Considero la conversazione uno dei “materiali” della mia pratica. Questa collaborazione prese il nome di Blood on Silk.

Come primo lavoro nato da questa collaborazione, realizzai delle coperture traslucide in seta per le teche del museo della facoltà di Fisica.  Mi procurai una falda di seta, proveniente dalla fine di una macchina cardatrice, di un metro di lunghezza, tutta parallela e di bell’aspetto. Con questa realizzai dei fogli di tessuto non tessuto o di carta abbastanza grandi da coprire le teche, che erano di circa quattro metri e mezzo per tre metri. In seguito, passai alla produzione di fogli molto più grandi, di 10 metri per 4, ovvero delle dimensioni del mio giardino. Capii che la Fibroina della seta poteva essere un altro modo di vedere, un modo di vedere senza vedere.

Le idee che ho esplorato e che hanno guidato il progetto Blood on Silk includono la materialità del sangue e della seta, l’economia di entrambi i materiali, le catene di approvvigionamento lungo il percorso della seta, il contesto politico, culturale e medico dell’ospedale e le strutture di potere in gioco all’interno di quel luogo. Infine, la preoccupazione centrale del progetto è il come tutti questi aspetti confluiscano nel modo in cui un paziente muore in terapia intensiva.

Blood on Silk 1, 2011 Silk, Oggetti di recupero, carta di riso, inchiostro e video, dimensioni variabili, crediti fotografici Alex Wisser

Qual è la genesi dei tuoi lavori – come arrivi dall’idea alla forma dell’opera?

Ci sono diversi modi in cui mi approccio alla realizzazione o al rifacimento di un’opera, a seconda che ci sia o meno una tempistica specifica per la realizzazione di quel lavoro. In generale, quello che mi guida è la base concettuale di ogni opera. Tuttavia, la realizzazione, che porta a un risultato fisico o performativo, può modificare l’idea iniziale e introdurre ulteriori livelli e sfumature, quindi ha lo stesso valore dell’idea. Uso un software di mind mapping per tenere traccia di idee apparentemente casuali, saggi, documenti accademici e articoli e li sfoglio regolarmente. Ho un gran numero di idee che girano in qualsiasi momento e do loro il tempo di cristallizzarsi in una strategia iniziale per la realizzazione. Questa strategia viene poi rivista e rimodellata durante il processo di realizzazione.

Se invece lavoro in risposta a un invito specifico per una mostra, adotto un approccio più formale. Voglio conoscere i dettagli della sede espositiva, anche se si tratta di una galleria “white cube”, poi sviluppo idee e lavori iniziali, li rivedo, li discuto con il curatore e li risolvo. Spesso la finalizzazione può essere forzata, se non c’è il tempo necessario per far maturare l’idea.

Blood on Silk 1, 2011 Silk, Oggetti di recupero, carta di riso, inchiostro e video, dimensioni variabili, crediti fotografici Alex Wisser

Quale tra le tue opere fiber ti ha maggiormente e profondamente coinvolta – emotivamente e psicologicamente?

Un’opera che ha avuto un grande impatto emotivo e psicologico su di me è stata Blood on Silk Last Seen 2017 1 silk, video, lastre di zinco galvanizzato e oggetti di recupero lunghi 12,7 m per 26,5 m di profondità e 3,8 m di altezza.

Il piano terra della Turbine Hall del Casula Arts Centre è il luogo di molteplici punti di transizione e di decisioni, alcune delle quali si riferiscono direttamente all’architettura e altre ai modelli o ai percorsi abituali di passaggio nel grande spazio architettonico aperto, dando luogo a un invisibile pattern di incroci dato dalla sua fruizione. Il punto di transizione più evidente si trova al punto di ingresso, seguito da punti di transizione multipli meno evidenti per tutto il piano terra, mentre il visitatore decide quale sequenza seguire o compiere. Al livello del mezzanino, il traffico dei visitatori è costretto a spostarsi verso il perimetro. Tutti i visitatori di questa sala sono consapevoli delle dimensioni dello spazio.

A questo schema si sovrappone l’opera Blood on Silk: Last Seen. La principale questione teorica del progetto Blood on Silk è la morte medicalizzata in terapia intensiva. Cioè la morte che viene strutturata come un problema medico. I punti di passaggio nel processo di medicalizzazione della morte iniziano nello stesso punto: l’ingresso dalle porte di emergenza o, come nel caso di Casula e di molti ospedali, dalla porta principale. La stratificazione dei punti di passaggio viene poi costruita attraverso i sistemi, il design e l’architettura dell’ospedale: i controlli dell’ingresso dei visitatori in terapia intensiva, le porte a battente delle sale operatorie e la passeggiata nei corridoi vuoti e ombrosi di notte.

In questa installazione, grandi fogli di carta di seta pendono dal soffitto, formando cinque stanze o spazi letto parzialmente coperti da tende. Il soffitto non è illuminato, quindi le parti superiori della seta sono al buio. Su queste tende di seta, appena sopra l’altezza della testa, vengono proiettati frammenti di immagini di individui che attraversano punti di transizione in un ospedale. Le figure, viste di spalle, sono in parte riconoscibili e in parte anonime.

Nella galleria del mezzanino l’illuminazione severa delle luci al neon rimanda allo spazio liminare dell’area fumatori appena fuori dagli edifici dell’ospedale. Tutti gli ospedali del NSW sono luoghi di lavoro liberi dal fumo, comprese tutte le aree esterne.

Sdraiati sulla schiena con le tende dell’ospedale tirate, guardate in alto verso il soffitto. Notate gli angoli curvi del binario delle tende, la consistenza e l’opacità delle tende in carta di seta e l’imperfezione dell’offerta privacy visiva e acustica. In questa installazione Blood on Silk: Last Seen la fisicità degli spazi ospedalieri, sia quelli centrali del processo di cura sia quelli liminari come i corridoi in penombra a mezzanotte, si sovrappongono al paesaggio emotivo degli utenti di quegli spazi. La bellezza delle tende di carta di seta si scontra con l’estetica dimessa e brutale del soffitto.

Nonostante dimensioni dell’opera non fossero facili da gestire, il risultato è stato sorprendente.

Blood on Silk: No Exit, 2018, 285 x 285 cm, nastro di seta, pittura e tela, Crediti fotografici Alex Wisser

Qual è secondo te il significato dell’arte nella vita delle persone comuni?

Il significato dell’arte può giocare un ruolo enorme nella vita delle persone comuni. La mia esperienza con le opere sulla morte di mio padre nella chiesa di Aberdeen, nella campagna del New South Wales, mi ha mostrato quanto potente possa essere il legame tra le esperienze vissute dalla gente comune e gli artisti, con l’arte prodotta da quelle esperienze attraverso l’uso della conversazione. Poiché la mia famiglia era originaria di quella città, i visitatori hanno potuto rilassarsi e dedicare tempo alle opere, non sentendosi mancare di rispetto.

Ho anche una comprensione molto ampia di ciò che è o non è arte.  Credo che i rituali della vita quotidiana possano essere considerati alla stregua di una profonda e sviluppata interazione con le pratiche artistiche di un individuo, anche se non le si definisce tali.

Barbara Pavan

English version Sono nata a Monza nel 1969 ma cresciuta in provincia di Biella, terra di filati e tessuti. Mi sono occupata lungamente di arte contemporanea, dopo aver trasformato una passione in una professione. Ho curato mostre, progetti espositivi, manifestazioni culturali, cataloghi e blog tematici, collaborando con associazioni, gallerie, istituzioni pubbliche e private. Da qualche anno la mia attenzione è rivolta prevalentemente verso l’arte tessile e la fiber art, linguaggi contemporanei che assecondano un antico e mai sopito interesse per i tappeti ed i tessuti antichi. Su ARTEMORBIDA voglio raccontare la fiber art italiana, con interviste alle artiste ed agli artisti e recensioni degli eventi e delle mostre legate all’arte tessile sul territorio nazionale.