Tessuti d'Arte

Il “Mantello di Murat”: ricami e tessuti preziosi di un piviale dell’Ottocento

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Il “Mantello di Murat”, esposto e conservato presso il Museo Diocesano Matronei Altamura. Photo credit  dott. ing. Fabrizio Berloco – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=71663185

Questo mese, nella Rubrica “Tessuti d’Arte” vi riportiamo l’importante lavoro di ricerca e restauro svolto dalla Restauratrice Monica Cannillo sul misterioso “Mantello di Murat” – avviato in occasione del bicentenario murattiano della Campagna d’Italia (1815-2015) – e tutt’ora aperto a considerazioni.

monica

Monica Cannillo nasce a Bari nel 1982 e si diploma presso il Liceo Artistico Statale “De Nittis” di Bari in Sperimentazione sul Restauro. Continua il suo percorso per diventare restauratrice di manufatti tessili presso la Scuola di Restauro per la Valorizzazione dei Beni Culturali di Botticino a Brescia, Fondazione Enaip Lombardia.

Successivamente intraprende un lungo periodo di apprendistato in diversi importanti laboratori dislocati in differenti città italiane. Allo stesso tempo, durante questo periodo frequenta un percorso di laurea in “Scienze e Tecnologia della Moda” presso la Facoltà di Scienze della Formazione di Bari. Per perfezionare le conoscenze sullo studio dei tessuti antichi segue un corso di riconoscimento e analisi di tessuti antichi all’Istituto francese C.I.E.T.A. di Lione. Inoltre, entra a far parte dell’albo dei Periti Industriali e Laureati delle province di Bari-Bat, con la specializzazione in arti grafiche.

Tra i lavori più importanti svolti da Monica Cannillo nell’ambito della conservazione di opere d’arte tessili, troviamo il restauro dello Stendardo turco della Battaglia di Lepanto, conservato presso il duomo di Amelia (TR), il restauro e l’ allestimento di Cinquanta paramenti sacri conservati nel Museo Diocesano di Bitonto, il restauro del Velario pasquale del 1791 conservato nel Duomo di Santo Stefano – Milazzo (Me), il restauro di una Bandiera garibaldina conservata presso il Museo Civico di Barletta.

Il nome della restauratrice lo si ritrova, poi in alcune pubblicazioni, come “Costume e Costumi. Percorso storico di un’antica famiglia”, libro-catalogo della mostra a cura di Monica Cannillo, Liantonio Editrice srl; “L’innovazione e i tessuti d’abbigliamento e i Materiali in mostra” in “Nozze al Castello. Un matrimonio borghese di fine ‘800 a Conversano”.

 Il “Mantello di Murat”. Copyright © 2016 Monica Cannillo All rights reserved

Cenni storico-artistici sul “Mantello di Murat”

Il Mantello di Murat è un prezioso piviale in seta e ricami policromi, risalente agli inizi del XIX secolo, conservato presso il Museo Diocesano Matronei di Altamura. Nonostante alcuni dati certi, un’aura di mistero avvolge l’origine e la provenienza di questo ricco manufatto tessile.

Il piviale, di forma semicircolare, presenta  uno stolone decorato da  un ricamo a punto pittura in cui si alternano tralci di foglie e frutti espressi con straordinaria fantasia cromatica e figurativa. I motivi decorativi costituiscono, inoltre, una coloratissima ghirlanda continua lungo la profilatura, raccordando la diagonale di seta  bianca sulla quale si svolge parte del ricamo, con una larga fascia in cotone di colore rosa, ricoperta di tulle lavorato a fuselli. Identica fascia  percorre come  bordura l’intero manufatto.

Lo stolone è contornato da un gallone in filato metallico dorato e alle sue estremità presenta, applicato, lo stemma di Gioacchino De Gemmis ricamato su tela di cotone. Il tulle che accompagna la bordura del piviale è ulteriormente decorato con una sorta di cavità ovali chiuse da un leggero reticolo, nelle quali era uso inserire petali di rosa per la  profumazione dell’indumento.

Particolare fotografico tratto dal “Mantello di Murat”. Copyright © 2016 Monica Cannillo All rights reserved.

Infine sulla restante superficie del manto sono ordinatamente disposte a scacchiera alcune serie di fiorellini ricamati fra numerose paillettes.

Particolare fotografico tratto dal “Mantello di Murat”. Copyright © 2016 Monica Cannillo All rights reserved

Mode ed esempi vestimentari tra Sette e Ottocento

Studi recenti hanno individuato nel preziosissimo piviale linee e materiali appartenenti ad una originale veste in stile Impero. L’utilizzo di manufatti di uso civile per confezionare paramenti ecclesiastici rappresenta una pratica molto antica. Basti pensare che a partire dal XVII secolo e per tutto il XVIII il numero delle donazioni ridusse la quantità di vesti sacre con ricami specificatamente pensati e realizzati per la chiesa.

I profondi mutamenti politici e sociali avvenuti tra la fine del XVIII secolo e gli inizi del XIX furono portatori di modelli e fogge vestimentarie dai quali ebbe inizio il processo  che condurrà alla moda contemporanea.

Ritratto di Giuseppina, François Gérard1808. Esempio di abito stile Impero.
Ph di Baron François Gérard (1770 – 1837) – Painter (French )Born in Rome. Died in Paris.Details of artist on Google Art Project – WAGBi20Bn-3hOA at Google Cultural Institute maximum zoom level, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=21977121

Nello specifico, lo stile neoclassico attraversa varie fasi collocabili tra il regno di Luigi XVI (incoronato nel 1774), il breve periodo repubblicano del Direttorio (1795-1799) e del Consolato (1799-1804) prima di confluire nello stile dell’Impero napoleonico (1804-1815).

Le stravaganze del Rococò vengono via via superate dall’affermazione del gusto neoclassico: si diffondono abiti diritti di mussola bianca in cotone che da una parte ricordano la chemise à la Reine – denominata così dalla veste con cui la regina Maria Antonietta era stata ritratta da Elisabeth  Vigée Lebrun –  dall’altra le tuniche classiche, indossate dalle fanciulle e dalle figure allegoriche nelle feste rivoluzionarie.

La semplificazione dell’abito fu totale: punto vita sotto il seno, scollatura profonda a punta o resa rotonda per mezzo di una coulisse, lunghezza  gonna alla caviglia con aggiunta di strascico, maniche corte o lunghe fino al polso. E ancora: capelli raccolti in acconciature ispirate “à l’antique”,scarpe scollate e piatte, in tessuto o pelle, legate con nastri alle caviglie come antichi calzari.

Non meno significativa fu l’evoluzione della moda maschile, per le trasformazioni strutturali dell’habit, che cambia di pari passo con quello femminile.

Nella moda di fine ‘700 inizi ‘800 gli scambi fra le caratteristiche vestimentarie dei “ generi” furono repentini, in particolare nei gilet.

Tessuti semplici vengono utilizzati sia per la confezione di abiti di gala da donna, che per  gilet maschili in raso, gros de Tours, reps, taffetas e saia, rigorosamente di color bianco. Tali tessuti venivano esaltati da  finissimi ricami, simili per i due sessi. Diffusa era la produzione in serie di gilet in pezze già ricamate e predisposte per il taglio sartoriale, come evidenziato dagli esemplari tessili conservati presso il Museo Garibaldi di Como e il Museo del Costume e del Merletto di Bruxelles.

Dopo la parentesi estrosa ed eclettica che aveva contrassegnato le fogge del Direttorio, Napoleone ribadì il proprio potere anche nello Stile Impero, dando vita ad un abito di corte (abito di gala) cui si ispirò la moda del tempo in Francia e in Europa.

Ritornarono nuovamente in voga gli abiti di seta “ le vêtements somptueux”, tanto per le donne che per gli uomini,  anche per risollevare l’industria tessile, che nel 1792 aveva subìto un tracollo per la carenza di materie prime e di clientela.

Magister di moda fu il couturier  Ippoly Leroy  che diede un’impronta  all’eleganza e alla raffinatezza imperiali e rimase sarto delle élites anche dopo la caduta dell’ imperatore.

La presenza femminile alle cerimonie di corte diede sensibile spinta alla produzione di abiti di gala ricamati in pezza, in quanto la loro fabbricazione accelerava i tempi di lavorazione e consentiva un abbassamento, anche se modesto, dei costi.

A tale proposito si fa riferimento a due abiti di gala del 1805-1810 conservati nelle collezioni tessili delle Civiche Raccolte d’Arte Applicata di Milano. Tra questi l’abito in diagonale di seta, con un motivo ricamato a foglie e piccole ghiande che asseconda il modello a T rovesciata. L’orlo è sagomato e ornato di tulle; la restante superficie è tempestata di fiorellini stilizzati formati  da applicazione di paillettes.

Questo abito, appartenuto alla principessa Elisa Bonaparte Baciocchi,  principessa di Lucca e Piombino, sorella di Napoleone.

Elisa Bonaparte-Bacciocchi, Guillaume Guillon Lethière , 1806.
https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/a2/Guillaume_Guillon-Lethi%C3%A8re_-_Elisa_Bonaparte.jpg

Nel confronto tra l’abito della principessa Elisa Bonaparte Baciocchi e il piviale oggetto di studio si evidenziano caratteristiche che rendono i due manufatti estremamente affini. Identico il tessuto di fondo, una diagonale di seta bianca, simile alla descrizione delle foglie, l’inserto di tulle sul bordo,  l’orlo sagomato e la maniera di decorare il tessuto con paillettes.

Più attinente è il Ritratto di Carolina Murat con i figli  dipinto  da  François Gérard (1809-1810)  e conservato al Musée National du Château de Fontainebleau. Carolina indossa un sontuoso abito bianco Stile Impero. Spicca sul fondo una ricca bordura ricamata,  dove appare una fogliolina simile  a quelle del ricamo del piviale; l’ annesso manteau vanta una folta e sinuosa bordura vegetale da associare ai ricami studiati.

Ritratto di Carolina Murat con i figli  dipinto  da  François Gérard, 1809-1810.
https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Murat_family_by_Gerard.jpg

Il piviale di Altamura può essere il mantello di Murat?

Dall’analisi storico-critica fin qui condotta sul manufatto è stato possibile ipotizzare che il piviale di Altamura sia assimilabile all’abbigliamento sontuoso usato dall’entourage di Napoleone Bonaparte,  in particolare dalle donne della sua famiglia, le sorelle Eloisa e Carolina, la cognata Giulia Clary e la prima moglie Giuseppina Beauharnais. Le prove individuate in tanti musei del costume, in varie parti del mondo, lo dimostrano inconfutabilmente.

Dunque non di mantello di Murat si tratta ma di un manteau, parte integrante dell’abito da cerimonia di una delle donne della famiglia Bonaparte. Solo due di esse hanno relazione con Napoli: Giulia Clary fu regina di Napoli con suo marito Giuseppe Bonaparte e Carolina Bonaparte con il coniuge Gioacchino Murat. Dunque, l’importante  capo di abbigliamento sarebbe arrivato  a monsignor De Gemmis da una delle famiglie dei due sovrani per farne paramento liturgico, secondo l’uso del tempo.

Ma da quale delle due?  La tradizione locale di Altamura fa diretto riferimento a Murat, dal quale monsignor De Gemmis ricevette l’investitura a Prelato di Altamura, dopo aver ricevuto la nomina e l’Ordine del Regno delle Due Sicilie dal re Giuseppe, pochi mesi prima. L’improvviso cambio voluto da Napoleone sul trono di Napoli, con cui si sostituì rapidamente il fratello Giuseppe col cognato Gioacchino, può aver creato confusione e incertezze sull’identità del donatore.

A sostegno dell’ ipotesi che l’abito potrebbe essere appartenuto a Carolina Bonaparte-Murat c’è la confidenza che ella ebbe, a Napoli, con un altro altamurano illustre, l’arcidiacono Luca de Samuele Cagnazzi, segretario del re quando Murat venne in Puglia. E Cagnazzi, imparentato con mons.  de Gemmis, potrebbe essere stato un tramite.

Quando, dove e come questo dono sia stato fatto, a noi  non è dato sapere.

Bibliografia:

  1. Marsh ,18th Century Embroidery Techniques, Lewes, 2012 pp.10-11
  2. Morini, Storia della Moda XVIII-XX secolo, Ginevra- Milano 2000.
  3. Peri, Eleganza e lusso nell’abbigliamento maschile fra Settecento e Ottocento, Pistoia 2008, p.74
  4. D’arbitrio – L. Ziviello, Carolina Murat, La Regina Francese del Regno delle Due Sicilie, Le Architetture, la Moda, L’Office de la Bouche, Napoli 2003.

[…]

Sitografia:

https://it.wikipedia.org/wiki/Mantello_di_Murat

https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppina_di_Beauharnais

https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Murat_family_by_Gerard.jpg

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/a2/Guillaume_Guillon-Lethi%C3%A8re_-_Elisa_Bonaparte.jpg

http://www.monicacannillo.com/

Si ringrazia la Restauratrice Tessile Monica Cannillo per la fornitura del materiale documentale, fotografico e bibliografico. Per ulteriori informazioni riguardanti la bibliografia e la ricerca storico-artistica contattare: monicacannillo@yahoo.it.

Elisa Monfasani

English version Fin dai primi anni mostra una certa propensione per il campo dell’arte, diplomandosi in Arti Figurative al Liceo Artistico “Bruno Cassinari” di Piacenza. La passione per l’arte tessile antica e contemporanea derivano dalla sua formazione come Restauratore di Materiali e Manufatti Tessili e in Pelle. In parallelo all’attività del restauro, da settembre 2020, è Amministratore ed Editor Social Media del profilo “Festina Lente Studio”, dove insieme alla collega Emanuela Fistos, si occupa di divulgare la conoscenza dell’arte tessile. Di recente, è entrata a far parte della redazione del sito web “Storie Parallele”, nato nel 2019 come strumento didattico e divulgativo della storia e dell’archeologia. La sua mission in ArteMorbida è quella di portare la “matericità” degli oggetti d’arte a contatto con il lettore; l’osservazione del “micro”, degli aspetti merceologici dei manufatti tessili, sono, infatti, fondamentali per accede al “macro”, alla comprensione dell’opera d’arte nella sua totalità.