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Progetto tEssere

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È il titolo del calendario 2023 della KromatoEdizioni/Kromatografica, un vero e proprio prodotto editoriale, con un’attenta cura della grafica e del packaging. Essere e tessere. Tanto la pratica dell’arte tessile nella storia dei popoli, quanto le dimensioni e i temi indagati dalle artiste, mettono in evidenza questo legame profondo tra i due termini. Il progetto è curato da Evelina Barone. Vero e proprio catalogo, il calendario presenta una vasta introduzione sul tema della tessitura nella storia dell’umanità, nella simbologia dei popoli, nel mito, nelle culture, nell’arte. Il pretesto narrativo è il patrimonio tessile siciliano ricchissimo e luogo di contaminazioni. Palermo è stata il primo centro in Italia di tessitura serica pregiata, che veniva eseguita nel Tiraz del palazzo Reale dalla dominazione araba fino al regno di Ruggero II. il palazzo reale era un grande laboratorio multietnico, vi lavoravano arabi, armeni, greci, persiani, siriaci, franchi, egizi, normanni. L’isola è stata infatti luogo dell’ incontro tra popoli, e il magnifico laboratorio del Tiraz può considerarsi metafora della capacità dei siciliani di tessere relazioni diplomatiche e civili, di creare un impareggiabile modello di convivenza interetnica. Grazie alle fotografie di Claudio Drago e alle riprese di Giorgio Cappello, è stato possibile documentare il lavoro di alcune delle ultime tessitrici che lavorano a telai di fine ‘800, nella Sicilia occidentale, così come il lavoro e la visione di artiste di diversa nazionalità, che utilizzano il medium del filo e della tessitura.

Con il calendario e la mostra che lo accompagna, si propone, quindi, un viaggio nell’arte della tessitura, ripercorrendone la storia, i simboli; riscoprendo la tradizione attraverso l’incontro con le donne che ancora oggi tessono su antichi telai di fine Sette e Ottocento; seguendo la traccia dell’evoluzione di questa arte attraverso le artiste che l’hanno fatta propria e l’hanno riformulata allo scopo di creare nuove narrazioni individuali o collettive. Il lessico che ruota attorno al filo ha ricorrenze che vanno dalle fiabe alla letteratura, dalle Magna Grecia alla Bibbia. Nato per rispondere ai bisogni essenziali dell’uomo – coprirsi, ripararsi, creare utensili – il filo ha acquisito una forza semantica, simbolica e metaforica oltre ogni geografia. Nel mito greco le Parche o Moire recidono il filo della vita dopo averlo dipanato, come le divinità vediche Yama e Nirrti. Il fuso o la conocchia sono il simbolo delle Grandi Dee come l’eigiziana Neith o Proserpina. Maneggiare il filo può anche essere una forma di autodeterminazione di sé, al di là di ogni destino. Tramare è anche andare contro un sistema, sovvertire gli schemi, modificare la realtà. Arianna, Penelope, Aracne, Andromaca, Atena, Elena, Pandora, Filomela, Lisistrata travalicano la virtù domestica attraverso l’uso sapiente del filo. Per Arianna il filo è soccorso, per Penelope azione individuale e politica, per Filomela l’arazzo è strumento di denuncia della violenza subita. L’universo del filo si fa, quindi, metafora dell’essere umano, del suo potere di decidere di sé, di sfidare la sorte, sovvertire una condizione, scandire il tempo della propria esistenza. Oggi potremmo parlare dei foulard e degli scialli delle madri di Plaza de Mayo, su cui era ricamato il nome del figlio desaparecido per riaffermarne l’identità negata, e alle arpilleras, i patchwork di denuncia del regime militare cileno. Le artiste e gli artisti contemporanei ne faranno un potente strumento di lettura del mondo. Anche se tracciare una storia del ruolo svolto dal medium tessile nella poetica del primo Novecento significa parlare soprattutto di donne. Le artiste coinvolte offrono interpretazioni differenti dell’arte tessile, sia per materiali e tecniche utilizzati sia per i concetti e le dimensioni indagate.

Rita Lazzaro che con il progetto WIR ha utilizzato il cucito per tessere comunità. Siciliana, artista poliedrica, vive a lavora a Moers, in Germania. Per rispondere all’isolamento e al distanziamento vissuti durante la pandemia, con la cornice di solitudine che hanno sviluppato, Rita Lazzaro ha creato il progetto WIR (Noi) che, ben presto, è diventato un progetto sociale. L’idea utopica era di permettere agli abitanti di Moers di creare un enorme patchwork cucendo insieme tanti pezzi di stoffa, e ogni abitante ha contribuito con un pezzo di 15 x 15 cm, proveniente da un vecchio capo di abbigliamento. Rita era affascinata da come tante persone fossero legate dal punto di vista sociale, politico, religioso pur nella varietà culturale che caratterizza questa città colorata e sfaccettata. Il risultato di questa composizione è l’opera il CUBO: geometricamente definito “il lato del quadrato alla potenza di tre”, e qui considerato come “madre alla potenza di tre”. Possiamo immaginare che ogni persona all’interno di questo cubo patchwork si senta avvolta e protetta, proprio come nel grembo materno.

RITA LAZZARO

Jonida Xherri che intreccia fili in tappeti per rivendicare i diritti di chi è straniero e creare appartenenza. Il suo lavoro coniuga arte e artigianato in un recupero di abilità e tradizioni che appartengono a tutti i popoli, ossia l’intreccio e la narrazione. Jonida riporta al centro della ricerca artistica la relazione con gli altri come nucleo di ogni convivenza civile. Vissuta in Albania fino a 22 anni, arrivata in Italia, per un periodo ha vissuto un vuoto sull’idea di “casa”, vuoto che attraverso l’arte ha trasformato in tappeti intrecciati come simbolo di accoglienza e ospitalità. Migrazione, diritti, ambiente: al centro del lavoro di Jonida Xherri ci sono sempre temi sociali ed istanze di grande attualità. La treccia e l’intreccio sono le tecniche più ricorrenti a cui si affida per realizzare anche grandi opere, arazzi e tappeti.

JONIDA XHERRI

Aurora Mica che realizza tappeti in cerchi di donne, per accompagnare ciascuna a individuare e liberare il proprio sé più autentico. Aurora vive e lavora in Ortigia. Aurora somiglia ai poeti e alle poete, alle artiste che cita, mentre mostra un arazzo, accarezza una cucitura, racconta la storia di un tessuto. Della Sicilia si trova traccia nelle sue realizzazioni, barocche, come le ha definite un amico pittore. Appassionata alle stoffe, tutte, predilige le coperte antiche, o vecchie, perché le parlano, raccontano la vita delle donne. Perché per la loro funzione, le coperte sono intrise dei momenti della vita: tutto ciò che di più decisivo c’è avviene lì (nascita, riproduzione, malattia, morte).Ricomporre le stoffe in un nuovo disegno, più complesso e armonioso, vuol dire armonizzare e ricomporre tutte le gioie e le sofferenze. Aurora Mica ricorre alla tecnica del patchwork o, ancor meglio, a quella del crazy. L’artista coglie un’immagine che aziona a livello inconscio a questo spinge alla creazione. La produzione costituisce inoltre una sovversione ai canoni tradizionali di accostamento di forme e colori. Sussiste una serie di stoffe dedicate al femminile, concepito come una riscoperta dell’identità. Per troppo tempo il potenziale delle donne è stato represso e adesso, con questa produzione, l’artista siracusana vuol contribuire a farlo manifestare.

AURORA MICA

Rossana Taormina che opera un recupero della memoria, con la costante volontà di salvaguardare delle esistenze anonime, cercando di dare loro uno spazio ben definito.

Rossana Taormina nasce nella Valle del Belice. Le rovine del paesaggio dell’infanzia devastato dal terremoto del 1968, le cui macerie restituiscono quotidianamente oggetti e frammenti, e la parallela costruzione dello spazio utopico di Gibellina ad opera dei più grandi maestri dell’arte contemporanea di quegli anni, segneranno profondamente la sua formazione. L’esperienza della progressiva perdita dei luoghi dell’infanzia e il conseguente sentimento di smarrimento diventano, quindi, le coordinate costanti della sua poetica che, prediligendo l’objet trouvé, accoglie e stratifica le suggestioni legate ad ambiti di interesse personale quali l’archeologia, l’antropologia culturale, la poesia. Il linguaggio artistico, di cui il filo diventa strumento privilegiato, si apre progressivamente alla contaminazione fra tecniche e tradizioni, rimanendo sempre fedele all’indagine sullo spazio e sulla memoria, sulle dinamiche sociali, sul sacro e suoi riti. Se ricorre a foto di sconosciuti per mantenere una necessaria distanza emotiva dall’oggetto, per i lavori su tessuto, quando possibile, utilizza quelli appartenuti alla propria famiglia. L’artista, dunque, sublima l’urgenza personale in una delicata speculazione su temi universali.

Rossana Taormina

Sylvie Clavel che realizza sculture guidata dal desiderio di esternalizzazione, di distacco da sé stessi

Nata a Parigi nel 1953, lavora tra la Sicilia e Parigi. La pratica della danza, esercitata con grandi compagnie dirette da Carolyn Carlson, Francoise Verdier, insieme allo yoga, le ha permesso di esplorare la dimensione psicofisica dell’essere che ha trasferito poi nell’attività tessile sotto la guida dell’artista cilena Chacon Avilà. Un incidente ha deragliato il percorso di Sylvie e sono state, a quel punto le corde, i fili, legati insieme, uniti nella giusta tensione a raggiungere una forma, una figura desiderata. Spesso le sculture enormi di Sylvie assumono posizioni che il suo corpo non riesce più a sostenere. Durante il soggiorno negli Stati Uniti ha imparato a conoscere corde, corde e annodatura. “Quelle “cose”, quei materiali, sottomessi o irrequieti, rispondevano al mio desiderio di esteriorizzazione, di distacco da me stessa. Non ho altri strumenti se non le mie mani e le mie dita, a contatto con le corde intrecciate, preferibilmente vegetali. La forma nasce dal contatto tra la corda e le mie dita, dalla spontaneità, dall’improvvisazione, o dall’errore superato con pazienza e vigilanza”.  Le sue creazioni rimandano a figure archetipiche sedimentate nell’inconscio collettivo. Una simbologia potente che si muove tra Oriente e Occidente. Spesso le sculture sono di grandi dimensioni e il processo creativo diviene un rituale psicofisico, in cui lo yoga incontra l’arte del nodo.

SYLVIE CLAVEL

Saba Najafi che conduce un lavoro sulla memoria e l’inconscio. Iraniana, vive a Milano. La sua ricerca artistica è focalizzata sul mondo interiore e sull’inconscio, nel tentativo di portare lo sguardo verso la parte invisibile del nostro essere: la fragilità, la resilienza e la complessità della nostra esistenza in relazione con la natura, con gli altri e con il mondo. Saba Najafi ricorre alla forma delle pietre come riferimento alla memoria, possiamo considerarle la memoria della terra. Sono coperte da fili e strisce di cotone, simbolo del legame con il nostro vissuto. Su alcune parti sono riportate con la calligrafia persiana, in lingua farsi, delle scritte in forma di diario, leggibili solo in parte perché la memoria rimane sempre un vissuto personale. Il nodo ricorre spesso per la sua forte rappresentazione simbolica: nella terra di Saba, in Iran, sin dall’antichità, si intreccia nei santuari per chiedere una grazia, con la speranza di vedere realizzare il proprio bisogno o il proprio desiderio. Il mondo e il tempo che stiamo vivendo sono caratterizzati da problemi climatici, da guerre, ingiustizie e sofferenze, forse più che mai. Il “Nodo di speranza” è una richiesta collettiva di grazia perché trovi realizzazione il desiderio comune di un mondo migliore.

Il lavoro di ricerca si traduce in una mostra che ospita le opere delle artiste coinvolte. Le interviste saranno disponibili sul canale Youtube e sul sito della Kromatografica. Sarà possibile accedere alle video-interviste tramite QRcode presente nel calendario. A fare da colonna sonora un brano del duo CurAmunì, composto per l’occasione, dal titolo “Sciamitu”, un prodotto della tradizione tessile siciliana, e che richiama nel ritmo il movimento del telaio e lo scivolamento dei fili tra i cardini di trama e ordito.

La mostra verrà inaugurata il 13 gennaio 2023 ad Ispica (Rg) presso l’ex chiesa della Sciabica.

La distribuzione del calendario è gratuita. Viene richiesta al pubblico una libera offerta per costituire un fondo di beneficenza per associazioni che operano nel sociale o famiglie in stato di necessità. Grrazie il coinvolgimento dell’artista Saba Najafi è stata individuata un’associazione iraniana che opera a sostegno dei diritti delle donne.

SABA NAJAFI