PATRIZIA BENEDETTA FRATUS
*Foto in evidenza: RADICI 250X63X32cm (per ciascuna delle 5 strutture) 2021 – Scarto tessile – Pietra Photo credit: Patrizia Benedetta Fratus
Opere partecipate in cui chi è coinvolto diventa parte viva e attiva dell’opera stessa: questa è la pratica artistica di Patrizia Benedetta Fratus, un’artista multi-materica che usa come medium lo scarto tessile e conduce una ricerca che indaga i linguaggi dell’immaginario per superare stereotipi e pregiudizi. In questa intervista, di risposta in risposta, ci ha condotto alle radici dei suoi lavori e dei suoi progetti.
Chi è Patrizia Fratus, l’artista?
Patrizia Benedetta Fratus è una racconta-storia. È da una storia che veniamo, è una storia che viviamo, è di una storia che siamo composti. Sapere che la storia che conosciamo è una versione parziale di ciò che è stato e di ciò che è, mi permette di immaginare altro, di raccontare nuove storie con le quali dare vita a nuovi mondi, infiniti mondi. Mi vedo come una delle nostre ave lasciare il segno sulle pareti delle nostre caverne, loro con i pigmenti, io con il filo, fisso i nomi e le forme dei nostri corpi.
Cosa significa per te ‘fare arte’?
Per me l’arte è uno strumento, un modo d’esistere e far esistere.
Il tessile è tra i medium che prediligi. Perché questa scelta?
Ho sempre avuto un filo a portata di mano. Un filo c’è sempre stato e con gli anni mi sono sempre più resa conto che un filo serve sempre. Il filo – come medium – è accessibile, multiforme nella sua coerente linearità, connette, ricuce, conduce. Di fili sono fatte le trame che mi consentono di raccontare nuove possibilità. Datemi un filo e vi costruirò un mondo.
Artivismo, arte sociale, arte relazionale: come interpreti questi tre ambiti nella tua pratica?
“La rivoluzione siamo noi”, ti rispondo con Joseph Beuys. Io vivo l’artivismo, l’arte sociale e l’arte relazionale come un’unica pratica. La mia è una pratica aperta, una condivisione continua. Mi sento da sempre un essere plurale, è la storia che mi hanno raccontato, e questo tratto mi piace, lo riconosco, so di essere parte. Plurale, perché sono composta da tutte le mie ave, sono le voci taciute di tutte loro. Plurale perché plurale è la vita per essere tale, forse, semplicemente.
Come nascono i tuoi lavori e i tuoi progetti?
La mia dea è Ananke: Necessità. Tutti i miei lavori vengono da lì. La nostra forza è il nostro bisogno, e la nostra possibilità risiede nel fare tutto ciò che possiamo con ciò che abbiamo, adesso, senza frapponimenti, senza attese, senza altro da noi. Cominciamo da lì.
La donna è al centro di molti dei tuoi lavori. Quanta della tua ricerca artistica attinge dall’universo femminile nella sua complessità?
La donna è il centro del mio universo artistico, non posso che cominciare da me. La mia ricerca attinge nella storia dell’universo femminile con l’obiettivo di renderlo non più solo femminile ma “umano”. L’essere umano, anche donna, è quello che voglio emerga dalle mie opere. Poiché ambisco a che il femminile non sia più solo relegato come universo a sé stante, ma si collochi in un universo di “esseri umani”.

“Virginia per tutte” è un tuo progetto che ha avuto un’ampia partecipazione. Ci racconti di che si tratta?
VIRGINIAPERTUTTE è un’opera partecipa alla quale ho cominciato a lavorare nel novembre scorso, l’altro scorso, era il 2020. Ho proposto la lettura di “Una Stanza Tutta Per Sé” di Virginia Woolf, alle donne di una casa rifugio nel corso di un progetto. L’avevo letta mille anni fa, ma mi sono resa conto che ciò che dice vale ancora. Fa sorridere pensare a cosa lei immaginava sarebbe successo “tra cento anni” – per citare lei, e prendere atto che sì, qualcosa è accaduto, qualcosa sta accadendo, ma lentamente, con ancora troppe vittime e con grande disparità di cultura in cultura. Come stavo dicendo, ho proposto di leggere Virginia con le donne di una casa rifugio, ma per poterlo fare servivano diverse traduzioni, ed è così che ho scoperto che non ce n’erano, è lì che ho scoperto che molta letteratura è ancora “all’indice” in alcune culture. I libri fanno ancora paura, i libri sono potenti, le storie sono potenti, aprono finestre, “si vede tutto più chiaramente”. Il segno del mio lavoro nelle case rifugio è nel fare, il proprio fare come mezzo e strumento per riconnetterci al nostro valore, come strumento di emancipazione. Volevo leggere quel libro perché potessimo chiederci: perché le donne sono povere? Perché non c’è un modello di mondo, anche femminile, che non sia un mondo femminile secondo una qualche storia che ci ha portato qui, a quello che io chiamo, il patriarcato delle donne? Cosa ci serve per essere libere di decidere delle nostre vite senza dovere assecondare anche solo l’idea che abbiamo di noi? La risposta – anche per Virginia è: una stanza tutta per noi e cinquecento sterline l’anno. Tuttavia, prima della stanza e delle sterline, serve che sappiamo di poterlo fare, e per saperlo, potremmo cominciare raccontando altre storie che diventeranno l’immaginario condiviso, un giorno. Quindi, VIRGINIAPERTUTTE, è la traduzione in tutte le lingue madri del mondo, in tutti i linguaggi, i segni e i disegni, nel mondo di ognuna/o di noi, è ciò che ancora non c’è ma, ibridando e continuando a ibridare nascerà, di cultura in cultura. “Il linguaggio è la carta geografica di una cultura”, ti porta a ciò che c’è, ti rivela ciò che manca.

Qual è l’opera tra quelle che hai realizzato finora che tu reputi il tuo capolavoro, la tua ‘Gioconda’ da cui non ti separerai mai?
Penso che ci separiamo dall’opera nel momento in cui le diamo forma. L’opera per me nasce da una necessità di espressione, una volta realizzata è del mondo, non mi appartiene più, anzi, se rimane troppo nelle mie vicinanze la tentazione è quella di bruciarla, per liberarla.

A cosa stai lavorando in questo momento? E quali sono i progetti per il prossimo futuro?
Al momento VIRGINIPERTUTTE sta assorbendo quasi tutta la mia energia. Lascio che tutto ciò che accade ogni giorno agisca e mi porti a reagire e agire.
La mia ricerca, là dove affondano le mie radici, mi guiderà – come sempre mi guida – alla prossima opera.
Esprimi un desiderio.
Non desiderare ma vivere.
